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Contro la carenza di infermieri servono le specializzazioni

di Francesco Falli

12 MAG -

Gentile direttore,
nella Giornata Internazionale dell’Infermiere, insieme ai crescenti riconoscimenti di molte istituzioni e Aziende sanitarie che fino a qualche anno fa non commentavano questa ricorrenza, sono naturalmente sempre attuali anche i problemi che rendono la professione poco attrattiva, in particolare nelle Regioni settentrionali, secondo i dati delle immatricolazioni ai corsi di laurea delle professioni sanitarie.

Se volessimo scegliere uno dei diversi punti critici che da tempo insistono sulla professione, quello del mancato riconoscimento delle competenze esperte, delle specializzazioni "già presenti sul campo" è certamente molto avvertito, in particolare fra i giovani.

La questione è semplice: ci sono infermieri che non possono essere sostituiti da altri infermieri – o da altre figure - perché le attività che svolgono sono tecnicamente complesse e chiedono una particolare competenza esperta, acquisita con una lunga permanenza in un determinato settore.

Si tratta di diversi setting di cura e di attività, che qui non è possibile citare senza dimenticarne alcuni: ma, come esempio, si può portare la dialisi, piuttosto che l’attività di assistenza intensiva, attività che non potrebbero essere svolte senza gli infermieri esperti, attivi in genere da anni in quel determinato contesto.


Chi ha queste caratteristiche non ha particolari riconoscimenti, né economici né di carriera: eppure è indispensabile per assicurare la effettiva attività nelle 24 ore e nei festivi, e dunque costituisce la "conditio sine qua non" per l’erogazione di cure esperte.

Ora, appare quasi beffarda la esistenza di una legge della Repubblica che avrebbe dovuto fare "giustizia" di questo mancato riconoscimento da ormai 17 anni fa: la Legge 43 del 2006 infatti pone tutti i professionisti sanitari (non solo gli infermieri, ma gli esponenti di ogni qualifica) su quattro livelli di inquadramento.

Ci sono i professionisti (coloro che hanno il titolo di laurea triennale); i coordinatori (chi ha un master dedicato alla funzione); gli specialisti (chi ha un master di specialità) e i dirigenti (laureati magistrali).

Abbiamo pertanto in Italia una legge chiarissima (fra le più nette e chiare del settore) che prevede gli specializzati; abbiamo un sistema di formazione universitaria che organizza master di specialità, sin dalla fine del XX secolo; ma non abbiamo un vero, reale recepimento di queste caratteristiche. Esiste una apertura, nelle ultime produzioni contrattuali, che ipotizza alcuni riconoscimenti sulle specializzazioni anche sul campo, e non solo di formazione.

Restano però ancora, in questa fase, da definire, applicare e riconoscere questi passaggi contrattuali: a parere di chi scrive, una ferma e netta ufficializzazione dei percorsi specialistici che già oggi, nella quotidianità delle organizzazioni, tiene conto delle competenze avanzate di un infermiere, è decisiva per rendere la professione di infermiere più attrattiva in questo nostro Paese. Sicuramente, potrebbe risultare più interessante delle timide e parziali, per quanto importanti, aperture di recente attivazione, relative all’allentamento del concetto di esclusività e agli ‘’sconti’’ per lavori usuranti limitati a chi opera in determinati settori.

Serve oggi il coraggio di una politica capace di andare oltre le risposte del momento, in grado cioè di proiettarsi sulla lunga distanza: senza questo coraggio, nel prossimo decennio i numeri degli infermieri mancanti alla economia del nostro sistema sanitario saranno decisamente spaventosi.

In un Paese che invecchia con una marcata evidenza, il mix che deriva da questi aspetti è piuttosto esplosivo.

Francesco Falli
Presidente Ordine delle Professioni Infermieristiche La Spezia



12 maggio 2023
© Riproduzione riservata

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