16 dicembre -
Gentile Direttore,ho letto con interesse le recenti lettere pubblicate sul suo quotidiano riguardanti lo spinoso tema della libera professione per le 22 professioni sanitarie del comparto ex L. 43/2006, un diritto attualmente con scadenza fissata al 31 dicembre 2025. È ormai evidente come non sia più possibile rimandare la necessità di affrontare i paradossi che caratterizzano il nostro Servizio Sanitario Nazionale. In un momento segnato da vincoli economici e una crisi crescente, i professionisti sanitari non medici continuano a essere considerati “figli di un dio minore”.
Sebbene condividano con i dirigenti (medici e non) gli stessi doveri verso i cittadini e il SSN – formazione continua (ECM), rigidi protocolli etici e deontologici, stipula di polizze assicurative e iscrizione ad albi professionali – vedono negata una parità di diritti, specialmente quando si parla di libera professione.
Di fronte all’ennesima stagione contrattuale deludente in ARAN, aprire alla libera professione anche per i professionisti del comparto rappresenterebbe un’opportunità concreta per valorizzare economicamente e socialmente professionisti stanchi di continue promesse mai mantenute. Questa scelta, a costo zero per lo Stato, offrirebbe nuovi stimoli e un incentivo reale per mantenere il legame con il SSN, oggi sempre più fragile e meno appetibile. Lo dimostrano i preoccupanti numeri: scarse iscrizioni ai corsi di laurea, dimissioni sempre più frequenti verso il privato e un costante impoverimento del personale.
Se,
come sostiene il Dott. Marco Geddes De Filicaia, limitare la libera professione a determinate categorie servirebbe a incentivare investimenti nel SSN, è difficile comprendere perché questa opportunità sia concessa a medici e dirigenti sanitari, ma non a infermieri, fisioterapisti, tecnici di radiologia, ostetriche e altre figure essenziali. Tale disparità appare non solo ingiustificata, ma incoerente rispetto al principio di equità che dovrebbe guidare le scelte in ambito sanitario. La libera professione, che permette di svolgere attività lavorativa al di fuori del contesto pubblico, deve essere o un diritto di tutti o di nessuno. Consentirla a una sola categoria professionale perpetua una situazione di disparità e demagogia che rischia di alimentare divisioni interne al mondo sanitario e demotivare chi contribuisce con competenze essenziali al funzionamento del sistema. Non riconoscere a tutti le stesse opportunità significa negare il valore del lavoro di tanti professionisti, relegandoli a ruoli subalterni.
È tempo di superare la logica dei “figli e figliastri”. Se l’obiettivo è tutelare il SSN e garantire un servizio pubblico efficiente, allora la libera professione deve essere regolamentata in modo equo per tutte le professioni sanitarie. Diversamente, si rischia di cadere in una contraddizione che mina la credibilità delle istituzioni e aggravano il malcontento e la demotivazione di intere categorie professionali.
In un periodo in cui il SSN affronta sfide enormi, promuovere collaborazione e rispetto reciproco è fondamentale. Ciò passa anche attraverso decisioni che riconoscano in modo chiaro e uniforme i diritti di tutti i professionisti sanitari. Libera professione o per tutti, o per nessuno: solo così si potrà garantire giustizia e trasparenza nel nostro sistema sanitario.
Dott. Massimiliano CapparoniPresidente ANPSE