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Aggressioni ai sanitari. Una legge per procedere d’ufficio

di Paolo Siani (Pd)

06 GIU - Gentile Direttore,
un solo articolo per una legge semplice, ma necessaria, e crediamo efficace, che consenta di procedere d’ufficio nei casi di aggressione contro medici, infermieri o personale sanitario, senza bisogno di sporgere denuncia da parte della persona aggredita, questo il senso della nostra proposta di legge. Si stima che siano oltre tremila i casi di aggressione a medici e infermieri ogni anno, ma solo 1.200 sono quelli denunciati all'Inail. Il sindacato degli infermieri afferma che i più esposti al rischio sono gli addetti al pronto soccorso, con 456 casi nell'ultimo anno.
 
Le aggressioni a medici e a infermieri che lavorano in corsia, quindi non in un reparto di pronto soccorso, sono state circa 400, negli ambulatori  320.
 
Dati che parlano chiaro: c'è bisogno di ristabilire il patto di alleanza tra medici e pazienti.
Non servirà soltanto inasprire le pene, perché sono pochi i medici che denunciano. Bisognerà lavorare per ridare fiducia ai cittadini e mettere i medici e gli infermieri nelle condizioni di poter svolgere al meglio il loro lavoro, e proteggere così il diritto alla salute previsto dall’articolo 32 della Costituzione.
 
I dati ci dicono che al Sud le aggressioni sono più frequenti. Ciò rappresenta lo specchio delle disuguaglianze di questo Paese. Le carenze organizzative al Sud sono infatti maggiori.
Fare il medico è difficile, perché spesso è complicato fare una diagnosi corretta e altrettanto difficile è anche saper comunicare bene con i pazienti.
 
C’è bisogno di serenità e di fiducia. Se si rompe il patto di fiducia con i pazienti, il medico attua la medicina difensiva che non è la migliore per i pazienti e neanche per il Sistema Sanitario Nazionale, in quanto è molto più costosa.
 
Negli ospedali, gli episodi di violenza si concentrano in alcune fasi della giornata lavorativa, come i turni di sera o di notte e durante i fine settimana, probabilmente per il relativo isolamento in cui si trova il personale a causa dell’organico ridotto. Non sono rari, però, anche episodi di aggressione ai danni di operatori sanitari presso i reparti di accettazione, nelle sale di attesa e negli ambulatori di continuità assistenziale. Si deve sottolineare, inoltre, la difficoltà di quantificare e descrivere la violenza negli ambulatori. Spazi sovraffollati dove il paziente è costretto a lunghe attese senza ricevere informazioni e senza poterle facilmente reperire, in aggiunta a una condizione personale di sofferenza e di malattia, innescano con maggiore probabilità l’atto violento nei confronti di medici e infermieri, che, pur non essendo i diretti responsabili, sono l’interfaccia verso l’utente dell’intera struttura sanitaria e della sua organizzazione.
 
Tra i molti fattori scatenanti e ritenuti dalla letteratura tra i più influenti vanno citati l’insufficiente preparazione dei medici a gestire situazioni complesse in emergenza, il sovraffollamento dei pronto soccorso, la mancanza di triage, l’inadeguatezza della struttura (locali non adatti e poco accoglienti, basso livello di umanizzazione delle cure), pazienti che fanno uso di alcool o di droghe e pazienti con un basso livello socio - culturale.
 
Per contrastare il fenomeno sono stati proposti alcuni interventi e in particolare la realizzazione di campagne di comunicazione ad hoc, la formazione dei medici e del personale sanitario con programmi specifici (si è constatato che questo riduce gli episodi di violenza), l’incremento della vigilanza e dei posti di polizia, l’installazione di sistemi di videosorveglianza e la previsione di modifiche strutturali dell’edilizia sanitaria.
 
E' stato anche ipotizzato il ricorso all’esercito, in analogia all’operazione “Strade sicure”.
Molto utili sono anche gli interventi di sostegno psicologico agli operatori aggrediti.
Nonostante il fenomeno sia sempre più sotto i riflettori e ci sia maggiore consapevolezza delle relative cause, i casi – anche molto gravi – di violenza sugli operatori sanitari non sembrano arrestarsi. Nello stesso tempo, l’esigenza di maggiore tutela nasce anche dalla circostanza che i medici sono spesso restii a denunciare.
 
Abbiamo pertanto redatto una proposta di legge, composta da un unico articolo, che ha l’obiettivo di inserire nel libro secondo (Dei delitti in particolare), titolo XII (Dei delitti contro la persona), capo I (Dei delitti contro la vita e l’incolumità individuale), del codice penale una fattispecie di reato specifica che tuteli i medici, gli infermieri e tutto il personale sanitario nell’esercizio delle loro funzioni.
 
In particolare si prevede la procedibilità di ufficio, in modo da innescare un meccanismo automatico per la repressione penale di fatti che riguardano l’incolumità della categoria. Quindi, come avviene per le fattispecie di reato più gravi, la procedibilità di ufficio elimina la necessità che la vittima sporga querela. In concreto, l'art. 582-bis stabilisce quanto segue:  “Chiunque cagioni una lesione personale, dalla quale derivi una malattia nel corpo e nella mente, a un medico o al personale sanitario nell’esercizio delle loro funzioni, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. Per il reato previsto dal presente comma si procede d’ufficio ai sensi del comma 2 dell’articolo 50 del codice di procedura penale. Nei casi di lesioni gravi e gravissime, si applicano le pene previste dall’articolo 583”.
 
Chiediamo al presidente della Camera di mettere in calendario questa proposta di legge per dimostrare attenzione e considerazione della politica a tutto il mondo della sanità, che vive giorni davvero difficili.
 
Paolo Siani
Pediatra e Parlamentare
Componente 12ª Commissione Affari Sociali della Camera

06 giugno 2019
© Riproduzione riservata

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