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The Lancet? La vera notizia sulla quale riflettere sono i 30 anni di Sdo-Drg

di Marino Nonis

09 GEN -

Gentile Direttore,
anch’io sono tra i lettori dell’editoriale di Lancet, di Repubblica e naturalmente di Quotidiano Sanità da cui riprendo le prime righe del “pezzo” scritto da Claudio M. Maffei:un editoriale del numero di gennaio di The Lancet Regional Health dal titolo “Il sistema dei dati sanitari italiani è a pezzi” (The Italian health data system is broken) ha trovato amplissima eco nella stampa italiana con la Repubblica che titola il suo pezzo “Feudale e discriminatoria”. L’accusa di Lancet alla sanità italiana. (…)che poi prosegue con una apprezzabile e condivisibile analisi della “notizia”.

Proprio perché siamo all’inizio del 2025, mi chiedo se invece la notizia o meglio l’anniversario su cui riflettere, non siano i trent’anni di SDO-DRG entrati “di prepotenza” nel nostro SSN esattamente il 1° gennaio 1995 secondo quanto disposto dall’art. 6 comma 6 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (“finanziaria 1995”) o forse la notizia (e segno dei tempi) è proprio passare sotto silenzio questo “trentesimo”. La rivoluzione dei DRG ha cambiato il paradigma e l’idea stessa del ricovero, definita a partire da R. Fetter come prestazione complessa o prodotto finale dell’attività di degenza. Qui mi limito a sintetizzarne l’impatto con le parole di R. Busse e coll. nel volume Diagnosis Related Groups in Europe (WHO, 2011):

  1. i DRG hanno consentito di introdurre un numero ragionevole di tipologie dei ricoveri (stiamo parlando, per il regime ordinario, di oltre 6 milioni di episodi/anno, solo nel nostro Paese nell’anno 2023), nell’ordine di qualche centinaio di casi (tra 500 e 1.200), mentre prima si era tra gli estremi delle decine di migliaia di diagnosi delle diverse classificazioni internazionali (ICD-9-CM, ICD-10, ICD-10-CM) o del singolo numero, grezzo e rozzo, di ricoveri o giornate di degenza “indifferenziate”;
  2. i DRG hanno permesso, attraverso l’uso del medesimo sistema di classificazione, un’effettiva comparazione o benchmark di performance d’uso delle risorse;
  3. gli ospedali oggi “codificano” e quindi rendono routinariamente disponibili gli items della scheda di dimissione ospedaliera (SDO) con particolare riferimento a diagnosi e procedure più rilevanti praticate;
  4. l’introduzione dei DRG ha nettamente migliorato (ed uniformato) le tecniche di contabilità analitica e conoscenza dei costi

Nella stessa pubblicazione sono anche riportate queste raccomandazioni finali che riguardano, in maniera più complessiva ed attuale l’evoluzione degli Health Data Systems (utilizzando il termine che compare nel titolo dell’editoriale di Lancet), e cioè:

Per tornare a noi, se non può che far piacere che comunque si sia aggiornato il nomenclatore tariffario ambulatoriale (anche se la storia, come è noto, non è affatto finita), rimane al palo il tema dell’aggiornamento oltre che delle tariffe DRG, anche dei sistemi di classificazione utilizzati per la compilazione della parte sanitaria della SDO. Nemmeno il comma 280 dell’unica finanziaria del governo Draghi (Legge 234/2021) che stabiliva “perentoriamente” il termine del 30 giugno 2023 ha sortito effetto.

Personalmente, nella mia esperienza all’ISS di collaborazione al Progetto It.DRG e in diversi interventi, ho espresso la mia ferma convinzione che sia della massima importanza l’aggiornamento oltre che della versione DRG (e relative tariffe) dei sistemi di classificazione di diagnosi e procedure contenute nel flusso informativo SDO (e più in generale nell’Italian Health Data System). È proprio il passaggio dall’attuale Manuale dell’ICD-9-CM (edito da IPZS nel 2008) a ICD-10-IM per la codifica delle diagnosi e alla Classificazione Italiana Procedure e Interventi (CIPI) per la codifica di questi ultimi che può rappresentare (finalmente!) un punto di svolta epocale nei sistemi informativi sanitari del SSN. Una volta implementato e divenuto “lingua ufficiale” per la codifica delle diagnosi, ICD-10 permetterà all’Italia di tornare a dialogare ed essere meglio integrata (in termini di interoperabilità) con i sistemi degli altri Paesi dell’Unione Europea, dell’OMS e dell’OCSE. Si pensi soltanto alla migliore “comprensibilità” di una diagnosi se espressa in ICD-10, lingua ufficiale dell’OMS, ovvero dell’intero pianeta (peraltro già alle prese con la nuova ICD-11).


Anche se il flusso SDO è senz’altro il più rilevante del NSIS (Nuovo Sistema Informativo Sanitario), non è il solo flusso che contempli l’uso di diagnosi codificate per la descrizione della nosologia del paziente: basti pensare ad altri numerosi ambiti, a partire dalla rilevazione delle cause di morte attraverso la scheda ISTAT, per giungere al FSE o ai LEA. L’adozione dell’ICD-10 (ed il contestuale aggiornamento del sistema di classificazione delle procedure ed interventi da 3° volume dell’ICD-9-CM a CIPI) costituisce una preziosa occasione per un aggiornamento complessivo dei sistemi informativi sanitari del SSN (e del nostro Paese).

Sono anche convinto che tutti i professionisti del SSN (anche al di fuori dell’ambito ospedaliero), dovranno conoscere o almeno essere in grado di gestire strumenti informativi che contemplino (quando si tratta di definire una diagnosi o una condizione che richieda il ricorso ai servizi sanitari), l’uso della classificazione internazionale ICD-10-OMS (e CIPI per procedure e interventi). Si tratta di una competenza specifica che deve essere necessariamente presente nel bagaglio delle conoscenze di medici e di altri professionisti del SSN e più in generale di tutti gli stakeholder interessati. Risulta così evidente il bisogno formativo da soddisfare al più presto per gli attuali addetti e la necessità di includere organicamente queste tematiche nel cursus studiorum dei futuri operatori. L’impegno richiesto alle università e più in generale ai provider ECM o agli enti e professionisti (pubblici e privati) del SSN è notevole, ma, a parere di chi scrive, prioritario per evitare che si perda l’ennesima occasione.

Termino con un cenno al tema della possibilità di accesso ai dati del flusso informativo SDO-DRG (archivio SDO del MinSal) che ancora oggi resta limitato. Con l'aggiornamento dei sistemi di codifica e con un necessario cambiamento culturale e di sensibilità del personale del SSN verso i dati sanitari, si potrebbe raggiungere una maggiore consapevolezza e trasparenza nella gestione e nell'utilizzo di tali informazioni. Promuovere l'accessibilità e la valorizzazione dei dati SDO-DRG potrebbe porre l'Italia in linea con le migliori pratiche internazionali, come dimostrato dal progetto Healthcare Cost and Utilization Project (HCUP) degli Stati Uniti, che ha reso disponibili i dati sanitari a livello nazionale. Un simile approccio contribuirebbe significativamente a migliorare l'efficienza e la sostenibilità del SSN, rendendo il sistema più trasparente e responsabile nell'uso delle risorse.

Marino Nonis
Dir. UOC Epidemiologia e Ref. SIO,
INMI-IRCCS “L.Spallanzani”, Roma



09 gennaio 2025
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