Lettere al Direttore
Il Ssn non rischia se si regolamenta per tutti la libera professione intramoenia
di Saverio ProiaGentile Direttore,
il suo quotidiano ha ripreso la questione dell’esercizio della libera professione intra moenia per i dipendenti del SSN appartenenti alle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione e di ostetrica al contrario delle professioni sanitarie di medico, odontoiatra, veterinario, biologo, chimico, fisico e psicologo.
Il primo di Francesco Macrì le cui analisi e proposte condivido, il secondo dell’On.le Malavasi che ricorda e rilancia le proposte legislative in materia da tempo presentate e il terzo di Marco Geddes De Filicaia che esprime obiezioni nel merito, il quale è persona quanto mai rispettabile e stimabile, sincero difensore dei contenuti della legge di riforma sanitaria, tuttavia mi permetto, pacatamente, di avere una opinione diversa su quanto espresso, tra l’altro più volte espresse anche in questo quotidiano e da lungo tempo.
Non vedo alcun pericolo per il SSN se si omogeneizza il diritto alla libera professione, che nella specifica proposta di legge di riforma dell’On.le Malavasi e in più emendamenti da lei proposti per il comparto è solo intra moenia, quindi non vi è nessuna fuga, tra l’altro impedita dalle norme europee sul massimo orario di lavoro.
Queste professioni sanitarie godevano già di una forma di libera professione regolata per legge e contrattualmente le c.d prestazioni aggiuntive che le Aziende richiedevano, o meglio compravano e comprano per coprire i deficit di organici nei servizi attuali e in quelli di nuova istituzione; inoltre, vi è la norma che la consente nella vigente legge , però con limiti, completamente diversi e al ribasso rispetto a quanto previsto per la dirigenza medica e veterinaria nonché una durata temporale della sperimentazione, non un diritto ma una facoltà su richiesta dell’interessato e su autorizzazione aziendale.
Che ci sia un palese contrasto, forse anche incostituzionale tra l’ordinamento in materia tra i dirigenti medici e sanitari con i professionisti sanitari del comparto ambedue dipendenti delle Aziende sanitarie, talora con problemi di pari accesso a queste modalità di erogazione di prestazioni sanitarie, mi pare palese e inconfutabile.
Faccio, il facile esempio di una donna in gravidanza che ha la facoltà di scegliere il ginecologo di cui si fida in regime di libera professione intramoenia e non l’ostetrica che seguirà la sua gestazione, il parto e la successiva fase di puerpera, così come non si può scegliere il fisioterapista di cui si fida maggiormente ma può scegliere l’ortopedico, il fisiatra e il reumatologo, così per l’infermiere e le altre professioni sanitarie.
Eventi, invece che spesso avvengono sotto la forma di lavoro sommerso e quindi saremmo in presenza di un’emersione dello stesso e la sua regolarizzazione normativa ed economica con la conseguente tassazione, i cui proventi potrebbero finanziare ulteriori aumenti delle specifiche indennità contrattuali di queste professioni e non mi pare poco, visti l’entità delle loro retribuzioni non corrispondenti al peso dell’attività e responsabilità professionale che svolgono.
Queste scelte radicali evolvendo l’esercizio di queste professioni con maggiore valorizzazione e apprezzandolo in ogni forma possibile, in modalità olistica, potrebbe rendere più appetibile alle nuove generazioni l’iscrizione agli specifici corsi di laurea, drammaticamente in diminuzione per quelli di infermiere e non solo per coprire il turn over ma anche per provare a coprire la preoccupante voragine di mancanza di infermieri nel nostro SSN, così come potrebbe convincere una parte rilevante dei migliaia di infermieri emigrati dalla Norvegia alla Penisola Arabica a ritornare in Patria.
È noto che undici milioni, almeno, di italiani hanno stipulato individualmente o collettivamente nei rinnovi contrattuali o per appartenenza ad una categoria, un’assicurazione sanitaria integrativa e quindi sono in grado di corrispondere l’onorario a questi professionisti, invece che finanziare il privato, così come alcune prestazioni potranno essere retribuite con un importo di poco superiore al previsto ticket.
Per queste motivazioni appare corretto sostenere che siamo in presenza di un evidente incostituzionalità tra le norme delle professioni sanitarie della dirigenza e quelle del comparto ed una motivazione del genere dovrebbe indurre Governo e Parlamento accogliendo, così, anche le richieste in materia contenute nelle piattaforme per rinnovi contrattuali in sanità di CGIL, CISL, Uil e degli altri sindacati di normare il diritto alla libera professione intra moenia per tali professioni sanitarie.
Se poi la libera professione è considerata il male assoluto allora con coerenza va ripensata anche per la dirigenza medica e sanitaria e non estesa anche agli infermieri e alle altre professioni, ma siccome non è così, come dimostra la modalità con cui è gestita dalle Regioni ove è ben amministrata ad iniziare dall’Emilia-Romagna, basterebbe quindi che le altre Regioni si adeguino a questo modello.
Lungi da me pensare che chi critica l’estensione della libera professione ad infermieri ed atri possa esprimere una posizione classista considerando ancora l’infermiere ancora nel ruolo ausiliario e ancillare al medico prima che le leggi di riforma ordinamentale e formativa delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica, votate le prime, quelle fondamentali, all’unanimità e le successive a grande maggioranza liberando queste professioni dalla loro condizione di ausiliarietà subalterna e ancillare, rendendole professioni autonome nell’accezione liberale, formate anch’esse dagli Atenei con accesso anche ad un incarico dirigenziale (introdotto dalla 251/00) inoltre Regione Emilia-Romagna, nella Provincia autonoma di Trento e stanno per farlo altre Regioni, nella Direzione strategica del Direttore Generale delle Aziende sanitarie è previsto, insieme ai Direttori sanitario, amministrativo e sociosanitario anche quello assistenziale proveniente dalle professioni sanitarie della legge 251/00, non esclusivamente infermiere infatti nell’Azienda di Trento è un fisioterapista e, per finire, a questi professionisti infermieri ed altri sono affidati incarichi di Direttore di Distretto e di Unità operativa complessa, ricordando che questo Direttore coordina anche l’attività dei dirigenti medici e sanitari in servizio in quella struttura, ma non sarà certamente il pensiero di Marco Geddes De Filicaia.
Mi pare, pertanto, che si deduce che è finita l’epoca dei professionisti liberi e quelli; invece, liberti, cioè quei soggetti affrancati dalla schiavitù forniti di una capacità giuridica rispetto al nato libero nell’antica Roma e, quindi, per completare il processo di riforma di queste professioni sanitarie iniziato dalle leggi del primo governo Prodi quarant’anni manca solo il tassello del diritto alla libera professione intramoenia regolamentata, ovviamente per legge e, come è noto, non è mai esisto un processo di riforma di queste professioni sanitarie così profondo e discontinuo nella formazione e nell’ordinamento in nessun’altro comparto lavorativo.
Saverio Proia