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Sostenibilità del Ssn e costi del personale

di Antonio Alemanno

28 OTT -

Gentile direttore,
negli ultimi vent’anni, il Sistema Sanitario Nazionale italiano si è retto su un paradosso evidente: garantire il diritto alla salute comprimendo sistematicamente il costo del lavoro del personale sanitario. Questa strategia, volta a bilanciare i diritti costituzionali tra il diritto alla salute e quello a una "retribuzione proporzionata alla quantità e qualità" del lavoro, ha avuto ripercussioni significative sui professionisti del settore e sulla qualità complessiva dell'assistenza sanitaria nel nostro Paese.

Il comma 566 della Legge di Stabilità 2015, che avrebbe dovuto ridefinire le competenze del personale sanitario non medico, si è rivelato un’occasione mancata: l’assenza di fondi e di un piano attuativo concreto ha lasciato questi professionisti in un limbo contrattuale e operativo, nonostante abbiano investito di tasca propria migliaia di euro in master e lauree magistrali, finanziando così un sistema universitario, senza che questi investimenti abbiano portato a un effettivo riconoscimento professionale.

Questo quadro normativo ha consolidato un modello che mantiene basso il costo del lavoro sin dalla legge n. 146 del 1990 e relativo “Accordo Nazionale sui servizi essenziali” che hanno limitato il diritto di sciopero dei lavoratori. Inoltre, la trasformazione dei collegi in ordini professionali ex Legge Lorenzin n.3/2018 ha di fatto ulteriormente indebolito la rappresentanza dei professionisti sanitari eliminando il quorum minimo di partecipazione degli iscritti (art. 2, comma 4, Capo II) e riducendone la partecipazione ai minimi storici. La risultante di questi due provvedimenti legislativi è stata una erosione della coesione tra professionisti con ulteriore diminuzione di quel potere contrattuale che negli anni ’70-’80 garantiva tutele concrete.

Oggi retribuzioni inadeguate e carriere bloccate stanno provocando un esodo annuale di migliaia di professionisti verso l’estero, mentre diminuisce il numero di giovani che scelgono le professioni sanitarie. Inoltre, lo Stato persiste nel vincolare gli aumenti salariali del comparto sanità a quelli del pubblico impiego, impedendo ogni possibilità di contrattazione specifica per il settore. Al personale sanitario del comparto vengono negati anche i benefit concessi ai medici, come la libera professione e l’indennità di esclusività, nonostante analoghe condivisioni di rischi lavorativi, oneri assicurati e formativi.

L'introduzione dell'assistente infermiere e il reclutamento di personale dall'estero perpetuano la miope strategia di riduzione del costo del lavoro, ignorando le cause profonde della crisi e svilendo il ruolo cruciale del personale sanitario quale risorsa qualitativa del Servizio Sanitario Nazionale.

In tale contesto, l'estensione della libera professione a tutti i professionisti sanitari è un atto dovuto, dopo anni di tagli al personale e di limitazioni nelle opportunità di carriera. Una misura a costo zero per le casse dello Stato che potrebbe restituire un minimo di attrattività a un settore fondamentale per la salute pubblica.

Antonio Alemanno

Tecnico di radiologia



28 ottobre 2024
© Riproduzione riservata

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