Attenzione ai certificati vaccinali
di Paolo D'Argenio
17 LUG -
Gentile Direttore,
il dibattito sul recente Decreto relativo all'obbligo di alcune vaccinazioni per l'iscrizione scolastica, cui Quotidiano Sanità ha dato spazio, è importante: una decisione come questa che implica questioni non solo sanitarie, ma anche etiche, dovrebbe essere aperta a diversi contributi.
Voglio segnalare un aspetto che forse è stato considerato di secondaria importanza ma che potrà creare problemi nel corso dell'attuazione delle misure previste dal decreto. Questo prevede, tra l'altro, che i genitori debbano consegnare all'atto dell'iscrizione, o dopo una prima autocertificazione, un certificato di avvenuta vaccinazione rilasciato dalla Asl.
Questa decisione scarica un onere burocratico sia sui genitori che non hanno fatto vaccinare i bambini sia su quelli, la grande maggioranza, che li hanno fatti vaccinare. Inoltre mette i dirigenti scolastici in un ruolo del tutto improprio, affidando loro il compito di valutare lo stato vaccinale. Sono esperienze già vissute prima del 1999, quando fu eliminato l'obbligo della presentazione dei certificati vaccinali all'atto dell'iscrizione: i genitori vanno al centro vaccinale tutti negli stessi giorni, il personale è costretto a un superlavoro amministrativo concentrato in un ristretto lasso di tempo che si aggiunge alla normale routine sanitaria.
Alla faccia delle buone intenzioni relative alla semplificazione amministrativa, si scarica sui cittadini il dovere di dimostrare alla scuola lo stato immunitario dei figli, con informazioni in possesso della Asl. Proprio per questo, negli anni '90, utilizzando le norme della Bassanini, alcune Asl innovarono la prassi, richiedendo agli istituti scolastici di inviare gli elenchi dei bambini iscritti e restituendoli completi delle informazioni relative allo stato vaccinale, cogliendo anche l'occasione per richiamare e vaccinare gli inadempienti. Come se non fossero passati venti anni da allora, nel pieno della rivoluzione elettronica, il Legislatore sembra voler tornare alle file per ottenere il certificato, casomai vergati a mano.
A mio parere, questa misura implica un errore nella attribuzione di responsabilità, in quanto sorvegliare e controllare lo stato immunitario della popolazione infantile e dei singoli bambini nei confronti delle malattie prevenibili con vaccino è un dovere dell'autorità sanitaria non della scuola. Non è un errore da poco: le vaccinazioni si risolvono, è vero, in una puntura ma hanno alle spalle una cultura epidemiologica e biologica molto complessa, senza la quale il controllo dello stato vaccinale, ridotto ad atto burocratico, perde il riferimento allo stato di salute.
I genitori avranno davanti a loro un impiegato della scuola attento a regole (il calendario vaccinale) di cui non conosce nè il perché nè le implicazioni, invece di un operatore sanitario competente che potrebbe valutare e consigliarli. In realtà il controllo dello stato vaccinale delle comunità scolastiche dovrebbe essere inteso come un ulteriore filtro che la Asl utilizza per avere il polso dei rischi per la salute della comunità infantile e per individuare e richiamare i ritardatari o gli inadempienti. Infatti, se è vero che in alcuni contesti l'obbligo che si intende attuare in Italia ha avuto un impatto positivo, ancora prima e più dell'obbligo, valgono i richiami dei ritardatari. Per poter valutare sistematicamente lo stato vaccinale e richiamare i ritardatari, le anagrafi vaccinali informatizzate sono uno strumento indispensabile. Questa azione di controllo e richiamo va fatta a livello locale, mentre l'dea della anagrafe vaccinale nazionale, di per sè non sbagliata, non può sostituire l'intervento a livello locale.
Non si dovrebbe perdere di vista il fatto che, al di là del dilemma coercizione-persuasione che ricorre nella storia delle vaccinazioni e che ha animato il dibattito su QS, il problema vero è che l'Italia non riesce a portarsi avanti verso gli obiettivi di salute che condivide a livello internazionale (perchè è a livello internazionale che si devono decidere questi obiettivi, non è vero? oppure si crede che i virus riconoscano i confini nazionali o regionali?).
Bisogna ricordare ad esempio che non siamo riusciti ad eradicare il morbillo e la rosolia congenita, un obiettivo di salute che ci ponemmo nel 2003 con scadenza 2015 perchè sembrava allora insopportabile avere malformazioni e decessi nei bambini mentre ci sono vaccini efficaci e con scarse reazioni avverse. Per conseguirlo dovremmo impedire la circolazione dei virus tra i bambini, il vero canale della trasmissione dell'infezione. Questo è l'obiettivo che dovremmo condividere con i genitori, non la copertura che è un aspetto tecnico.
E' la salute pubblica che ci sta a cuore e la vaccinazione, in questi casi, è lo strumento per migliorarla in modo permanente, come è stato per l'eradicazione del vaiolo! E' stato fatto una volta, si può farlo ancora per la polio e per il morbillo, proprio per non dover vaccinare più ed eliminare obblighi.
Non si creda infine che l'obbligo sia una specie di "soluzione finale" e neppure che lo sia l'aumento dell'offerta ottenuta reclutando pediatri o farmacisti che sono orientati ai problemi di salute del singolo individuo, non a quelli della popolazione. E' vero che l'alleanza con tutto il settore sanitario, troppo spesso disattento, è essenziale, ma ciò che non si può evitare è il lavoro per la conquista della fiducia dei genitori. E' necessario potenziare i programmi vaccinali delle Asl, con operatori competenti, che condividano un approccio di sanità pubblica e sappiano continuare ad essere o diventare un punto di riferimento autorevole per i genitori disorientati, ed anche per gli altri operatori sanitari.
Questo si può fare con dedizione e attraverso un lungo lavoro: per formare e motivare un operatore addetto alle vaccinazioni e per introdurre il miglioramento di qualità organizzativa nel servizio ci vogliono anni. Per esperienza, non meno di 7-8 anni di impegno continuo. Prendiamoci cura della nostra sanità pubblica: non dimentichiamo quelli da cui proveniamo che ci hanno insegnato la passione e l'orgoglio di lavorare a tutela della salute della popolazione.
Si legga a proposito il bel libro del Professor B. Assael "Il favoloso innesto, storia sociale della vaccinazione" (Laterza Ed.) che ricostruisce la movimentata storia dell'eradicazione del vaiolo e illustra in parte la tradizione della sanità pubblica italiana in questo campo.
Dr. Paolo D'Argenio
Già direttore del programma vaccinale della Asl di Benevento negli anni '90
Vice direttore della Direzione Prevenzione del Ministero della salute dal 2004 al 2008
17 luglio 2017
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