Negli ultimi decenni lo sviluppo di farmaci biologici ha visto una grande accelerazione. In un editoriale della rivista scientifica New England Journal of Medicine pubblicato nell’estate del 2023 e intitolato “Biologici per la BPCO: Finalmente Qui”, Alvar Agustí, medico specialista della BPCO, dà il benvenuto a questa classe di farmaci nel trattamento della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO o COPD in inglese). I biologici approvati o in fase di approvazione, hanno mostrato di avere il potenziale di ridurre le riacutizzazioni di questa malattia cronica e progressiva e di migliorare la funzionalità polmonare e lo stato di salute dei pazienti.
In occasione dell’incontro “COPD, Comprehensive Overview of a new Perspective for the Disease”, organizzato da Sanofi e Regeneron, che si è tenuto il 10 e 11 dicembre a Milano, medici specialisti delle malattie respiratorie si sono confrontati sulle caratteristiche biologiche della patologia, sulla gestione della BPCO in Italia e sul ruolo che potrà svolgere l’avvento dei biologici che, hanno sottolineato i clinici, rappresenta un momento di svolta per medici e pazienti.
Farmaci che riducono la mortalità
La BPCO è una malattia respiratoria cronica caratterizzata da un’ostruzione persistente del flusso aereo nei polmoni. Questa condizione è progressiva e può peggiorare nel tempo, rendendo sempre più difficile la respirazione.
Attualmente il trattamento della BPCO prevede l’uso di terapie inalatorie, disponibili da molti anni e, da poco, di terapie combinate che portano a una riduzione della mortalità. “Siamo all’alba dell’introduzione dei farmaci biologici per la BPCO”, commenta in un’intervista in occasione dell’incontro Fabiano Di Marco, Presidente della Società Italiana di Pneumologia e Professore Ordinario di Malattie dell’apparato cardiovascolare e malattie dell’apparato respiratorio presso l’Università degli Studi di Milano. “Si tratta di terapie assolutamente innovative nel meccanismo d’azione, che offrono risultati promettenti, quando aggiunti alla migliore terapia inalatoria possibile”.
Come è stato sottolineato in una delle sessioni scientifiche, molti degli studi clinici di fase 3 sui biologici nei pazienti con BPCO daranno i loro risultati nel 2025. Sempre il prossimo anno, è attesa la rimborsabilità da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) per dupilumab, il primo farmaco biologico ad aver ottenuto l’indicazione in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone come trattamento aggiuntivo di mantenimento per gli adulti affetti da BPCO non controllata, caratterizzata da un aumento degli eosinofili nel sangue.
Diagnosi tempestiva e trattamento su misura
L’Italia è pronta per l’imminente arrivo di una nuova classe di farmaci per questi pazienti? Secondo Di Marco, perché tutti gli strumenti terapeutici che sono e saranno a disposizione dei pazienti siano usati al meglio, bisogna prima di tutto garantire una diagnosi tempestiva e appropriata della patologia. “Dobbiamo fare in modo che tutti i pazienti con BPCO sappiano di avere la BPCO, diffondendo maggiormente l’uso della spirometria, uno strumento facile, riproducibile e a basso costo, che può essere usato in diversi setting, dalla farmacia al grande Ospedale Universitario”. La spirometria, test non invasivo, misura il volume e la velocità dell’aria espirata. Permette un’identificazione precoce della patologia e una gestione appropriata.
La biologia che sta alla base della BPCO è complessa e vede l’implicazione di numerose molecole e cellule infiammatorie. Inoltre, la patologia è spesso accompagnata da comorbidità, come le malattie cardiovascolari specie a seguito delle riacutizzazioni.
“Dopo aver caratterizzato correttamente i pazienti, possiamo fare in modo che ognuno riceva il farmaco più adatto per lui”, continua Di Marco. “Si parte con la terapia inalatoria e poi si può offrire a pazienti selezionati sulla base delle caratteristiche della patologia l’opportunità di accedere al farmaco biologico, che può davvero dare una svolta alla storia naturale della malattia”. In questo quadro ognuno deve fare la sua parte, a partire dai pazienti che dovrebbero rivolgersi al proprio medico curante per una diagnosi precoce, anche quando sono convinti che i loro sintomi siano solo una conseguenza del fumo di sigarette. “E poi sta a noi sanitari impegnarci per mettere a disposizione di ogni paziente la terapia più appropriata”. E questo può essere fatto anche valutando le caratteristiche dell’infiammazione sottostante la patologia, identificabile tramite un esame del sangue per individuare i livelli di eosinofili.
Carenze nel follow-up: il contributo della telemedicina
Dopo la diagnosi e l’impostazione del trattamento, il paziente deve essere seguito con costanza, anche per monitorare le comorbidità e le complicanze associate alle riacutizzazioni della malattia.
“Ci siamo resi conto che è necessario un approccio olistico nella gestione del paziente con BPCO”, osserva Francesco Dentali, Presidente FADOI Nazionale e Professore Associato di Medicina interna presso l’Università dell’Insubria -Varese. “Non basta occuparsi del miglioramento della funzionalità respiratoria, dobbiamo anche gestire le comorbidità in un follow-up che, attualmente, in molti casi, è manchevole”.
Secondo Dentali bisognerebbe seguire i pazienti sulla base di un profilo di rischio totale, che tenga conto, per esempio, del rischio cardiovascolare: ad oggi le malattie cardiovascolari sono la prima causa di mortalità tra i pazienti con BPCO. “Inoltre, sappiamo che uno dei problemi nella gestione della malattia è l’aderenza terapeutica: uno dei primi motivi per cui la terapia della BPCO non funziona è che non viene assunta. Un follow-up più assiduo, magari attraverso la telemedicina, potrebbe permettere di ribadire e rinforzare il piano gestionale che è stato impostato durante il ricovero”.
In attesa di un PDTA unico e aggiornato per la BPCO
Per garantire un approccio strutturato e standardizzato alla gestione di una specifica malattia in Italia si usano dei precisi strumenti organizzativi e gestionali, i Percorsi Diagnostico-Terapeutici Assistenziali (PDTA). Ad oggi però non esiste un PDTA nazionale e unico per la gestione della BPCO, nota Antonio Spanevello, Istituti Clinici Scientifici Maugeri – IRCCS e Professore Associato del Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale presso l’Università degli Studi dell’Insubria Varese-Como.
“Attualmente disponiamo di ottimi PDTA regionali, o in alcuni casi addirittura locali. Tutti devono includere una fase diagnostica e una terapeutica e sottolineare in particolare l’importanza delle fasi della malattia”. Come spiega l’esperto, è fondamentale il monitoraggio e la gestione del paziente sia nella fase acuta – che è caratterizzata da un peggioramento dei sintomi respiratori e che prevede un momento diagnostico un momento terapeutico -, sia nella fase di stabilità, quindi quel periodo tra due riacutizzazioni che necessita comunque di un follow-up e di interventi preventivi per ridurre la progressione di malattia.
Dall’incontro è emerso come i farmaci biologici, affrontando le cause alla base della progressione della malattia, riducano il rischio delle riacutizzazioni, migliorino la funzionalità polmonare e la qualità complessiva della vita per le persone con BPCO.
Con l’avvento di queste terapie innovative, secondo Spanevelllo, i PDTA dovranno essere aggiornati. “Stiamo parlando di una nuova era terapeutica, quella dei biologici, e chiaramente i vecchi PDTA non ne tengono conto. Speriamo che verrà messo a punto un unico PDTA nazionale che mantenga le caratteristiche citate (distinzione tra una fase diagnostica e una terapeutica e un’attenzione verso le fasi acute e le fasi di stabilità), con aggiornamenti supportati dalla letteratura scientifica e dall’opinione degli esperti”.
Farmaci che prevengono le riacutizzazioni
Sull’importanza della prevenzione dell’evento acuto interviene anche Alberto Papi, Professore Ordinario di Malattie dell’apparato respiratorio presso l’Università di Ferrara e Direttore della Clinica Pneumologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara. “Ricordiamo che gli eventi acuti, oltre alla loro gravità in sé, impattano su tutta la storia naturale della malattia: aumentano il rischio di future riacutizzazioni, peggiorano la qualità della vita, aumentano il declino funzionale e il rischio di morte”.
Prevenire le riacutizzazioni, quindi, vuol dire ridurre tutti i rischi ad esse associati.
“I nuovi interventi farmacologici riducono le riacutizzazioni, in particolare in gruppi selezionati di pazienti, e riescono ad agire sulle conseguenze a medio lungo termine – dal declino funzionale al rischio di nuovi eventi – che le riacutizzazioni comportano”.
Un risparmio per il Servizio sanitario nazionale e regionale
Il farmaco giusto al momento giusto può migliorare la vita dei pazienti e ridurre la mortalità, e ciò comporta un risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale (Ssn), come nota Stefano Palcic, Direttore FF SC Governance farmaceutica territoriale presso Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina, e Professore a contratto di Farmacoeconomia presso Università degli Studi di Trieste.
“Una terapia personalizzata che permette di raggiungere gli obiettivi terapeutici porta anche a un risparmio economico per il Servizio sanitario nazionale e regionale”. Come hanno evidenziato tutti gli esperti, tutto parte da una diagnosi precoce della malattia e il successo delle terapie dipende dall’aderenza terapeutica e dall’uso corretto degli strumenti terapeutici a disposizione. “L’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), ricorda costantemente che la mancata assunzione delle terapie può causare il non raggiungimento dei target terapeutici con un aumento dei costi per il Ssn. È poi importante una diagnosi precoce delle patologie e un uso corretto delle armi terapeutiche a disposizione, senza dimenticare la necessità di un equilibrio tra l’innovazione e la sostenibilità per il servizio sanitario”.
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