Nel dibattito sulla crisi del Ssn è giustamente e sistematicamente enfatizzato il ruolo della carenza di risorse e di personale, mentre sembra esserci scarsa fiducia sulle eventuali “risorse recuperabili” e cioè sulla possibilità che fare scelte “giuste” sia a livello programmatorio, che gestionale e tecnico-professionale, possa far recuperare almeno parte delle risorse che mancano.
Quello delle risorse recuperabili è un tema che ritroviamo in una recente pubblicazione dell’OCSE dal titolo “Fiscal Sustainability of Health Systems” e sottotitolo “How to Finance More Resilient Health Systems When Money Is Tight?” dove vengono elencate quattro possibili scelte politiche di fronte ad una spesa sanitaria “insostenibile”: aumentare la spesa pubblica complessiva, aumentare proporzionalmente la spesa per la sanità, ridefinire i confini tra spesa pubblica e spesa privata (e quindi noi diremmo ridefinire i LEA) e infine cercare spazi di maggiore efficienza. Le prime due opzioni sembrano difficili da percorrere con effetti significativi perlomeno in tempi brevi e la terza rimetterebbe in discussione l’essenza stessa del Ssn. Per fortuna la quarta, quella che dovrebbe lavorare sugli spazi per la ricerca di una spesa “migliore”, potrebbe avvantaggiarsi del fatto che questi spazi nel Ssn sono molto ampi.
Ho già più volte riportato qui su Qs questa mia personale posizione a partire da un primo intervento del 10 febbraio 2023. Un recente intervento di Giuseppe Remuzzi su il Corriere della Sera mi ha fatto sentire in buona, anzi ottima, compagnia. Il prof. Remuzzi, Direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, così scrive: “Quaranta miliardi di euro — solo per portarci al livello di Francia e Germania — sembrerebbe tanto e qualcuno obietterà che non abbiamo tutti questi soldi. Non è così, quei soldi ci sono e li spendiamo già: fra farmaci, interventi inutili e servizi ridondanti sprechiamo ogni anno proprio quaranta miliardi di euro, quanto servirebbe per rimettere in ordine il Servizio Sanitario Nazionale. Evitare gli sprechi è possibile e dovrebbe essere un imperativo morale, ma perché succeda davvero servono azioni concrete e senso civico da parte di tutti: a partire da chi ha posizioni di responsabilità, ai medici, ai cittadini.”
Queste risorse recuperabili il prof. Remuzzi le destinerebbe ad una sanità che schematizza in un grafico che ripropone in una versione semplificata la sanità della Mission 6 del PNRR con un ruolo centrale del Distretto Sanitario, del medico di famiglia “colonna portante del sistema, che deve poter dipendere dal Servizio Sanitario Nazionale (questo è un punto fermo sul quale non transigere, se no crolla tutto il resto)”, della casa della comunità e degli ospedali di prossimità identificati con “i piccoli ospedali di oggi” che dovrebbero diventare “ospedali degli infermieri”.
Dell’intervento del prof. Remuzzi vale soprattutto l’autorevolezza della fonte, mentre sugli aspetti di dettaglio pesano sia l’eccesso di semplificazione che alcune omissioni importanti, come il ruolo dei Dipartimenti di Prevenzione e quello del Sistema dell’Emergenza Territoriale. Anche la parte sugli “sprechi” è molto efficace nei toni, ma molto meno utile sugli aspetti operativi, perché ancora una volta si dà per noto dove e come si sprechi, ma non è così.
Per cercare di far avanzare di qualche passo il ragionamento sulle risorse recuperabili vorrei provare una loro classificazione ed esemplificazione, fermo restando che qui viene offerta solo una traccia per un possibile approfondimento. Il punto di partenza è la distinzione tra due tipologie di risorse recuperabili:
Un’altra distinzione concettualmente utile è quella tra le risorse recuperabili “primarie” e le risorse recuperabili “secondarie”. Le prime non necessitano di investimenti preliminari su soluzioni alternative (ad esempio la integrazione funzionale prima e strutturale poi di ospedali pubblici vicini che fanno le stesse cose), mentre le seconde hanno bisogno di investire prima sulle soluzioni alternative (ad esempio il potenziamento della assistenza domiciliare).
Qualche considerazione prima di andare avanti:
Passando agli esempi “concreti” ne riporterò un elenco che li distribuisce tra:
Partiamo dagli sprechi e dalle inefficienze nell’area ospedaliera pubblica (si noti come in tutti i casi tranne l’ultimo si tratti di fonti di risorse recuperabili primarie):
Per quanto riguarda la componente privata delle reti ospedaliere regionali, andrebbe fatto un ragionamento a parte capace di tener conto delle forti specificità regionali in questo ambito. In generale credo che almeno due fenomeni potenziali fonti di spreco/inefficienza vadano segnalati:
Anche il sistema dell’emergenza territoriale può comportare sprechi e inefficienze attraverso:
Passando alla assistenza territoriale, pur essendo questo macrolivello molto più afflitto da carenze che non da ridondanze, anche qui si registrano sprechi e inefficienze quali ad esempio:
Nell’ambito del macrolivello prevenzione il tema è soprattutto quello del sottoutilizzo di misure efficaci come testimoniano ad esempio i dati che ci penalizzano e penalizzano soprattutto i nostri cittadini di Health at a Glance: Europe 2024 su vaccinazioni e screening dei tumori.
Gli apparati e i processi amministrativi delle Aziende degli altri Enti del Ssn hanno le loro forme di spreco e di inefficienza legate ad esempio a:
Ci sono poi forme di spreco legate ai processi assistenziali e ai comportamenti clinici quali:
Queste ultime particolari forme di spreco sono favorite dalla perdita di interesse a livello di sistema e quindi sia regionale che aziendale sulla creazione e mantenimento di forme organizzate di monitoraggio e miglioramento della qualità della assistenza anche attraverso un uso dedicato della epidemiologia e degli epidemiologi.
A conclusione di questa panoramica sul ricco repertorio di sprechi e inefficienze che affligge il Ssn e di conseguenza i suoi cittadini, ricordo che una loro buona parte vada fatta risalire ad alcune scelte strategiche e quindi politiche sbagliate tra le quali segnalo:
1. la scelta di rinunciare alla razionalizzazione del macrolivello ospedaliero che già dal 2015 poteva e doveva essere fatto grazie al DM 70 del 2015 largamente inapplicato dalla maggioranza delle Regioni che continuano a mantenere una offerta ospedaliera frammentata e ridondante, non come numero di posti letto, ma come numero di strutture pubbliche per acuti con una funzione di emergenza-urgenza. Questa scelta ne ha comportato di fatto altre per carenza di risorse, come quella di rinunciare alla introduzione del Chronic Care Model che pure era stato previsto nel Piano Nazionale della Cronicità del 2016 e quella di non investire sui servizi territoriali come confermato ad esempio da tutti i dati disponibili ad esempio sui servizi di salute mentale, sui servizi sulle demenze, sui consultori, sui servizi di neuropsichiatria infantile e su quelli che si occupano di dipendenze patologiche;
2. la scelta di non investire sulla medicina di famiglia lasciata soffocare dal peso opprimente della burocrazia, dal doversi far carico di tutto il peso o quasi delle prescrizioni generate dal livello specialistico e lasciata da sola a reggere il peso di campagne disinformative e denigranti;
3. la scelta di non investire sulla prevenzione che, dietro la pandemia di iniziative sulla One Health, soffre nella realtà di una grave carenza di risorse e di attenzione;
4. la assenza di una politica del personale e dentro di questa la scelta di non governare i processi di task shifting necessari per un utilizzo ottimale delle varie figure professionali.
Con l’occasione un buon anno di lavoro a tutti coloro che animano e leggono Qs. Un lavoro che spero aggredirà con più energia la lotta agli sprechi e alle inefficienze.
Claudio Maria Maffei