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Tecnici riabilitazione psichiatrica. “La grave mancanza di organico compromette il funzionamento dei servizi di salute mentale”. Intervista alla presidente Famulari


"Questo sia a livello ospedalieo che nei centi territoriali. I TeRP dovrebbero svolgere un ruolo essenziale nella prevenzione, cura e riabilitazione, ma il nostro coinvolgimento è spesso trascurato, soprattutto nella prevenzione primaria, che risulta ancora assente dalle agende delle aziende sanitarie. Oggi sentiamo ancora più forte la necessità che i percorsi didattici nei corsi di laurea diventino più omogenei e si evolvano rispetto ai bisogni di salute emergenti".

10 OTT -

Proseguono le nostre interviste con i 18 presidenti delle rispettive professioni sanitarie che compongono la Fno Tsrm e Pstrp. Il nostro viaggio ci porta oggi a colloquio con Roberta Famulari, Presidente della Commissione di albo nazionale dei Tecnici della riabilitazione psichiatrica, che in questa intervista a Quotidiano Sanità traccia un quadro della professione mettendo in evidenza alcune criticità da risolvere, a partire dalla necessità di un formativo universitario più omogeneo ed evoluto rispetto ai bisogni di salute emergenti.

Chi sono i Tecnici della riabilitazione psichiatrica; quanti sono gli iscritti all’albo e qual è la vostra formazione.
I Tecnici della riabilitazione psichiatrica (TeRP) sono una specificità professionale solo italiana, a servizio degli assistiti e delle loro famiglie. Attualmente, gli iscritti agli albi, degli Ordini TSRM e PSTRP, superano i 3.820 professionisti sanitari, con una predominanza femminile di quasi l’88%. La nostra professionalità nel campo della psichiatria e della salute mentale si basa su competenze tecnico-scientifiche sviluppate in Italia e a livello internazionale negli ultimi 50 anni.

Punto di partenza fondamentale è l’adozione del modello bio-psico-sociale per spiegare l’eziopatogenesi, la cura, il decorso e la prognosi delle malattie mentali e anche per disegnare l’organizzazione dei servizi di salute mentale territoriali. Questo modello si fonda su un paradigma complesso, piuttosto che quello lineare “causa-effetto”, per meglio rispondere ai bisogni delle persone. Negli anni, la psichiatria, da disciplina strettamente medica, si è arricchita di interventi che permettono una presa in carico socio-sanitaria completa, utilizzando approcci farmacologici innovativi, psicologici e psico-riabilitativi, fino agli interventi sociali e di inclusione lavorativa. Questi interventi, validati scientificamente, sono essenziali anche nell’ottica di una prevenzione precoce, secondo l’approccio saluto-genico.

Rispetto all’appuntamento del 2021 cosa è cambiato e se sono emerse ulteriori criticità.

Oggi sentiamo ancora più forte la necessità che i percorsi didattici nei corsi di laurea diventino più omogenei e si evolvano, mantenendosi aggiornati e quanto più uniformi, rispetto ai bisogni di salute emergenti. Questo migliorerebbe la qualità della formazione, ampliando le competenze dei futuri professionisti. La Commissione di albo nazionale dei Tecnici della riabilitazione psichiatrica, in stretta sinergia con le Commissioni di albo territoriali, presta particolare attenzione ai temi che riguardano l’università e, nello specifico, i corsi di laurea delle professioni sanitarie. È inaccettabile che nelle università italiane si richieda ai professionisti sanitari di lavorare a titolo gratuito o con contratti temporanei per svolgere le ore di docenza. Mancano infatti posizioni stabili e retribuite adeguatamente, che riconoscano il ruolo e le funzioni dei docenti e dei direttori delle attività didattiche professionalizzanti. È urgente un cambiamento che includa l’assunzione diretta di personale attraverso concorsi, similmente a quanto avviene per il servizio sanitario nazionale, per garantire stabilità, continuità nella formazione.

La formazione di tutti i professionisti va a impattare sulla qualità del sistema sanitario, bisogna ri-pensare il sistema formativo universitario anche riservando il giusto spazio alla ricerca e all’accesso alla carriera universitaria. È essenziale far sì che la ricerca trovi riscontro nella pratica, nel nostro caso principalmente all’interno dei servizi di salute mentale, affinché sia possibile rispondere ai cittadini in termini di appropriatezza e innovazione. I dati statistici in questo ambito (che va dal disagio psichico al disturbo psichiatrico propriamente detto) rappresentano un bisogno di salute in aumento, in particolare, a preoccupare maggiormente sono quelli riferiti alla fascia di età adolescenziale.

Quali le prospettive e le sfide future della professione TeRP
Negli ultimi vent’anni, la riabilitazione psichiatrica ha finalmente ottenuto il riconoscimento come disciplina specifica, dedicata allo sviluppo e all’applicazione di metodi riabilitativi efficaci e scientificamente provati, superando la connotazione di area ambigua di applicazione di pratiche vaghe, aspecifiche e intercambiabili, spesso associate “all’intrattenimento della persona assistita”.

Oggi, l’intervento del TeRP si concentra sulle due dimensioni fondamentali della riabilitazione psichiatrica della persona affetta da disagio o disturbo psichico, che comprendono l’area dell’identità e del funzionamento personale e sociale e quella socio-familiare.

Il TeRP, nella sua pratica professionale, si avvale di strumenti di valutazione standardizzata del funzionamento psicosociale per pianificare e attuare l’intervento riabilitativo multidimensionale. Al recente Congresso della Commissione di albo nazionale, è stato presentato il documento di posizionamento sull’attività di “valutazione del funzionamento cognitivo”, frutto della collaborazione tra Commissione di albo nazionale e l’Associazione tecnico-scientifica di riferimento AITeRP.

Proprio alla luce delle evidenze scientifiche, ormai diffusamente presenti in letteratura, la comunità professionale dei TeRP deve farsi portavoce di un necessario processo di cambiamento all’interno dei servizi di salute mentale. Purtroppo, uno dei problemi più rilevanti rimane il divario tra pratiche validate scientificamente e quelle effettivamente erogate nei servizi. Spesso, gli interventi riabilitativi sono offerti in misura insufficiente nella pratica clinica. Dobbiamo impegnarci a diffondere maggiormente la cultura della medicina basata sulle evidenze, per garantire interventi appropriati ed efficaci.

Qual è il suo giudizio sull’attuale stato di salute del SSN tra lamentate carenze di fondi e se anche la professione di Tecnico della riabilitazione psichiatrica è soggetta al fenomeno della carenza di personale lamentata in diversi ambiti sanitari?
Esprimo la mia profonda preoccupazione sulla salute del nostro sistema sanitario. Stiamo perdendo una conquista ottenuta con fatica e a seguito di un processo culturale e trasformativo della società e della coscienza sociale. Per una rapida consapevolezza basta richiamare i principi ispiratori della legge 833/1978 che istituì il SSN: tutela della salute, intesa come diritto della persona e interesse della collettività, universalismo e “libero” accesso ai servizi, superamento degli squilibri territoriali, integrazione di tutti i servizi sanitari, capillarizzazione dei servizi sul territori, controllo democratico e primato della gestione pubblica diretta.

La carenza di personale rappresenta una grave minaccia per il sistema. In particolare, la nostra figura professionale, il TeRP, soffre di una grave mancanza di organico, che compromette il funzionamento dei servizi di salute mentale sia a livello ospedaliero che nei centri territoriali. Secondo il decreto ministeriale n. 182/2001, i TeRP dovrebbero svolgere un ruolo essenziale nella prevenzione, cura e riabilitazione, ma il nostro coinvolgimento è spesso trascurato, soprattutto nella prevenzione primaria, che risulta ancora assente dalle agende delle aziende sanitarie.

Anche i non addetti ai lavori hanno contezza dell’importanza di intervenire presto e bene e, se possibile, intervenire prima del manifestarsi di una patologia o qualsiasi malessere o disagio. In ogni ambito della salute è così, di certo la psichiatria non fa eccezione. Ricordo il famoso e ormai datato slogan, ma non passato di moda, “non c’è salute senza salute mentale”. Dovrebbero essere costituite delle équipe “dedicate”, specializzate e multidisciplinari pienamente “infiltrate” nel territorio, e quindi che si occupino, con una regia che parte dall’interno dei Dipartimenti di Salute Mentale, di prevenzione primaria e promozione della salute mentale. Queste azioni andrebbero a beneficio, anzitutto, di tanti giovani che potrebbero evitare di trovarsi davanti ad una diagnosi franca, e a conseguenti percorsi assistenziali pesanti, di tipo ospedaliero e residenziale a lungo termine. Inoltre, questo approccio garantirebbe un vantaggio anche in termini economici per la società, con minori costi diretti e indiretti della malattia.

Una particolarità del nostro lavoro è curare chi non vuole essere curato. Molte sono le persone che rifiutano le cure, uno dei motivi risiede nella mancata o parziale consapevolezza di avere un disturbo. Quando ciò avviene, il rifiuto intacca alla base il pilastro di ogni forma di intervento, non permettendo che si instauri alcuna relazione o alleanza terapeutica. L’arduo compito del TeRP, insieme agli altri professionisti dell’équipe, a partire dai Medici psichiatri, è sciogliere il “rifiuto” con competenza specialistica. In primis bisogna sapientemente instaurare la relazione terapeutica che, da strumento, diventa il primo obiettivo “riabilitativo”. È un lavoro lungo e meticoloso, che ci riporta al tema fondamentale del “capitale umano” all’interno dei servizi. Come già detto, siamo un numero irrisorio, non siamo sufficientemente presenti all’interno dei Centri di salute mentale per accogliere e incontrare gli assistiti e le famiglie, giovani a rischio, anche fuori dai servizi, a casa per esempio, o nei luoghi di aggregazione e nelle scuole. Come in altre occasioni abbiamo avuto modo di sottolineare, siamo “confinati” insieme alle persone assistite, soprattutto nelle strutture residenziali, che per lo più creano situazioni di stallo dove le persone permangono per anni. È di facile intuibilità che si crei la cosiddetta “spirale della desocializzazione” e della cronicità.

Non siamo sfavorevoli al trattamento residenziale tout court, ma sicuramente non possiamo, da professionisti, accettare i ricoveri “impropri”, che non danno esiti positivi in termini riabilitativi e che in più incidono pesantemente sulla spesa pubblica. I costi delle rette giornaliere, per i ricoveri in strutture residenziali terapeutico-riabilitative, sono molto alti. È sufficiente consultare i dati del Sistema informativo della salute mentale (SISM) del Ministero della salute, per rendersi conto di quante persone in Italia “restano” ricoverate per lunghi anni, in queste strutture. Nonostante il PNRR inneggi all’assistenza territoriale e alla medicina comunitaria, il territorio continua essere depauperato di personale, convergendo la presa in carico solo verso strutture di ricovero che, se usate male, cronicizzano e pesano in termini economici. In definitiva, si crea una falsa domanda di assistenza cui si risponde con il posto letto, ospedaliero per le acuzie, o residenziale, per le lungodegenze.

Il 10 ottobre è la giornata mondiale della salute mentale qual è il tema di quest’anno?
Promossa dalla Federazione mondiale della salute mentale e supportata dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), quest'anno focalizza l’attenzione sulla connessione tra salute mentale e lavoro, lanciando il tema: “Salute mentale sui luoghi di lavoro”.

Un ambiente di lavoro sicuro, sano e confortevole, che a nostro avviso includa anche elementi di bellezza, può agire come fattore protettivo per la salute mentale. Al contrario, condizioni malsane, come lo stigma, la discriminazione e lo stress possono avere un impatto negativo, influenzando fortemente la salute mentale, la qualità della vita complessiva e di conseguenza la partecipazione e la produttività lavorativa.



10 ottobre 2024
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