Oligopolio Dal greco antico ὀλίγοι (ὀlígoi: «poco», «pochi») e -πώλιον (pólion, da πωλεῖν — polèin, vendere), è una forma di mercato in cui poche imprese hanno una struttura di costo simile e producono beni simili. In questo contesto tali imprese pur non potendo stabilire il prezzo di mercato sono però in grado di influenzarlo sostanzialmente.
Diversamente da altre forme di mercato, quali la concorrenza perfetta (in realtà mai esistita) o il monopolio, non esiste un modello unico di oligopolio. Le imprese che operano all'interno di un mercato oligopolistico aggiustano le loro strategie in merito a produzione e prezzi in funzione delle scelte effettuate dalle imprese concorrenti. Questa caratteristica determina un’ampia variabilità di possibili comportamenti, dei modelli di oligopolio.
L'oligopolio è caratterizzato comunque dalla presenza di poche imprese dominanti e in genere da capacità produttiva in eccesso.
Anche nel mondo della sanità è presente un sistema di oligopoli che operano a monte a a valle delle aziende sanitarie e delle agenzie regionali o nazionali che si occupano di HTA o di politiche di acquisti. Parliamo di aziende che producono sia beni sia servizi, spesso multinazionali, da big Pharma a big Tech; che anche quando non controllano il mercato comunque lo influenzano in modo sostanziale. Le loro strategie di produzione e di marketing sono aggressive e la mole di innovazioni che immettono sul mercato così rapide che i vari sistemi regolatori che dovrebbero ricondurre il tutto nella prospettiva del bene comune sono in costante difficoltà e spesso in ritardo.
Monopolio e Surplus
Paul Baran e Paul Sweezy proposero una lettura critica del capitale monopolistico, pubblicando più di cinquant’anni fa “Monopoly Capital” (Il capitale monopolistico, Einaudi, 1968). Gli autori vollero mostrare il grado d’irrazionalità che il sistema era arrivato ad esprimere sottolineandone il potenziale di crisi. Svilupparono la teoria secondo la quale la stagnazione sarebbe lo stato normale del capitalismo monopolistico nella sua fase di maggiore sviluppo. Oggi, in effetti, i principali economisti liberali e globalisti sono costretti ad affrontare la questione della stagnazione e a discutere del ruolo crescente dei monopoli e degli oligopoli e di modelli alternativi, prospettando anche un ruolo di regolamentazione e di compensazione dello Stato in economia per svolgere una funzione anticiclica rispetto alle periodiche crisi del sistema capitalistico.
Le analisi degli economisti contemplano anche la possibile transizione da un contesto oligopolista da uno monopolista. Ciò accade quando uno degli oligopolisti assume un ruolo predominante e diventa leader di mercato. Un certo grado di concorrenza permane, non più basata sui prezzi ma sulla promozione delle vendite (con la pubblicità per indurre consumi), sulla capacità di assicurarsi quote della spesa pubblica (nel nostro caso quella destinata alla salute dei cittadini) e di trovare attenzione da parte del mondo finanza (sempre in sanità, la crescita della presenza dei fondi private equity).
Ai determinanti classici del sistema capitalistico sono profitto, interesse e rendita, quelli che per Karl Marx e gli economisti suoi epigoni costituivano il “plusvalore” si è aggiunto quello che viene chiamato “surplus”.
Se il plusvalore era inteso come il valore aggiunto di cui il capitalista si appropria sfruttando il lavoro altrui, Il surplus indica invece l'eccedenza di produzione rispetto a quanto è necessario per mantenere il sistema produttivo. Il surplus può essere reinvestito per far crescere l'economia, oppure consumato o accumulato. Il surplus ha di fatto spostato l’interesse da e preso il posto del “plusvalore”.
È in questo contesto che la “giant corporation” assume un ruolo dominante. Con la sua capacità di ridurre i costi di produzione, la sua politica di prezzi monopolistici, la sua incidenza nella distribuzione del prodotto, con la quota del profitto che cresce a scapito di quella del lavoro e si generano quote di surplus crescente. Questa è in particolare la legge di un sistema monopolistico dove l’assorbimento del surplus è nella logica delle cose. Anche nel mondo della sanità ci sono esempi del genere, con aziende che sono diventate leader assoluti in certi segmenti di produzione e perciò in grado di modulare selettivamente non solo l’offerta ma anche la domanda.
Oligopolio e monopolio incrementano entrambi il saggio di plusvalore. Per la sua realizzazione è vitale una domanda crescente d’investimento e consumo da parte dei soggetti più ricchi che sostituisca quella dei ceti medi e dei ceti lavoratori che invece è calante a causa del loro sostanziale impoverimento. Qualcosa di analogo sta accadendo quando i consumi sono finanziati dalla spesa pubblica di stati sempre più frequentemente indebitati. È quello che negli anni recenti sta succedendo in molti Paesi OECD.
È di questi giorni la polemica politica su chi scaricare i costi della sindemia post pandemia da SARS-COV-2 definendo gli obiettivi delle Leggi di Stabilità in tutti i Paesi UE e in USA. Questo nonostante che, come indicato da Baran e Sweezy, il funzionamento del sistema produce spreco: uno dei tre modi in cui, insieme al consumo ed all’investimento dei capitali, può esser utilizzato il surplus crescente.
Il surplus insieme al profitto, che rimane lo scopo precipuo del modello capitalista, si manifesta, via via più intensamente, nella misura in cui modi nuovi di sua utilizzazione vengano ad alzarne il livello di assorbimento.
Surplus che con la globalizzazione ha determinato sviluppo sì, ma anche polarizzazione della ricchezza con pauperizzazione sia dei ceti medi sia dei ceti lavoratori, vedi i dati dell’Osservatorio Oxfam 2023-2024.
È la “società liquida” che aiuta l’accumulazione e crea fasce di nuova povertà. Accade per assurdo anche che la chance dell’export di capitale è più che annullata dall’import di surplus, drenato dalle multinazionali dalle aree del sottosviluppo, nel contesto dei processi correnti di globalizzazione. Queste dinamiche possono spiegare sia la stagnazione che la prosperità.
L’esplosione della finanza e la sua autonomia dalle basi produttive
Un importante sviluppo delle tesi di “Monopoly Capital”, sono le tesi di Sweezy e poi di Magdoff che, oltre al grande indebitamento, indicano nel fenomeno dell’esplosione della finanza il fattore chiave che accresce la criticità sistemica. È l’insieme di produzione e finanza che diventa il centro di gravità del sistema e la crisi del 2008 è la testimonianza di come il sistema non riesca a d autoregolarsi.
Oligopoli e mondo sanitario
Antonio Bonaldi, Presidente di Slow Medicine, nell’articolo “La domanda e l’offerta di salute cambiano. Ma non sempre riusciamo a stargli dietro”, pubblicato su questa testata, sostiene che “La domanda e l’offerta di prestazioni viaggiano su due binari divergenti che portano verso scenari del tutto inconciliabili. Su un binario corrono l’innovazione e le nuove tecniche sempre più avanzate. Sull’altro vi sono però pazienti sempre più vecchi e malati che chiedono di essere curati pur sapendo di non poter guarire e che desiderano essere assistiti nel loro contesto abituale di vita”
Nessun altro settore della pubblica amministrazione è soggetto a così numerosi e frequenti provvedimenti volti a modificarne la configurazione istituzionale quanto quello sanitario. La maggior parte di essi si propongono di ridurre i costi di gestione e migliorare la qualità dei servizi, anche se, ad oggi, nessuno è ancora riuscito a dimostrare che tale scopo sia stato raggiunto con successo.
I cambiamenti proposti si sono concentrati sulla ridefinizione degli ambiti territoriali (aziende sanitarie sempre più estese), sulla riorganizzazione dei servizi sanitari e amministrativi (ospedali con o senza territorio, nuove aggregazioni distrettuali e dipartimentali) e soprattutto nella riassegnazione di incarichi professionali sanitari o amministrativi.
Sul piano organizzativo poco o nulla si è visto rispetto ai due punti a più alto impatto sulla salute: il riordino della rete ospedaliera e la riorganizzazione delle cure primarie con logiche rinnovate e più adeguate alla mutata condizione epidemiologica.
Sappiamo quanto i comportamenti delle persone sono influenzati da interessi economici e commerciali e pensiamo che ciò avvenga anche nelle attività che hanno a che vedere con la salute. Non possiamo negare in Sanità che ci troviamo in una condizione di mercato sostenuto da campagne di marketing focalizzate ad aumentare i consumi e trovare sempre nuovi clienti.
Non possiamo scandalizzarci se per il mercato prevale la legge del profitto e le persone sono interessanti in quanto potenziali clienti. A questa ineffabile legge soggiace gran parte della ricerca biomedica, dell’innovazione tecnologica così come la prescrizione di farmaci, le indagini diagnostiche e le altre procedure sanitarie.
Non vogliamo però disconoscere che parliamo di realtà produttive in grado di generare anche benefici reali per i pazienti e per tutta la comunità. La relazione possibile, pragmatica e adeguata è quella di operare dentro una cornice regolatoria che guardi al pubblico interesse e sappia valutare il valore generato da ogni singolo prodotto o servizio in termini di beneficio per i singoli individui e per la comunità e di costo da sostenere.
Una condizione, non facile da trovare, ma non per questo da non ricercare con determinazione, per la quale sono richieste competenza, onestà, lungimiranza, trasparenza e non conflitto ma…. “convergenza” d’interessi.
La “financed-based medicine”
Come ricorda John Ioannidis, epidemiologo e docente di medicina alla Stanford University School of Medicine, siamo ormai tutti esposti alla “financed-based medicine”, dove l’interesse prevalente di alcuni attori non è quello di salvaguardare la salute, ma di ampliare la propria fetta di mercato.
È noto come l’intero ambito della medicina è pervaso da prestazioni inutili e potenzialmente dannose che consumano ingenti quantità di risorse causando sprechi che riducono la possibilità di assicurare i servizi essenziali tutti i pazienti, con rischi per quelli delle classi sociali più disagiate.
Già anni fa il progetto “fare di più non vuol dire fare meglio”, di Slow Medicine, sviluppato insieme a numerose società scientifiche, dimostrò che almeno 2.400 procedure cliniche correnti non avevano alcuna prova di evidenza di efficacia. Il Ministero della Salute ne prese atto e promulgò il cosiddetto DM “Appropriatezza”, la cui fine è nota: il ritiro dopo forti pressioni di lobby non solo degli oligopolisti di mercato, ma anche dei professionisti della sanità.
Oggi siamo già oltre: nuove conoscenze e nuove tecnologie rendono possibile ciò che in passato sembrava impensabile e ciascuno di noi vorrebbe e potrebbe essere trattato dal miglior specialista, nel modo più minuzioso possibile e nel luogo dotato delle tecnologie più innovative.
Tutti pazienti oggi sono potenziali protagonisti di una nuova medicina: di precisione e di comunità, nell’accezione di un approccio alla persona e ai suoi complessi bisogni sanitari, socio sanitari e sociali, come peraltro l’applicazione del DM 77 e della missione 6 del PNRR prevedono e dovremmo riuscire a realizzare.
Per una sanità che cura e non fa solo profitti
Ancora oggi, nonostante le prove dello scarso valore generato, un gran numero di attività negli ospedali sono riconducibili a una medicina nella quale i saperi sono sempre più frammentati e iper specialistici e gli specialisti tendono a lavorare in modo isolato o in team ristretti.
Per loro natura gli specialisti non hanno una visione d’insieme, agiscono nel corso di episodi acuti della malattia e per brevi periodi di tempo. Hanno logiche che guardano più spesso alla prestazione che non al percorso di cura. Non è una critica ma una considerazione sul loro ruolo che deve tenere a mente chi, chiamato ad avere una visione sistemica, è responsabile delle cure ai cittadini su più ampia scala. Questo perché i bisogni sono molto più ampi e complessi.
Crescono le solitudini, le fragilità che spesso diventano proxy di cronicità o poli-cronicità, crescono insicurezze e disagi sociali e le fasce di popolazione sull’orlo della povertà assoluta e non tutto si può medicalizzare anche se per gli oligopolisti della salute questa potrebbe essere una prospettiva molto lucrosa.
Le dinamiche sociali e i cambiamenti culturali non sono fattori indipendenti nell’efficacia di un sistema di cure ed assistenza. Combattere solitudini, fragilità, insicurezze, povertà dispensando farmaci anti depressivi o altro non risolve i problemi delle persone coinvolte, anzi le aggrava, fa perdere lucidità e crea dipendenze … ed ecco sullo sfondo un altro mercato oligopolistico, quello delle finte sicurezze, delle droghe e della dipendenza totale.
Ci sono però anche buone notizie come prove di policy efficaci contro la solitudine come quelle sviluppate in Gran Bretagna in alcuni siti pilota, ad esempio Frome, una cittadina di 45.000 abitanti nel Somerset, che mostrano che una via alternativa esiste.
La sfida culturale e organizzativa
Oggi serve un grande investimento culturale sui professionisti e gli operatori della sanità e del sociale per renderli abili alle nuove metodiche, ai nuovi strumenti, ai nuovi flussi di dati e alle nuove evidenze cliniche. Questo sarà il driver dell’appropriatezza prescrittiva e clinica, anche se ci sarà chi si oppone … gli oligopolisti non sono sempre innovativi, anzi, spesso devono frenare l’innovazione per massimizzare il ritorno del loro investimento. Accade per i farmaci e per i dispositivi medici, per le alte e le più semplici tecnologie e può ritardare cambiamenti delle procedure cliniche e organizzative interferendo negativamente sul potenziale di efficienza del sistema.
Dalla medicina “riduzionista” a quella “sistemica”
Come in natura la specializzazione si accompagna sempre all’integrazione, così alla medicina specialistica di tipo riduzionistico, centrata sul trattamento della malattia, occorre affiancare la medicina basata sull’approccio sistemico, sull’integrazione dei saperi e centrata sulla persona.
Se su una strada corre sempre più veloce la specializzazione e la suddivisione dei saperi e delle tecniche, su un'altra ci sono pazienti sempre più vecchi e malati che chiedono di essere curati, ma che sanno di non poter guarire, che desiderano essere assistiti nel loro abituale contesto di vita, senza dover abbandonare i loro affetti e la propria casa. Persone che aspirano ad una vita e ad una morte dignitosa che vanno aiutate nella ricerca del benessere possibile facendo leva sulle loro residue capacità di adattamento.
Le due strade dovranno prima o poi incontrarsi.
Le cure dei pazienti che hanno cronicità multiple e devono convivere con le loro patologie per il resto della vita richiedono una pluralità di linguaggi, integrazioni delle conoscenze e una presa in cura complessiva per tempi indefiniti, da realizzare nel proprio contesto di vita familiare e di comunità.
Alcune idee e proposte su come organizzare le nuove reti territoriali le abbiamo raccolte nel recente ebook “Fragilità, cronicità e diseguaglianze di salute” edito da “Cultura e salute”, che si può trovare sul sito www.asiquas.net e su quello dell’editore, ma già nel 2013, come SIQUAS VRQ, affrontammo il tema dei “Requisiti di qualità nell’integrazione tra sanità e sociale”, (Franco Angeli Editore) e poi nel 2021 con “La qualità nell’integrazione tra sanità a e sociale”, Editore COM SRL Roma (2012), referente scientifico il Prof Francesco Di Stanislao e un numeroso gruppo di colleghi. Anche queste pubblicazioni possono essere scaricate dal sito www.asiquas.net.
Oligopoli, progresso tecnico … e crisi delle democrazie e del welfare
I monopoli e/o gli oligopoli sono oggi i player dei mercati, “finanziarizzati” e slegati dalle basi produttive delle singole economie nazionali.
La globalizzazione ha permesso lo sviluppo di Paesi del terzo e quarto mondo portandoli alla ribalta dell’economia mondiali ma allo stesso tempo ha causato una polarizzazione della ricchezza in tutti i Paesi coinvolti nelle filiere produttive globalizzate e integrate.
Nei Paesi occidentali sono entrati in crisi i modelli di sviluppo precedenti generando una pauperizzazione crescente dei così ceti medi e delle classi lavoratici (operai dell’industria, dell’agricoltura e dei servizi) e sono entrati anche in crisi i meccanismi della democrazia partecipata, con livelli un tempo impensabili di astensionismo elettorale. Le società democratiche per come le abbiamo pensate, e per come aspireremmo che fossero, sono insidiate da movimenti populisti, sovranisti e nazionalisti.
In questo scenario globale noi siamo un Paese con sempre più vecchi che da una parte sostengono economicamente, con i risparmi accumulati negli anni, i giovani ancora “incapienti” ma dall’altra generano un onere previdenziale sulla cui sostenibilità multi dubitano.
Questa pletora di cittadini anziani richiede una capacità finanziaria consistente per sostenere servizi sociosanitari e sociali adeguati alla domanda di oggi e a quella in divenire. Nel contempo abbiamo un restringimento della base imponibile nazionale per la denatalità e l’invecchiamento progressivo della popolazione.
E quindi…
Avremmo bisogno oggi – secondo Asso Lombarda – di almeno 2.000.000 di lavoratori qualificati per colmare i vuoti che abbiamo nelle aziende che producono beni e servizi e non abbiamo politiche di immigrazione finalizzate a tali obiettivi, nonché politiche di inclusioni adeguate, salvo eccezioni di Enti Locali sparsi per la penisola.
Con la crisi dell’economia tedesca, e forse di quella francese, con cui condividiamo molte filiere produttive, rischiamo processi recessivi a breve e medio termine. La crescita del contributo al PIL della nostra industria è ferma da 21 mesi. Innovazione e ricerca sono possibili se le imprese hanno orizzonti di mercato a 4/5 anni … altrimenti lavorano sull’acquisito e interveniamo sulla produttività solo comprimendo il costo del lavoro, cioè i salari.
Se questo è lo scenario il welfare in Italia rischia di subire un ulteriore ridimensionamento in tutte le sue componenti: previdenza, servi sociali, sanità.
La sanità non è più in grado di continuare a offrire servizi e reti obsolete e costose. Adottare modelli innovativi da scelta diventa obbligo.
La carta costituzionale prevede che la salute collettiva e dei singoli sia assicurata, il Servizio sanitario nazionale è lo strumento fondamentale ma non il solo. Una visione politica che vuol interpretare la complessità contemporanea deve sapersi muovere nel contesto multistakeholder che la caratterizza per trarne vantaggi per i cittadini e non perdita di garanzie.
Conosciamo tutte le influenze e le spinte che si riversano sulla amministrazione della salute dei cittadini.
A parte quelle illecite, che esistono e dobbiamo reprimere, ci sono quelle esercitate da soggetti che, pur muovendosi per fare (legittimo) profitto, possono essere partner e non fornitori concorrenti.
La via maestra di quest’alleanza è che lo stato e, nel nostro ordinamento, le singole Regioni conoscano ed affermino il bene comune e riconducano tutte le risorse reperibili nel contesto socio economico finanziario alla generazione di valore che si traduca nell’incremento del bene comune.
Questo approccio, per altro, è quello di “salute in tutte le politiche”, ovvero, “one health” …
Giorgio Banchieri
Segretario Nazionale ASIQUAS, Docente DiSSE, Università “Sapienza”, Roma;
Andrea Vannucci
Membro CTS ASIQUAS, Docente DiSM, Università Siena, Membro CD Accademia di Medicina, Genova.