Non voglio quell'anestesista perché è una donna
di Maria Ludovica Genna
20 LUG -
Gentile direttore,
leggo con sgomento misto a stupore la notizia di un paziente che ha rifiutato un intervento chirurgico di ernia inguinale al San Paolo di Savona perché l’anestesista era donna. La notizia appare aprire nuovi scenari su quello che è il rapporto medico-paziente in relazione al genere.
Appena all’inizio di gennaio 2017 i ricercatori dell’Harwad University su Jama Internal Medicine avevano pubblicato dati che sottolineavano positivamente il differente tasso di mortalità ( 11.07%) in numerose patologie quando il medico curante era un’internista donna rispetto a quello conseguito (11.49%) dagli internisti di sesso maschile.
Gli studiosi Americani dopo aver esaminato, inoltre, i dati provenienti da 1,8 milioni di ricoveri in prima visita e 1,2 milioni di seconda visita a distanza di 30 giorni e aver rilevato che il tasso di riammissione in ospedale era del 15.7 % se il paziente era seguito da un medico uomo e del 15.02% se curato da medico donna, avevano concluso che vi erano differenze importanti sul modo di curare dei professionisti di genere diversi con notevoli implicazioni cliniche ed esiti di malattia per i pazienti.
Ed eccoci invece in Italia, con la notizia odierna dell’Ansa, a dover fare i conti con le annose discriminazioni che subiscono le donne mediche nonostante sia sempre più evidente “la femminilizzazione“ della professione medica.
Si deve, allora, rilevare che, non solo le donne medico si trovano a fare i conti con quelli che metaforicamente vengono definiti “ soffitti di cristallo”, ovvero le difficoltà per la progressione della carriera e che le hanno portate ad essere presenti in numero esiguo in quasi tutti i Consigli Professionali ma anche a subire il gender gap che le vede guadagnare mediamente il 30 % in meno rispetto ai colleghi uomini e soprattutto a cimentarsi quotidianamente con stereotipi e discriminazioni di genere insiti nella mentalità comune che sono ora più che mai inaccettabili da subire.
E allora c’è da chiedersi quanto ancora si deve attendere perché venga attuato quello che il filosofo Ivan Cavicchi definisce “riformismo potenziale” che porti finalmente le donne medico a rianalizzare e ridiscutere l’organizzazione del lavoro oltre ad una concreta presa di coscienza dei propri diritti inalienabili.
Vi è inoltre, ora più che mai la necessità che venga sviluppata a tutti i livelli una cultura di genere che contrasti stereotipi cosi radicati come quello del paziente di Savona che ha candidamente affermato che le donne anestesiste di Savona non sono brave come gli uomini tanto da optare per la rinuncia ad un intervento chirurgico non essendoci anestesisti maschi.
Mi auguro che episodi tristi come quello di Savona non accadano più alle soglie del terzo millennio e mi preme , infine, esprimere la mia personale solidarietà e vicinanza alle Colleghe liguri.
Dott.ssa Maria Ludovica Genna
Osservatorio Sanitario di Napoli
20 luglio 2017
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