Terapie intensive: nelle Regioni forse serve qualche posto letto in meno e una rete clinica in più
di Claudio Maria Maffei
13 SET -
Gentile Direttore,
le drammatiche difficoltà a dare assistenza intensiva ai pazienti colpiti dal Covid-19 nella prima fase della pandemia ha determinato la scelta del
DL 34/2020 di procedere ad un forte incremento in tutte le Regioni dei posti letto di terapia intensiva e semi-intensiva. Con
le linee di indirizzo ministeriali per la declinazione operativa del DL ci si è dati l’obiettivo di incrementare di 3500 i posti letto di terapia intensiva pre-pandemia, pari a 5179 per un totale di 8679.
Alla quotidiana rilevazione Agenas sui posti letto di terapia intensiva finalizzata a quantificare la percentuale di quelli occupati da pazienti Covid ne risultano oggi, 12 settembre 2021, 9079.
E cioè 400 di più di quelli previsti dal DL 34. Buona parte di questi posti letto in più si trovano in Veneto, Regione che ne dichiara all’Agenas 1000 rispetto ai 705 previsti nel DL 34. In linea teorica questi 9000 posti letto circa dovrebbero essere “attivi” e cioè strutturalmente idonei e organizzativamente funzionanti con risorse proprie e quindi non prese da altri reparti. Q
uel numero è verosimilmente “gonfiato” per tenere basso l’indice di occupazione dei posti letto di terapia intensiva che porterebbe in giallo una Regione col 20% in caso di incidenza settimanale di nuovi casi tra 50 e 150.000 ogni 100.000 abitanti che è il dato comune a quasi tutte le Regioni. Conosco ad esempio bene la realtà della Regione Marche che dichiara 212 posti letto di terapia intensiva attivi includendoci anche i 42 del Covid Hospital chiuso e quelli di rianimazione post-cardiochirurgica e pediatrica che a logica non andrebbero conteggiati.
Forse con l’esperienza di questo oltre un anno e mezzo di pandemia andrebbe fatta una riflessione più ragionata sul fabbisogno di posti letto di terapia intensiva distinguendo quelli “di base” necessari in periodi a bassa pressione pandemica e quelli da attivare solo quando questa sale. A mio parere, con una comprensibile ma eccessiva fretta, si è stabilito col DFL 34 che comunque i posti letto di terapia intensiva fossero in partenza pochi.
Nello
studio condotto in Toscana nel 2017 dal Gruppo Italiano per la Valutazione degli Interventi in Terapia Intensiva (GiViTI), si è rilevato come:
- quasi il 40% dei turni di degenza fosse caratterizzato da una disponibilita di risorse eccessiva rispetto al carico assistenziale dei pazienti presenti;
- le giornate di degenza fossero per più di un terzo caratterizzate dalla presenza di pazienti di livello ordinario, che verosimilmente non trovano la possibilita di essere trasferiti dalla terapia intensiva, una volta migliorate le loro condizioni cliniche. Ciò sembrava evidenziare la carenza in Regione sia di reparti sub-intensivi sia di posti letto nei reparti generali, cui trasferire i pazienti;
- vi fosse, al contrario, un difetto di risorse infermieristiche, nel 13.4% dei ricoveri e nel 10.9% dei turni di degenza. Pur trattandosi di un fenomeno preoccupante, dal momento che potrebbe essere associato ad una assistenza sub ottimale, la sua entità era piuttosto modesta quando confrontata col fenomeno del sottoutilizzo delle risorse umane a disposizione.
Lo studio GiVitTI aveva documentato un altro dato fondamentale nelle due regioni partecipanti (l’altra era il Piemonte): la presenza di un numero elevato di terapie intensive con un ridotto numero di posti letto al di sotto di quel numero che sembra configurarne la dimensione di massima efficienza organizzativa: 8. Solo il 50% delle terapie intensive toscane e il 31% di quelle piemontesi aveva più di 8 posti letto.
Sempre con riferimento alla situazione delle terapie intensive italiane in fase prepandemica, da una
analisi fatta qui su QS da Bozzi sui dati dell’annuariostatistico 2019 del Ministero della Salute emerge il frequente riscontro di terapie intensive con tassi di occupazione tra il 65 ed il 75%. A completamento del quadro vale la pena di richiamare il tema del ricovero ancora frequente in terapia intensiva di pazienti candidati piuttosto ad un percorso di palliazione, tema complesso
da anni all’attenzione degli specialisti e professionisti più coinvolti.
Da una analisi dunque della situazione dei posti letto di terapia intensiva in epoca prepandemica non emerge quella carenza di posti letto che ha portato in automatico alla definizione di uno standard di riferimento di 14 posti letto ogni 100.000 abitanti.
Se si va a guardare poi l’andamento dei ricoveri in terapia intensiva (sono estremamente utili al riguardo le
elaborazioni del dott. Paolo Spada per la pagina Facebook di Pillole di Ottimismo, in particolare il grafico mobile n.5) si vede come vi sia una loro grande variabilità per cui accanto a periodi di massima pressione con punte massime di ricoveri in terapia intensiva ad inizio aprile 2020 (4.068 casi), fine novembre 2020 (3846 casi) e aprile 2021 (3743 casi), vi sono periodi di pressione molto più ridotta. Allo stesso tempo è ormai confermata
la forte riduzione dei ricoveri in terapia intensiva nei soggetti che hanno completato il ciclo vaccinale(95,7%) come anche in quello di chi ha fatto una sola dose (90,8%).
Diventa a questo punto opportuno tornare (in molti casi cominciare) a ragionare con i professionisti sulle reti regionali di terapia intensiva perché la scelta di quanti letti di terapia intensiva mettere complessivamente a disposizione e di dove metterli a disposizione è decisiva. Decisiva innanzitutto per la stima del personale necessario per farlo funzionare. A solo titolo di esempio, la Regione Emilia-Romagna nel suo
Piano di riorganizzazione delle terapie intensive in corso di pandemiaha previsto 6 medici e 30 infermieri per ciascun modulo da 8-10 posti letto.
Quindi il compito in classe per le Regioni non dovrebbe essere più oggi limitarsi a presentare un piano con lo stato di avanzamento dei posti letto aggiuntivi previsti del DL 34, ma predisporre un piano di revisione complessiva delle attività di terapia intensiva comprensiva di un adeguamento progressivo della rete ospedaliera alle indicazioni del DM 70, di una riduzione degli ospedali con una attività di terapia intensiva al di sotto di una certa soglia di posti letto, di un potenziamento “ordinario” e non “straordinario” delle terapie semi-intensive e della creazione di una rete clinica con il coinvolgimento dei professionisti che abbia:
1. responsabilità gestionali chiare;
2. obiettivi definiti e valutabili;
3. modalità operative ed organizzative comuni definite e riviste in modo formalizzato;
4. un sistema di monitoraggio;
5. un budget assegnato.
Così procedendo forse non serviranno tutti quei posti letto “virtuali” comunicati dalle Regioni al Ministero, tanto è vero che
qui su QS la Prof.ssa Flavia Petrini (Presidente SIAARTI – Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva) e il Dott. Alessandro Vergallo (Presidente AAROI-EMAC – Associazione Anestesisti Rianimatori Italiani – Emergenza Area Critica) partecipando qui su QS al Forum sull’Ospedale hanno scritto che: dei pl “Covid” in Terapia Intensiva vanno mantenuti quelli “strutturati”, non quelli “recuperati” convertendo altri ambienti e personale e che non servono 9.000 pl prospettati ma dobbiamo lavorare per garantire gli standard minimi nei 7.000 effettivamente oggi disponibili, a prescindere dalla fase della pandemia Covid-19.
Claudio Maria Maffei
Coordinatore scientifico Chronic-On
13 settembre 2021
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Lettere al direttore