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Dopo la 'Quarta riforma' la scusa del riformista che non c'è non regge più

di Andrea Bottega (Nursind)

24 NOV - Gentile direttore,
l'allarme lanciato da Cavicchi ne "la quarta riforma" non può e non deve rimanere un grido nel deserto. Il problema della compossibilità tra finanziamento e diritti, se limitato al dibattito tra operatori, economisti, aziendalisti e rappresentanze varie, non trova soluzione (una qualsiasi soluzione) necessariamente porterà a ciò che i poteri forti vogliono: la privatizzazione della sanità, la controriforma.

Nulla mi sento di aggiungere alla condivisa analisi che svolge nella prima parte dell'opera. Merita di essere letta tutta d'un fiato. I suoi timori sono anche i miei timori.
Ma Cavicchi fondamentalmente è un ottimista e a lui si applica il vecchio adagio per cui un problema che non ha soluzione non è un problema ma una lamentela.

Per cui accanto all'operazione verità sulla sostenibilità ci indica una via di uscita per garantire la complessità legata alla salute umana ed evitare ogni riduzionismo e marginalismo della via facile che conduce alla privatizzazione.

Questa via segnata dai verbi ripensare, ridefinire, riconoscere e riformare è quanto più difficile il suo pensiero ci possa lasciare in eredità. Non nascondo che in diversi passi di questa pars construens la tentazione del pensiero debole è stata forte e la difficoltà insita in questi verbi mi spaventa. Forse, come me, capita anche ad altri, anche se vorrei non capitasse a chi ha il ruolo di decidere se rifinanziare le diseconomie e rendere il sistema insostenibile o riformare il sistema e renderlo compossibile.

Lascio alcune brevi considerazioni su alcuni specifici temi:

1. Sulla prima parte del testo mi sembra rilevante sottolineare che l'analisi fatta è così chiara che dovrebbe essere ovvia a tutti i cittadini e ai loro rappresentanti. Ciò non lo è perché volutamente la narrazione che certa politica e certi centri di interesse economico fanno del nostro Ssn hanno lo scopo di cambiare il sistema privatizzandolo. Dunque non c'è solo, in buona fede, il problema del riformista che non c'è ma il sospetto che il riformista deve stare zitto e non deve esserci. Se quest'ultima affermazione è falsa la prova l'avremo dalla attuazione o meno delle proposte di Cavicchi che assume in questo testo il ruolo del riformista che c'è.

2. Territorio-ospedale. Può sembrare un'affermazione retorica ma dell'ospedale sappiamo tutto e del territorio poco o nulla. Eppure più della metà della spesa è nel territorio dove è noto che i controlli, il monitoraggio esiti non sono alla pari della struttura ospedaliera. Sarà pure un aspetto marginale ma qualche diseconomia a partire da quella organizzativa la possiamo trovare anche lì. Con ciò non voglio scadere nel pensiero debole ma per riformare al meglio dobbiamo dotarci anche di strumenti di analisi: conoscere per deliberare.

3. Liberiamo le professioni sanitarie dalla burocratizzazione. Personalmente penso che se il più grande cambiamento avvenuto in sanità è il malato che è diventato esigente allora dobbiamo sforzarci di capire la natura delle sue esigenze e del come le manifesta. Due strade: una, ci difendiamo sempre e comunque attraverso la burocratizzazione, gli atti amministrativi e la medicina difensiva perché in ogni caso oggi il malato è più informato e ha meno remore a denunciare, oppure, due, il malato in realtà è figlio di questo tempo in cui ciascuno pensa di sapere a sufficienza di tutto ed è in grado di dire la sua su tutto ritenendo di aver ragione sempre e comunque. In questo caso funziona di più recuperare da parte di tutte le professioni sanitarie non solo capacità di relazioni ma nelle interrelazioni darsi come obiettivo di trasmettere il comune messaggio che la gestione della complessità sanitaria non è a portata di tutti.

4. Contratti e lavoro. Penso alla necessità di un accordo quadro tra tutte le rappresentanze sindacali delle professioni sanitarie del Ssn per stabilire delle regole a parte rispetto al resto della pubblica amministrazione. L'esperienza della riforma Brunetta - pensata sul modello ministeriale di organizzazione del lavoro -  calata in sanità ci dice che così il nostro lavoro non cambierà mai. Sui contenuti mi sembra ragionevole la proposta di Cavicchi i cui presupposti sono quelli dell'autore, autonomia e responsabilità, cose che mancano non solo in virtù del regime di dipendenza ma anche di subordinazione professionale. Nel merito esprimo molte perplessità sul ruolo dirigenziale organizzativo da parte di una professione sanitaria non adeguatamente formata, oltre a non vederne il senso di valorizzazione clinica. Se il problema è economico si risolva quel problema ma non si rivendichino ruoli organizzativi basati su una preminenza professionale. Qui tutto e tutti dobbiamo cambiare, essere disposti a ridefinirci, ripensarci, riconoscerci e riformarci.

Molte altre questioni si potrebbero affrontare tanto è ricco il testo di spunti. Forse ci potrebbero essere anche altre strade da percorrere ma se non entriamo nello spirito riformatore non andremo da nessuna parte ed avremo perso in primis la tutela del diritto alla salute. Ora la scusa del riformista che non c'è non regge più.
 
Andrea Bottega
Segretario nazionale Nursind

24 novembre 2016
© Riproduzione riservata

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