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QS Edizioni - lunedì 28 ottobre 2024

Lettere al Direttore

Dalla Legge di Bilancio una risposta tombale per la psichiatria

di Andrea Angelozzi
immagine 23 ottobre -

Gentile Direttore,
alla fine i vari appelli, lettere e rivendicazioni della psichiatria hanno avuto una definitiva risposta tombale dalle disposizioni della Legge Finanziaria in tema di sanità.

A fronte della reiterata richiesta del 5% del FSN, corrispondente ad una aggiunta annuale di circa due miliardi e mezzo, quello che verrà dato annualmente, e per l’intera sanità, sarà nettamente meno.
Come risposta è chiarissima e ci dice diverse cose sulla realtà ed il futuro della salute mentale, se si è disposti ad ascoltare e non ci si trincera dietro una sordità che porterebbe solo a riproporre sterili richieste.

Ci dice in primo luogo che alla salute mentale non viene riservato alcuno status specifico né tantomeno privilegiato all’interno del sistema sanitario. Quando si fanno le barricate per difendere la Legge 180/78, si dimentica che gli elementi di quelle che Cavicchi chiamerebbe “controriforme” iniziano subito, da una parte con la trasformazione della Legge in alcuni articoli all’interno della Legge 833/78, dall’altra con l’assenza per quasi 20 anni di qualunque chiara disposizione regolatoria su quali dovevano essere le dotazioni della salute mentale, in termini di strutture e personale.

La inclusione nell’ordinamento complessivo della sanità attuato dalla L. 833/78 definisce infatti che la salute mentale è solo una delle tante componenti del Sistema Sanitario nazionale e ne segue pertanto le sorti in tutto, anche nell’ammontare delle risorse e nella competizione per la loro ripartizione con gli altri ambiti sanitari. Chiarisce inoltre che ci si muove in un ambito sanitario, lasciando in secondo piano quel complesso intreccio fra aspetti sociali e sanitari che era alla origine della idealità che aveva portato alla Legge 180/78, e che si ritrovava nelle cause dei problemi e nella loro cura.

Il primo Progetto Obiettivo Salute Mentale risale al 1994 e definisce in forma molto generale la realtà dei Dipartimenti di Salute Mentale e delle strutture che li compongono, senza alcuna indicazione delle risorse che devono avere a disposizione in termini di personale, se non un generico concetto di un indefinito operatore ogni 1500 abitanti.

Occorre attendere il Progetto Obiettivo del 1999 per avere, oltre alla rinnovata indicazione di un operatore ogni 1500 abitanti, una definizione un po’ maggiore circa le strutture e le loro dotazioni. Nel 1999 sono passati oltre 20 anni dalla Legge di Riforma, durante i quali la costruzione dei servizi e le loro dotazioni sono state lasciate totalmente alle decisioni delle Regioni e delle ASL, in assenza di criteri di riferimento, e costruendo quindi realtà diverse con risorse diverse. E’ interessante che di questo prende atto tardivamente l’impegno dei Presidenti di Regione nel 2001 alla destinazione del 5% del FSN alla salute mentale. Un impegno tardivo ed inattuabile nella sua vaghezza, anche perchè proprio nello stesso 2001 la Legge Costituzionale n° 3 modifica il Titolo V in favore della autonomia regionale in talune materie, in particolare la sanità, continuando a lasciare ancora una volta la salute mentale alle scelte organizzative locali.

Bisognerà attendere fino al 2022 con il DM 77 per avere, dopo quasi 60 anni dalla legge Mariotti sulla psichiatria del 1968, le prime indicazioni (inattuate) sulle dotazioni dei personale anche per le strutture territoriali ed ospedaliere della salute mentale.

Quello di cui bisogna prendere atto è che proprio il meccanismo con cui la Legge 180/78 ha cercato di cancellare gli aspetti di stigma ed emarginazione dei malati mentali ha aperto la strada a cancellare anche ogni possibile pretesa di uno status specifico, che permetta di avere un posto particolare (ed un finanziamento particolare) all’interno del sistema sanitario nazionale.

Come bisogna prender atto che, nella competizione per le poche ormai risorse esistenti, la scarsa condivisione fra psichiatri di un modello operativo omogeneo, l’atteggiamento contraddittorio che spesso si ha verso prassi comprovate, l’esitazione di fondo a volersi confrontare con i dati numerici dei processi e degli esiti, non ha consentito una strategia efficace per chiarire cosa è veramente necessario fare, cosa serve per farlo, e chiederlo di conseguenza. Ora poi, quando nemmeno più ci riescono aree della medicina dove questo è il modello da sempre, è ancora più difficile.

Credo che sia necessario un cambiamento che prende atto che le lettere/proclami servono solo ad ottenere al più generiche solidarietà che non modificano nulla. Si proponga un modello chiaro di cosa serve e per fare esattamente cosa, chiarendo alla popolazione che, in mancanza delle risorse specifiche, taluni servizi non sono erogabili, smettendola di fingere che, alla fine, quel po’ che si riesce a fare, grazie alla buona volontà degli operatori, continui a permettere un qualche corretto funzionamento dei DSM.

Qualcuno lo ha fatto?

Andrea Angelozzi
Psichiatra

23 ottobre 2024
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