Gentile direttore,
nell’acceso dibattito sulle liste di attesa e sui modi per contenerle uno spazio importante è riservato (tranne che nel Decreto che omette di occuparsene) alla inappropriatezza. Quella cui di solito ci si riferisce è quella prescrittiva, quella che fa dire al Ministro Schillaci
che il 20-30 % delle prescrizioni è inappropriato. Le disdette peserebbero per un altro 20%. Per inciso ho l’impressione che il 20% nella sanità italiana vada molto visto che anche gli sprechi si aggirerebbero secondo GIMBE su questa percentuale, ma GIMBE la sua stima la motiva. Essendo l’attenzione concentrata sulla dimensione prescrittiva gran parte delle proposte sulla inappropriatezza si concentrano sul possibile ruolo delle linee guida cui starebbe lavorando anche l’Istituto Superiore di Sanità e sui controlli per i quali il Ministro Schillaci stava immaginando in una prima versione del Decreto (poi fortunatamente scomparsa) alcune fantasiose misure come calcolare in base al bacino di pazienti di ogni medico prescrittore le ricette potenzialmente attese e nel caso di superamento di questo "tetto" di prescrizioni accendere una spia rossa “che consentirà a ogni Regione di intervenire in una determinata area raggiungendo anche il singolo camice bianco per capire le ragioni delle troppe ricette e rimettendo così in linea i gruppi di medici o i dottori che prescrivono in modo anomalo”.
Di inappropriatezza hanno scritto su queste pagine un contributo importante giusto un anno fa Banchieri e Vannucci che ne hanno ricordato la definizione: utilizzo corretto (basato sulle evidenze e/o esperienza clinica e/o buone pratiche) di un intervento sanitario efficace, in pazienti che ne possono effettivamente beneficiare in ragione delle loro condizioni cliniche. Una definizione che rimanda ancora una volta alla dimensione clinica e quindi prescrittiva.
Ma la inappropriatezza ha altre dimensioni che pesano altrettanto se non più della inappropriatezza prescrittiva, di cui sono peraltro dei fattori favorenti. La prima di queste dimensioni è quella organizzativa. Sempre Banchieri e Vannucci nel loro interveno hanno allargato il concetto di inappropriatezza a questa ulteriore dimensione così definita: “... erogazione di un intervento/prestazione in un contesto organizzativo idoneo e congruente, per quantità di risorse impiegate, con le caratteristiche di complessità dell’intervento erogate e con quelle cliniche del paziente”. Questa definizione di inappropriatezza viene esplorata di solito con esclusivo riferimento all’ospedale e viene utilizzata per identificare i ricoveri ordinari a rischio di inappropriatezza (di qui un elenco molto vecchio e altrettanto discutibile di DRG a rischio di inappropriatezza). Ma proviamo ad applicare la dimensione della appropriatezza organizzativa alle prestazioni ambulatoriali per vedere se e quando sia possibile erogarle in un contesto organizzativo idoneo e congruente in termini di risorse impiegate rispetto alla complessità clinica del paziente. Si tratta in pratica di capire se quella prestazione clinicamente appropriata che finisce per intasare i CUP o per essere trasferita al regime privato o addirittura ai Pronto Soccorso possa essere magari eseguita in contesti “più sostenibili”. E qui le opportunità sono tante tra cui ad esempio:
Accanto a questi problemi di appropriatezza organizzativa per così dire specifici legate a specifiche condizioni ciniche e a specifiche prestazioni, ci sono quelli di appropriatezza organizzativa “di sistema” che pesano come un macigno come la ridondanza e dispersione delle reti ospedaliere che immobilizzano troppe risorse nella continuità assistenziale nelle 24 ore che un ospedale deve avere (anche qui gli standard ci sarebbero e sono quelli del DM 70).
Vi è una terza forma di inappropriatezza a pesare sulle liste di attesa, quella amministrativa che possiamo definire come “la previsione di regole e riferimenti amministrativi che ostacolano le prescrizione appropriate e la loro produzione”. E qui almeno tre esempi mi vengono in aiuto:
Da penultimo ricordo la inappropriatezza della domanda che precede la fase della prescrizione e riguarda sia lo “stile di lavoro” del medico che agisce in regime privato (spesso orientato all’approfondimento senza responsabilità prescrittive) che l’atteggiamento a volte “consumistico” dei cittadini che sempre Banchieri e Vannucci suggeriscono di contenere con iniziative di alfabetizzazione sanitaria e alfabetizzazione digitale.
Da ultimo cito la inappropriatezza di approccio: fino a che le liste di attesa verranno affrontate solo sui versanti dell’aumento della produzione e del controllo della prescrizione non andremo molto avanti e sempre più spesso i cittadini dovranno fare da soli, sempre che se lo possano permettere o “conoscano qualcuno”.
Se anche per la inappropriatezza vale la espressione “se la conosci la viti”, allora ricordiamoci dei molti modi in cui si può manifestare.
Claudio Maria Maffei