Gentile Direttore,
alla fine, anche quest’anno, è uscito il Report del Ministero della Salute sui dati del Sistema Informativo Salute Mentale, di cui ci ha tempestivamente informato Quotidiano Sanità. Sono tante le considerazioni che si potrebbero fare, andando oltre lo sconforto della fotografia che emerge sullo stato dei servizi. In particolare, se usciamo dal puro dato attuale e consideriamo i dati del SISM nel loro andamento nel tempo, questi ci aiutano a comprendere con maggiore chiarezza dove sta andando la gestione pubblica della salute mentale in Italia.
Il primo dato è quello della utenza. Certo vi sono casi effettivamente nuovi (i “first ever”) ma il loro tasso sta progressivamente diminuendo rispetto agli anni precedenti, raggiungendo il 51,3/10000, ben distante dal 68,42 del 2015. Questo avviene a dispetto di una condizione di crescente malessere riconosciuta non solo a livello di cronache quotidiane, ma anche dal consumo degli antidepressivi ed antipsicotici indicato dallo stesso Report, ove le persone in trattamento appaiono in crescita rispetto agli anni precedenti e comunque con valori decisamente superiori rispetto a quanti sono presi in carico dai servizi.
E questo pone un problema di dove vadano questi pazienti, e soprattutto se di fatto si rivolgano a qualcuno per un aiuto, soprattutto tenendo conto che stiamo parlando anche di patologie importanti che richiedono farmaci importanti.
Mentre i nuovi casi che giungono ai servizi diminuiscono, emerge l’aumento della prevalenza (cioè degli utenti in carico) rispetto agli anni precedente, con un contrasto spiegabile solo con un aumento della permanenza in situazioni di cura che non giungono ad un conclusione di trattamento. Se verifichiamo nel dettaglio, troviamo che tutte le patologie sono coinvolte in questo aumento, a confermarci che non è un problema riservato ai trattamenti prolungati, richiesti dalle patologie più gravi. Il legittimo sospetto è che il problema sia in una perdita di incisività degli interventi che finiscono per cronicizzare le situazioni. Colpisce poi un aumento delle cartelle senza una diagnosi, con un aspetto di poca attenzione da parte dei servizi ed una perdita di qualità del dato, in questo ed in altri ambiti da parte del SISM, entrambi elementi decisamente preoccupanti.
Continua la ascesa delle situazioni psichiatriche viste nei Pronto Soccorso, che sono tornate ai livelli pre-Covid, a segnalarci comunque la difficile tenuta dei servizi territoriali nelle situazioni di urgenza con lo spostamento sull'ospedale. Appaiono migliorati i contatti della persona dimessa con il Centro di salute mentale a 30 e 14 giorni, ma la inspiegabile assenza di dati del Veneto, da qualche anno con dati disastrosi da questo punto di vista, altera il dato complessivo e lascia il dubbio su una sua effettiva confrontabilità con il passato.
Lo stesso problema riguarda la residenzialità. L’utenza sembra diminuita rispetto agli anni precedenti, ma rimane un dubbio sulla qualità del dato, dove il Veneto passa da 1695 utenti del 2022 a 258 nel 2023 in totale contrasto con la realtà che vede anzi gli oltre 2000 posti esistenti come carenti rispetto alle richieste. Se si tolgono questi dati impossibili, la residenzialità in Italia appare in realtà aumentata rispetto al 2022 (come d’altra parte ci conferma la spesa). Occorre comunque considerare che tutti i dati della residenzialità mostrati dal SISM mostrano dubbi, con regioni dove non quadra il bilancio fra ingressi ed usciti e dove il rapporto fra utenti e giornate mostra permanenze annue superiori a 365 giorni a dispetto di qualunque calendario terrestre. Va notato anche che i dati su strutture e posti letto rilevati dal sistema STS sono decisamente maggiori rispetto a quelli indicati dal SISM, ponendo il ragionevole dubbio che tutto ciò che nel SISM riguarda la residenzialità mostri dati sottosistimati.
Le identiche considerazioni riguardano la semiresidenzialità dove il dato anomalo e non reale del Veneto, passato da a 3414 utenti del 2022 a 142 nel 2023, falsa i dati complessivi. Di fatto sottraendo il dato del Veneto, anche la semiresidenzialità appare aumentata, sia pur di poco.
I ricoveri, che avevano avuto una importante flessione in concomitanza con Covid continuano di anno in anno ad aumentare. Aumentano i ricoveri in strutture psichiatriche sia nel pubblico e sia nel privato, ed aumentano anche quelli con diagnosi di dimissione psichiatrica, ma gestiti in reparti non psichiatrici, suggerendo che la aumentata richiesta non trovi risposta negli SPDC e costringa a queste soluzioni. Anche la diminuzione della degenza media in questa situazione lascia il sospetto che non sia una condizione virtuosa ma una pura necessità di letti. In tema di ricoveri va segnalato un problema nei dati, dove il Veneto ha inoltrato, rispetto agli anni precedenti, solo metà dei dati dei privati (probabilmente scorporando quelli nei reparti denominati di “riabilitazione psichiatrica” (con distinzioni bizantine rispetto a quelli psichiatrici 040), riportando parzialmente il dato degli effettivi ricoveri psichiatrici complessivi.
Infine due questioni essenziali. La prima riguarda la diminuzione del personale nei DSM che arriva ad un 58,3 operatori /100.000 abitanti (nel 2016 era 62,8), dove, nella diminuzione generale, emergono le diminuzioni in particolare in medici, psicologi, infermieri ed assistenti sociali, con andamenti impietosi in alcune Regioni dove continua un declino ancora più marcato.
L’altra riguarda il problema dei costi (che appaiono sfasati di due anni per le tempistiche di aggiornamento). Mentre nel 2016 il finanziamento per la Salute Mentale in Italia era di 3,739 miliardi , nel 2022 risulta di 3,589. Nello stesso periodo il FSN è passato da 106, 9 a 119,7 miliardi. L’esito complessivo è il passaggio del finanziamento per i Servizi da un 3,49% ad uno 2,99% rispetto al FSM. Mentre si parla di 5% i dati ci indicano che si va nella direzione opposta. Se guardiamo alle aree di spesa, troviamo che la quota riservata alle attività territoriali è passata nello stesso periodo dal 44,1% al 40% mentre la residenzialità è passata dal 38,6 al 44,3, con una forbice che si accentua di anno in anno. Lieve diminuzione per semiresidenzialità e spesa ospedaliera.
Se dovessimo spremere un senso da questi dati, specialmente nella loro lettura attraverso gli anni, compare una salute mentale pubblica alla quale le persone ormai fanno fatica a rivolgersi, che attua in maniera indistinta trattamenti prolungati, tende a ricoverare sempre di più, e sempre di più a collocare in soluzioni residenziali e semiresidenziali. Una salute mentale sempre più povera di personale, in particolare quello orientato alla cura, non compensato comunque dall’aumento di operatori dedicati ad aspetti assistenziali e riabilitati per pazienti cronici. L’investimento si è impoverito e questo specialmente nel territorio, volgendosi in un progressivo spostamento delle risorse esistenti soprattutto sulle soluzioni residenziali. Colpisce poi una progressiva minore attenzione alla qualità del dato, che rischia di rendere inutilizzabile questo Report, che è di fatto l’unica descrizione di cosa sia e cosa faccia la Salute Mentale in Italia.
E’ un sistema compromesso, che se non viene riequilibrato con maggiori risorse sul personale e soprattutto con il ripristino di una cultura legata alla psichiatria di comunità ed a quanto, sia pure con molti limiti, ci ha insegnato la L. 180/78, rischia non solo la involuzione, ma di utilizzare ogni risorsa aggiuntiva in una visione di cronicità e di false risposte legate ad istituzioni ospedaliere e residenziali.
Andrea Angelozzi