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Giusto spostare la contrattazione dei professionisti sanitari da Aran a Ministero della Salute

di Saverio Proia

20 DIC -

Gentile Direttore,
non posso che concordare con la proposta del Presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, di spostare la contrattazione dei medici dall’ARAN al Ministero della Salute, mi auguro che non sia solo una dichiarazione prenatalizia, ma vista l’autorevolezza di chi l’abbia formulata costituisca l’inizio di un ripensamento in materia da parte dell’insieme delle Regioni e Province autonome tale da indurre questa radicale riforma della contrattazione in sanità da parte di Governo e Parlamento.

Che la contrattazione da parte dell’ARAN del trattamento economico e normativo dei medici come degli altri professionisti della salute non sia più adeguato a rispondere alle giuste esigenze di loro valorizzazione contrattuale è una convinzione che ho maturato da tanto tempo, dopo aver svolto ogni ruolo possibile da attore nella commedia, talora generata in tragedia, della contrattazione del personale dipendente e convenzionato con il SSN (dirigente sindacale aziendale, regionale e nazionale, consulente in più Gabinetti del Ministero della Salute per il personale e le professioni del SSN, dirigente della Direzione delle Professioni sanitarie del Ministero della Salute, Capo della Segreteria tecnica dell’Assessore alla Sanità della Regione Lazio con delega alle relazioni sindacali, direttore per le relazioni sindacali nell’ASL RM3, delegato, per due tornate contrattuali, dal Sottosegretario di Stato alla Salute nel Comitato di indirizzo Regioni Sanità per le direttive all’ARAN per i rinnovi dei CCNL e degli ACN in sanità, consulente in AGENAS per i rapporti sindacali ed infine in ARAN consulente per la contrattazione in sanità).

Tutta questa esperienza ultraquarantennale mi ha convinto sempre più e senza alcuna titubanza che l’attuale impianto normativo della contrattazione del personale medico e degli altri professionisti della salute e la stessa natura giuridica per loro prevista quale categoria, tutto all’interno delle regole comuni del pubblico impiego i cui contratti sono trattati in ARAN, non consente adeguatamente la reale, specifica valorizzazione, anzi esaltazione del ruolo, delle competenze e della stessa missione costituzionale di attuazione della tutela e della promozione della salute individuale e collettiva, sia umana che animale.

Portare la contrattazione al Ministero della Salute, cioè nel Dicastero più competente sulle questioni delle professioni sanitarie, con l’ovvia partecipazione anche delle Regioni, appare essere l’unica risposta per invertire l’attuale tendenza di depauperamento degli organici in particolare medici ed infermieristici, riattivare la scelta verso le professioni della salute da parte dei giovani, bloccare l’esodo dalle strutture pubbliche verso quelle private se non in lavori diversi, favorire il rientro in Patria di quanti hanno preferito esercitare la loro professione in altri Stati europei ed extraeuropei.

Per realizzare ciò appare necessario anzi è la conditio sine qua non che la natura giuridica della categoria dei medici e di tutti i professionisti della salute assuma una caratteristica di specialità, regole specifiche e diverse dagli altri comparti del pubblico impiego, com’è già per la Magistratura, la Difesa, la Polizia di Stato, l’Università: quindi una categoria speciale con una modalità di contrattazione speciale.

Non vorrei annoiare i lettori esponendo tesi che ho espresso in più articoli in questi anni e che recentemente sono stati oggetto di una mia specifica proposta di legge di riforma ordinamentale, formativa e contrattuale delle professioni della salute declinata in cinque parti pubblicate su questo Quotidiano e per chi interessa rinvio alla loro lettura e a libera disposizione totalmente o parzialmente di qualsiasi legislatore la voglia riprenderla e svilupparla.

Vorrei solo da questi articoli di tale proposta di legge riprendere due concetti: il primo è che la contrattazione svolta presso il Ministero della Salute attraverso un primo accordo di filiera che comprenda sia il personale dipendente che quello convenzionato e successivamente si sviluppi negli specifici contratti del personale dirigenziale da una parte e degli altri professionisti dipendenti dall’altra nonché dei previsti accordi con i medici e gli altri professionisti convenzionati.

Questa modalità fa sì che il rinnovo contrattuale sia soggetto e strumento per l’elaborazione, il monitoraggio e la verifica delle scelte di programmazione sanitaria e sociosanitaria realizzando, così, la partecipazione e il protagonismo dei professionisti della salute per far sì che gli stessi professionisti comprendano, condividano e concertino tali scelte in rapporto dialettico e se necessario critico se non conflittuale con la controparte pubblica Ministero della Salute e Regioni; è evidente che senza il ruolo attivo nelle scelte di politica della salute anche di chi le debba attuare e sviluppare quotidianamente di giorno e di notte ed in ogni periodo dell’anno, festività comprese, appare essere non solo una scelta poco democratica, ed è un eufemismo, ma anche quanto mai controproducente.

Il secondo concetto che vorrei riaffermare, allo stato attuale dell’evoluzione e della storia delle professioni della salute, tutte formate all’università, ognuna con la sua specifica autonomia professionale e tutte normate dalla medesima legge ordinistica appare essere scontato se non banale il fatto incontrovertibile che l’emancipazione dalle attuali normative ordinamentali e contrattuali proprie di quel tipo di pubblico impiego i cui trattamenti sono negoziati in ARAN, non possa riguardare solo i medici, tra l’altro già in ARAN non esiste più un contratto della sola dirigenza medica ma è di tutta la dirigenza sanitaria, bensì l’insieme delle professioni della salute regolamentate dalla legge 3/18.

Ma sono sicuro che il Presidente Rocca, vista la sua formazione classica, abbia usato il termine medici come l’espressione retorica della sineddoche, cioè una parte per il tutto; pensare a liberare solo i medici dagli attuali vincoli normativi senza liberare anche gli altri professionisti renderebbe ingovernabile il SSN stesso.

Appare ovvio che una scelta del genere presuppone pure un investimento economico considerevole sulle loro retribuzioni per rendere adeguate e corrispondenti alla qualità elevata e complessa del loro agire e delle loro responsabilità professionali, per l’ovvia motivazione che siamo in presenza non di un costo per la finanza pubblica bensì per un investimento non solo per la salute individuale e collettiva ma per lo stesso progresso economico, sociale e politico dell’Italia.

Per tali motivazioni trovo altrettanto interessante e percorribile la proposta del Presidente dell’OMCEO di Roma Antonio Magi di finanziare la giusta e dovuta valorizzazione economica di medici e professionisti della salute con l’emissione di dedicati buoni del Tesoro o dello Stato per indirizzare il risparmio degli italiani ad investire sul potenziamento del SSN e sulla valorizzazione dei professionisti della salute, il vero asse portante per il progresso in ogni senso dello Stato e con esso della Nazione…e sarei il primo a sottoscriverli.

Saverio Proia



20 dicembre 2024
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