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Cronicità. Rapporto Cittadinanzattiva. Tra costi elevati e difficoltà sul lavoro, curarsi è un lusso


Presentato a Roma il XII Rapporto sulle politiche della cronicità. Il disinvestimento nel welfare mette a dura prova i cittadini che, costretti confrontarsi con la crisi dei redditi familiari e con le discriminazioni regionali nell’accesso alle prestazioni socio sanitarie, ritardano o rinunciano alle cure necessarie.

13 DIC - Vietato ammalarsi. Per gli italiani avere una o più patologie croniche o rare, o accudire una persona malata, è ormai diventato un “lusso”. Costi diretti ed indiretti della malattia sono diventati ormai insostenibili per un numero crescente di pazienti e di famiglie. E il paradosso è che per contrastare la valanga di oneri si arriva addirittura a “nascondere” la propria patologia nei posti di lavoro o ci si accontenta di un lavoro non adatto alle proprie condizioni fisiche. Inoltre il welfare non riesce a rispondere alle richieste di malati e famiglie. Ci sono difficoltà di accesso ai farmaci e molte regioni stentano a assicurare anche i Lea. Assistenza domiciliare e riabilitazione sono messe a dura prova dai tagli. Uno scenario quindi a tinte fosche considerando che corsa delle cronicità non si ferma. Quasi 4 cittadino su dieci hanno una patologia cronica, e due su dieci ne hanno almeno due. La maggioranza dichiara di non essere in buona salute (il 56,8%). E si sta peggio nel Meridione dove le percentuali di cittadini che ritiene di essere in buna salute non supera il 36%.
 
A descrivere questa situazione è il XII Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità, dal titolo “Permesso di cura”, presentato oggi alla Camera dal Coordinamento nazionale delle Associazioni dei malati cronici (CnAMC) di Cittadinanzattiva.
 
“Ritardare o rinunciare alle cure necessarie – ha affermato Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato e responsabile del CnAMC di Cittadinanzattiva – perdere il posto di lavoro, confrontarsi con la crisi dei redditi familiari e con le discriminazioni regionali nell’accesso alle prestazioni socio sanitarie è ciò che vivono sulla propria pelle i cittadini grazie ad anni di politiche di disinvestimento del Welfare e di erosione dei diritti. Non possiamo accettare che per ‘fare cassa’ si continui a smantellare il Ssn o peggio ancora a svendere i diritti dei cittadini alla salute, al lavoro e all’inclusione sociale”.
 
Per questo le Associazioni chiedono al Governo e al Parlamento un’azione concreta, a partire dalla Legge di Stabilità in discussione, eliminando l’insopportabile misura prevista dalla L. 214/2011 e dal nuovo regolamento ISEE secondo cui i trattamenti assistenziali come indennità di invalidità civile e di accompagnamento sono considerati “fonti di reddito” e quindi da considerare nel computo dei redditi familiari.
 
E ancora, chiedono al Governo e alle Regioni di avviare un confronto anche con le Associazioni di cittadini e di pazienti sia sul Patto per la Salute, sia sulla prossima Spending review, che rappresentano le vere partite per il nostro Servizio Sanitario Nazionale. “Non vogliamo infatti correre il rischio che queste misure possano comportare un’ulteriore compressione di tutele e di diritti – hanno chiarito – ricordiamo al Governo che i cittadini hanno già dato tanto e sono invece ancora in attesa di ricevere quanto è stato previsto e promesso anche da leggi. Pensiamo solo all’aggiornamento dei Lea al palo da oltre 10 anni, e che dovrebbe prevedere, tra l’altro, la revisione del Nomenclatore tariffario delle protesi e degli ausili e degli elenchi delle patologie croniche e rare esenti”.
 
Ma vediamo in sintesi i dati e gli scenari emersi dal Rapporto
 
Cronicità in aumento. Il rapporto parla chiaro. Cresce la percentuale di chi dichiara di avere almeno una patologia cronica: sono il 38,6% +0,2 per cento rispetto al 2011, e di chi dichiara di avere almeno due patologie croniche: il 20,4% + 0,4 per cento rispetto al 2011. Di questi dichiara di essere in buona salute il 43,2%.
Le patologie croniche più diffuse. Per quanto riguarda le malattie croniche le più diffuse sono: l’artrosi/artrite (16,7%), l’ipertensione (16,4%), le malattie allergiche (10,6%), bronchite cronica e asma bronchiale (6,1%), diabete (5,5%).
Differenze regionali. E nascere in una regione o in un’altra può fare la differenza. Si sta peggio in Calabria, Puglia e Basilicata dove meno di 3 cittadini su dieci stanno bene (rispettivamente il 29,2%, il 32,1% e il 35,8% dichiarano di godere di buona salute) Quelle, invece, in cui i malati cronici godono di migliore salute sono le Province Autonome di Trento e Bolzano (56,7% e 64%), la Valle d’Aosta ed il Veneto (47,9%). La regione che ha una maggiore incidenza di diabetici è l’Abruzzo (7,4%), quella che ha il maggior numero di pazienti con ipertensione e con artrosi e artrite è la Liguria (rispettivamente il 18,7% e il 21%). La Sardegna, invece, si caratterizza per il maggior numero di persone affette da bronchite cronica/asma bronchiale ed osteoporosi (7,9% e 10,3%). Ancora, il maggior numero di malati di cuore si trova in Lombardia (14%), il maggior numero di pazienti con disturbi nervosi si trova in Umbria (5,8%) ed il maggior numero di pazienti con ulcere gastriche duodenali si concentra in Calabria (3,8%). Infine, vengono consumati il maggior quantitativo di farmaci in Liguria (43,5%) ed il minor numero in Campania (32,2%).
 
Le famiglie italiane sono sempre più povere. Diminuisce il potere di acquisto del reddito disponibile passando dal -0,6 del 2011 a -4,8 del 2012, mentre il carico fiscale cresce dell’1% rispetto all’anno precedente.
Decresce allo stesso tempo la propensione al risparmio passando dal 20,7% del 1992-1996 all’8,2% del 2012. Calano, infine, anche i consumi passando dal 3% del 2011 a -1,6% del 2012.
Il 24,1% delle famiglie si trova in una condizione di deprivazione materiale e il 14,3% si trova, invece, in una deprivazione grave, percentuale che sale al 25,1 se parliamo di Mezzogiorno. Si tratta di famiglie che non possono permettersi un pasto proteico almeno una volta ogni due giorni (16,6%), una settimana di ferie all’anno (50,4%), di riscaldare adeguatamente la propria abitazione (21,1%) o ancora è incapace di far fronte a spese impreviste (41,7%) o in arretrato con i pagamenti (affitto, mutuo, rate, ecc.) 13%.
 
Le difficoltà della persona e della famiglia. L’84% delle associazioni dichiara che i pazienti non riescono a conciliare l’orario di lavoro con le esigenze di cura ed assistenza, al punto che nel 63% dei casi hanno ricevuto segnalazioni di licenziamenti o mancato rinnovo del rapporto lavorativo per le persone con patologie croniche e invalidanti e nel 41% dei casi per i familiari che li assistono. Il 60% ha riscontrato difficoltà nella concessione dei permessi retribuiti, il 45% nella concessione del congedo retribuito di due anni; il 49% evita di prendere sul lavoro permessi per cura, il 43% nasconde la propria patologia e il 40% si accontenta di eseguire un lavoro non adatto alla propria condizione lavorativa.
 
I costi sostenuti dalle famiglie. L’assistenza sociosanitaria costa e non si può rischiare di perdere il posto di lavoro: il 54% ritiene troppo pesante o oneroso il carico assistenziale non garantito dal Ssn. Si spendono in media 1.585 euro all’anno per tutto ciò che serve alla cosiddetta prevenzione terziaria (diete particolari, attività fisica, dispositivi e tutto ciò che è utile per evitare le complicanze), più di 1.000 euro per visite ed esami a domicilio, o ancora in media 3.711 euro l’anno per adattare la propria abitazione alle esigenze di cura. Chi non può pagare, in una percentuale che arriva anche all’80% di chi è in cura, rinuncia alla riabilitazione, al monitoraggio della patologia, ad acquistare i farmaci non dispensati, alla badante, all’acquisto di protesi e ausili non passati dal servizio sanitario nazionale.
 
Spese medie annuali a carico del paziente

Badante

9.082 euro


Retta strutture residenziali o semiresidenziali

7.390 euro


Adattamento della abitazione

3.711 euro


Prevenzione terziaria (diete, att.fisica)

1.585 euro


Supporto psicologico

1.247 euro


Assistenza domiciliare non coperta dal SSN

1.070 euro


Parafarmaci (creme, integr.alimentari, pomate)

901 euro


Dispositivi medici (assorbenti, cateteri, siringhe, sacche)

737 euro


Farmaci non rimborsati

650 euro


Visite ed esami in intramoenia o nel privato

Oltre 600 euro


Protesi ed ausili

537 euro






La prevenzione, eterna cenerentola. Il 53% delle Associazioni non ritiene sufficiente la prevenzione primaria (corretti stili di vita); il 60% considera inadeguata o del tutto carente la prevenzione secondaria (interventi per una diagnosi precoce e per la riduzione del danno). Per la prevenzione terziaria (relativa alle complicanze) sale al 64% la percentuale delle Associazioni che ritengono non si faccia.
Anche chi si impegna personalmente nella prevenzione, riconoscendone l’importanza, ha difficoltà ad accedere alle visite specialistiche o esami diagnostici necessari nel 66% dei casi e l’89% è, quindi, costretto a sostenere costi privati per accedere a queste prestazioni.
 
La diagnosi troppo spesso in ritardo. Il 75% delle Associazioni dichiara di aver ravvisato ritardi diagnostici nella propria patologia di riferimento. Il sospetto diagnostico viene formulato generalmente dallo specialista di riferimento (67%) e solo nel 20% dei casi dal Medico di Medicina Generale che si interfaccia con lo specialista solo per il 59% delle associazioni.
Si può attendere, quindi, otto anni in media per una diagnosi di endometriosi o cinque per la diagnosi di Lupus Eritematoso Sistemico. C’è addirittura chi ha atteso 33 anni per la diagnosi della sindrome di Bechet. Le cose non vanno meglio per i tempi medi: c’è chi attende al massimo un anno, ma anche chi in media attende dai due ai sei anni. In generale dipende dal medico che incontri o dal trovarsi al Nord o al Sud.
 
Invalidità civile, l’odissea continua. Crescono le difficoltà per vedersi riconosciuti l’handicap grave (L 104/92, +44% rispetto al 2011) e il contrassegno per invalidi (+21% rispetto al 2011), così come aumentano le difficoltà di accesso alla invalidità (+16%). Il 68% delle associazioni, a distanza di oltre due anni dall’entrata in vigore della nuova legge, non riscontra né semplificazione né riduzione nei tempi per il riconoscimento: il 65% afferma che i propri associati sono costretti a sottoporsi a doppia visita di accertamento, presso la ASL e l’INPS, anche perché il medico INPS continua a non essere integrato nella commissione di accertamento nel 45% dei casi. Le convocazioni a visita di verifica avvengono in maniera non regolare per il 41% delle associazioni, attraverso sms (59%), lettera semplice (47%) o addirittura messaggi lasciati in segreteria (12%).
 
Un’Italia a più velocità. L’assistenza farmaceutica, quella protesica, così come l’assistenza domiciliare e la riabilitazione sono erogati nel nostro Paese a macchia di leopardo. Anche i percorsi diagnostici terapeutici e i registri di patologia (che indicano il numero di pazienti, suddivisi per patologia e regione di residenza) sono poco diffusi e segnalati principalmente al Nord.
Il 61% delle Associazioni dichiara di avere difficoltà di accesso all’assistenza farmaceutica in alcune regioni. Le principali criticità riguardano i tempi eccessivamente lunghi per l’autorizzazione all’immissione in commercio da parte dell’AIFA (50%), il costo dei farmaci non rimborsati dal SSN in fascia C (44%), le limitazioni da parte dell’Aziende ospedaliere o dalle ASL per motivi di budget ed i tempi di inserimento dei farmaci nei Prontuari regionali diversi da regione a regione (41%). Il 39% delle Associazioni, ancora, ha riscontrato l’interruzione o il mancato accesso a terapie perché particolarmente costose.
 
 
Assistenza domiciliare e riabilitazione. L’assistenza domiciliare integrata è adeguata alle esigenze di cura solo in alcune regioni (44%). Il principale problema in questo ambito è l’assenza di un supporto psicologico (41%) seguito dalla mancanza di alcune figure professionali (38%) e da un numero di ore di assistenza insufficienti (29%).
Anche la riabilitazione risente fortemente delle differenze regionali. Infatti risulta adeguata, ma solo in alcune regioni per il 65% delle Associazioni. La principale criticità riguarda i tempi di attesa incompatibili e la mancanza di posti letto e strutture (77%). Particolarmente critica la durata del ciclo riabilitativo, considerata inadeguata dal 73% delle Associazioni.
 
Le principali proposte:
•        prevedere all’interno del Patto per la salute 2013-2015 in discussione l’impegno a realizzare un Piano di azione nazionale sulle patologie croniche;
•        approvare il Piano nazionale sulle malattie rare 2013-2016;
•        istituire i Registri nazionali di patologia, per ciascuna di esse;
•        implementare lo sviluppo di PDTA nazionali in grado di garantire livelli uniformi di assistenza socio-sanitaria su tutto il territorio nazionale;
•        garantire un accesso equo, tempestivo ed uniforme alle terapie farmacologiche, nonché la partecipazione delle Organizzazioni civiche e dei pazienti ai processi decisionali nazionali e regionali inerenti l’assistenza farmaceutica

13 dicembre 2013
© Riproduzione riservata


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