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Corte Costituzionale ammonisce il legislatore a ridurre le spese indistinte per non tagliare quelle per la sanità pubblica

di Fabio Cembrani

23 DIC -

Gentile Direttore,
la querelle politica di queste settimane tra chi ha ripetutamente annunciato (con le vene del collo spesso gonfie) l’incremento del fondo sanitario nazionale e chi lo ha categoricamente smentito relativizzandolo in quota percentuale rispetto al prodotto interno lordo (PIL) è stata particolarmente dura, a tratti veemente per non dire violenta. Con la calcolatrice alla mano digitata sul suo smartphone dal(la) presidente del Consiglio dei Ministri nello studio della trasmissione ‘Porta a Porta’ condotta da Bruno Vespa, il suo siparietto ha avuto un epilogo triste, davvero imbarazzante che mi ha riportato alla mente il divertentissimo libro ‘Lo Zibaldino’ di Giovanni Guareschi. Nessuno di noi ha così capito se e come aumenterà la spesa sanitaria della nostra ‘povera Patria’ come la chiamerebbe Franco Battiato, sempre più intrappolata in quella sindrome italiana di cui ha parlato il CENSIS nella sua ultima analisi sulla situazione socio-economica del Paese [1].

L’impoverimento demografico, l’invecchiamento della popolazione, la perdita del potere d’acquisto, la povertà (assoluta e relativa), la diffusa solitudine che colpisce tutte le fasce d’età e la scarsissima tenuta del nostro sistema di welfare ne sono le coordinate dominanti che smentiscono la narrazione politica di chi afferma che la colpa dei disservizi è di chi ha a lungo governato l’Italia e che tutti i nostri marco-indicatori economici, a partire dallo spread, sono in netta ripresa grazie all’azione politica dell’attuale maggioranza di Governo.

Non sono però convinto che la nostra situazione socio-economica sia quella descritta. Un dato per tutti senza entrare nel merito della crisi industriale che sta da tempo attanagliando il nostro Paese, che non è più congiunturale ma strutturale e che è purtroppo destinata a peggiorare nel 2025 soprattutto nel settore tessile ed in quello dell’auto anche per le scellerate scelte dell’Europa: nell’ultimo anno il 62,1% degli italiani, come ha ben evidenziato il CENSIS, è stato costretto a rinviare un check-up medico, gli accertamenti diagnostici o le visite specialistiche perché la lista di attesa negli ambulatori del Servizio sanitario nazionale era troppo lunga e perché il loro costo nelle strutture sanitarie private era troppo elevato. Parallelamente, al 53,8% degli italiani intervistati è capitato, in presenza di problemi di salute, di dover fare ricorso ai propri risparmi per pagare le cure ed il 78,5% degli stessi ha dichiarato di non poter più contare di affidarsi alla sanità pubblica in caso di bisogno.

Se così è, c’è davvero da stare poco tranquilli sul futuro che ci attende indipendentemente da quale realmente sarà il fondo sanitario nazionale 2025 che, con i suoi probabile 136,6 miliardi di Euro se si considerano quelli ricevuti in dote, resta molto lontano dalle necessità della nostra sanità pubblica.

È in questo scenario generale che si deve posizionare la sentenza n. 195/2024 della Corte costituzionale all’esito dell’incidente di costituzionalità sollevato dalla Regione Campagna avente ad oggetto l’art. 1, commi 527 e 557, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (‘Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026’) in quella parte in cui, per esigenze di contenimento della spesa pubblica, si era previsto che le Regioni a statuto ordinario dovessero assicurare un contributo alla finanza pubblica pari a 350 milioni di euro/anno: contributo che, andando a gravare sull’esercizio finanziario delle autonomie locali, impediva alle stesse di onorare i loro compiti nei vari ambiti di competenza; in primis, la tutela della salute (art. 32 Cost.) che è stata la vittima sacrificale dei tanti tagli lineari registrati a partire dal 2012 con il Governo dell’austerità presieduto da Mario Monti. Con un trend in negativo che non è stato più riequilibrato dai successivi Governi visto che le recentissime analisi sulla spesa sanitaria pro capite effettuate dal GIMBE ci collocano, nel 2023, al 16° posto sui 27 Paesi europei dell’area OCSE e in ultima posizione tra quelli del G7 [2].


Un dato impietoso che non si corregge né facendo riferimento alle spesa media pro-capite né tanto meno richiamandosi al PIL. Nel 2023 la spesa sanitaria pubblica italiana si è, infatti, attestata al 6,2% del PIL, un valore ben al di sotto sia della media OCSE del 6,9% che della media europea del 6,8% con un gap che va dai +3,9 punti percentuali della Germania (10,1% del PIL) ai +0,6 della Norvegia (6,8% del PIL). Anche se ci si riferisce alla quota pro-capite la situazione non migliora perché in Italia la spesa sanitaria pubblica pro-capite del 2023 è stata pari a $ 3.574, ben al di sotto sia della media OCSE ($ 4.174) con una differenza di $ 600 sia soprattutto della media dei Paesi europei dell’area OCSE ($ 4.470) con una differenza di $ 896. Cosicchè ciò che è certo è che in Europa ben 15 paesi investono più del nostro per la tutela della salute con un gap che va dai +$ 410 della Repubblica Ceca ($ 3.984) ai +$ 3.825 della Norvegia ($ 7.399) e con una distanza che si è progressivamente ampliata a partire dal 2010.

Questa è, purtroppo, la dura realtà che non può essere mistificata dalle bugie della propaganda politica pur non trascurando le oggettive difficoltà date dall’attuale momento storico caratterizzato dalla perdurante scarsità di risorse sicuramente aggravata dai vincoli euro unitari. Difficoltà sicuramente oggettive le quali interrogano le nostre coscienze per capire fin dove può spingersi la politica dell’austerità e se sia costituzionalmente corretto insistere con la strategia dei tagli lineari che ha il pregio di scontentare tutti senza deludere nessuno. Anche se, a ben osservare, questo strutturato modo di far politica ha l’inconveniente di non interessare tutti i settori della vita pubblica se è vero che il sostegno a Kiev ed il potenziamento del nostro armamento militare (che salirà ad oltre 32 miliardi di Euro nel 2025) non sono stati interessati da questa politica dei tagli [3]. A questo lacerante interrogativo ha dato una prima concreta risposta la sentenza della Corte costituzionale n. 195/2024 che ha ammonito il legislatore a ridurre prioritariamente le “spese indistinte, rispetto a quella che si connota come funzionale a garantire il fondamentale diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost., che chiama in causa imprescindibili esigenze di tutela anche delle fasce più deboli della popolazione, non in grado di accedere alla spesa sostenuta direttamente dal cittadino, cosiddetta out of pocket”.

L’imprescindibilità e la fondamentalità di questa tutela non possono essere, dunque, messe in discussione con la conseguenza che se, per ragioni di finanza pubblica, occorre ridurre la spesa pubblica i tagli non potranno più essere effettuati in maniera lineare anche perché il piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) approvato dal Governo ha previsto specifici interventi economici aggiuntivi che riguardano proprio la salute (Missione 5 e 6). Cosicchè sarebbe davvero poco serio ed una vera e propria contraddizione in termini programmare di investire sulla salute da una parte e pretendere di tagliarla dall’altra con l’obiettivo di ridurre la spesa pubblica per rispettare i vincoli euro comunitari e gli interessi corporativi e per non indebolire il consenso elettorale. Dunque, se i tagli bisognerà farli essi non potranno riguardare, scrivono i supremi Giudici, le “risorse destinate alla spesa costituzionalmente necessaria, tra cui quella sanitaria – già, peraltro, in grave sofferenza per l’effetto, come si è visto, delle precedenti stagioni di arditi tagli lineari – dovendo quindi agire su altri versanti che non rivestono il medesimo carattere»: il diritto alla salute, infatti, “coinvolgendo primarie esigenze della persona umana», non può essere sacrificato «fintanto che esistono risorse che il decisore politico ha la disponibilità di utilizzare per altri impieghi che non rivestono la medesima priorità”. Se occorre tagliare la spesa lo si faccia -dunque- senza utilizzare la mannaia dei tagli lineari ma intervenendo su quei settori della spesa pubblica che sono di secondaria importanza rispetto al diritto costituzionale di cui parla l’art. 32 Cost.: la tutela della salute nell’interesse del singolo e dell’intera collettività.

L’importanza di questa decisione penso sia di tutta evidenza per chi fa politica dentro o fuori dalla maggioranza. Lo è per il legislatore nazionale che sarà da qui in avanti chiamato a procedere ai tagli non più al buio e con effetto lineare ma nel rispetto delle priorità garantite dalla nostra Carta costituzionale; lo è per le Regioni a statuto ordinario che devono naturalmente adempiere ai loro mandati istituzionali contando sulle risorse economiche che non dovranno più essere versate all’erario dello Stato; lo è anche per le provincie autonome a statuto speciale, come quella di Trento, le quali, se messe nelle condizioni di dover tagliare gli investimenti, dovranno farlo intervenendo prioritariamente sulle spese indistinte senza più comprimere quelle destinate a garantire il diritto alla salute.

Si vedrà se ciò accadrà perché è purtroppo diventata esperienza comune l’osservare come i moniti del Giudice costituzionale siano spesso elusi. Occorrerà così vigilare e lo dovranno fare i tanti di noi che lottano ancora per la difesa degli interessi di tutte le persone, soprattutto di quelle più fragili e vulnerabili che non hanno più la forza di esprimere le loro sempre più flebili voci.

Fabio Cembrani,
Medico legale, Professore a contratto Università di Verona

[1] CENSIS, 58° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2024, Roma.

[2] FONDAZIONE GIMBE, Italia al 16° posto in Europa per spesa sanitaria e ultima tra i Paesi G7, urgenti riforme e investimenti, in Sanità24, 3 settembre 2024.

[3] MINISTERO DELLA DIFESA, Documento programmatico pluriennale per la Difesa per il triennio 2024-2026 (disponibile sul sto wwwdifesa.it)



23 dicembre 2024
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