Veneto. Intervista a Luca Zaia. “Il Patto per la Salute è morto con la Legge di Stabilità. Va ricontrattato partendo da zero”
Un duro attacco al Governo. "Ha disatteso gli impegni presi con le Regioni". Ma non apre al dialogo. "Quando un interlocutore si mostra così poco affidabile non hai tanta voglia di riprovare ad aver a che fare con lui". Per Zaia la ricetta vincente è a portata di mano. "Applicare i costi standard. Con i nostri parametri gestionali in Italia si potrebbero risparmiare 30 miliardi l’anno e non servirebbe tagliare proprio nulla".
di Gennaro Barbieri
03 APR - Mancano meno di due mesi alle elezioni regionali e il Presidente
Luca Zaia ripercorre le tappe del lavoro svolto per la sanità veneta. "Nel 2014 siamo riusciti a rispettare i giusti tempi d’attesa tra l’85 e il 100% delle 68 milioni 260 mila e 125 prestazioni erogate, e non era facile". Ci tiene poi a ribadire la costante attenzione verso il profilo finanziario. "Siamo stati e siamo l’unica Regione d’Italia a non aver mai imposto l’addizionale regionale Irpef sulla sanità e a non aver mai istituito ticket regionali. Quelli che i veneti pagano sono solo ed esclusivamente nazionali". Ma il percorso intrapreso non è ancora completato. "La road map tracciata con il nuovo Piano Sociosanitario travalica abbondantemente la scadenza della legislatura". Non lesina frecciate alle Regioni con i conti in rosso. "ll Veneto riesce a tenere i conti in ordine e a curare bene i suoi malati". E lancia una stoccata agli altri governatori. Non si vede perché non debbano riuscirci anche gli altri".
Il suo mandato è ormai al termine: tracciando un bilancio, quali sono stati i principali interventi che avete messo in campo per la sanità veneta? Rispetto alla precedente amministrazione, quali le novità?
Abbiamo preso in mano la sanità partendo da un libro bianco che è stato una vera e propria fotografia dell’esistente, individuando pregi, criticità, necessità d’intervento. La priorità era programmare la sanità veneta del futuro con un nuovo Piano Socio Sanitario che razionalizzasse e interconnettesse la rete ospedaliera, rafforzasse la medicina territoriale, riempisse con strutture adatte il vuoto tra la fine della fase acuta della malattia e la completa guarigione, sostenesse le eccellenze, l’Urgenza-Emergenza, l’acquisto delle tecnologie più moderne, la diffusione della qualità in tutte le strutture, l’abbattimento delle liste d’attesa, l’umanizzazione del rapporto con il paziente, sia dell’area medica che di quella amministrativa. Quel Piano, a sedici anni dal precedente, è ora realtà, è in corso di attuazione, sta già dando i frutti attesi e, come tutte le programmazioni di ampio respiro, altri ne darà da qui in avanti. Questa è forse la soddisfazione più grande, perché ci siamo dotati di una vera e propria road map sulla quale far progredire il servizio più atteso dai cittadini. Ma sono orgoglioso anche perché abbiamo saputo mantenere i conti in ordine per l’intera legislatura in una fase di tagli folli e orizzontali che hanno caratterizzato prima Monti, poi Letta e ora Renzi, “costringendo” di fatto il Governo a definire ufficialmente il Veneto Regione benchmark per la sanità. Sono orgoglioso perché siamo stati e siamo l’unica Regione d’Italia a non aver mai imposto l’addizionale regionale Irpef sulla sanità e a non aver mai istituito ticket regionali. Quelli che i veneti pagano sono solo ed esclusivamente nazionali, ed è bene ricordarlo. Sono orgoglioso dei 70 milioni l’anno che siamo riusciti a destinare all’acquisto di nuove tecnologie raggiungendo, anche grazie a queste, un duplice obbiettivo: cure migliori ai malati e minore durata dei ricoveri, tanto che oggi il nostro tasso di ospedalizzazione è di circa sette giorni, contro 30 giorni in altre parti d’Italia. Mentre altrove si cura un paziente, noi ne curiamo quattro, e non è cosa da poco. Troppo spazio servirebbe per elencare i risultati raggiunti, ma voglio segnalare altre due grandi novità, che stanno ricevendo un gradimento altissimo da parte della gente. L’operazione “Ospedali Aperti di Notte” con l’erogazione delle prestazioni diagnostiche e specialistiche anche in orario serale e nel fine settimana. In un anno abbiamo fatto rientrare nei giusti tempi di attesa altre 120 mila prestazioni che ne erano fuori e abbiamo tolto le castagne dal fuoco a migliaia di persone che, per i motivi più svariati, avevano problemi ad accedere a esami e visite negli orari diurni tradizionali. Nel 2014 siamo riusciti anche a rispettare i giusti tempi d’attesa tra l’85 e il 100% delle 68 milioni 260 mila 125 prestazioni erogate, e non era facile. Mi stava molto a cuore anche la riforma delle attese nei Pronto Soccorso, dove poteva accadere che le persone si sentissero un po’ abbandonate a sé stesse. Oggi in ogni Pronto Soccorso veneto ci sono steward appositamente formati che tengono i rapporti tra chi aspetta e il reparto, informano le persone sulle condizioni dei loro cari, sui tempi di attesa per essere visitati e sui motivi di quell’attesa. Senza contare gli arredi rinnovati, il wi fi gratuito, le prese per ricaricare telefonini e tablet, le bevande a disposizione, i grandi monitor che informano sulla situazione. Non voglio tediare, mi fermo qui.
Dove pensate di intervenire nel Ssr per completare il lavoro iniziato in questi cinque anni? Se sarete rieletti, su cosa vi concentrerete nei primi cento giorni?
Non amo il concetto dei primi cento giorni, perché sa tanto di promessa elettorale. In sanità abbiamo ancora tante cose da fare, perché la road map tracciata con il nuovo Piano Sociosanitario travalica abbondantemente la scadenza della legislatura. Vogliamo semplicemente continuare così, affinare ancor di più una macchina gigantesca e complessa, lavorare giorno dopo giorno, come abbiamo fatto in questi primi cinque anni.
Negli ultimi mesi si era accesa una polemica a distanza con il Nursind, sindacato degli infermieri, che vi ha accusato di non voler assumere gli operatori necessari e di non puntare realmente su uno snellimento degli uffici amministrativi per ridurre i costi. Come replica a queste critiche?
I sindacati fanno legittimamente la loro parte e sicuramente lavorare in sanità è una delle cose più difficili al mondo, perché non è un lavoro ma una missione. Quella polemica mi è un po’ dispiaciuta, perché la realtà è che la Regione Veneto non ha mai negato le richieste di assunzioni giunte dai Direttori Generali per consentire la continuità dell’erogazione dei Lea e non ha certo intenzione di risparmiare sui medici e gli infermieri. La realtà è che divieti, lacci e lacciuoli introdotti a più non posso dai soliti noti, Monti, Letta e Renzi, hanno reso un’impresa titanica anche ingaggiare il personale che serve. Ma noi non ci arrendiamo. Ho in serbo delle sorprese.
Durante i lavori in Conferenza delle Regioni voi avete espresso, sin dal principio, una linea differente dalle altre amministrazioni rispetto alle modalità con cui recepire i tagli fissati dalla Legge di Stabilità. Cosa vi distanziava dalle altre Regioni? Come vi sareste mossi in alternativa? E’ soddisfatto della presidenza targata Chiamparino?
Siamo stati, siamo e saremo sempre sulle barricate contro i tagli indiscriminati, perché se il Veneto riesce a tenere i conti in ordine e curare bene i suoi malati, non si vede perché non debbano riuscirci anche gli altri. La parola magica è Costi Standard. In Veneto li applichiamo autonomamente da tempo e il risultato è che, applicando i nostri parametri gestionali, in Italia si potrebbero risparmiare 30 miliardi l’anno e non servirebbe tagliare proprio nulla. Invece i costi standard, ad oggi sono rimasti parole o, al massimo, buoni propositi. Da Renzi a Cottarelli, dal ministro Lorenzin a Gutgeld, dal ministro Padoan a Grillo ne hanno parlato tutti. Il risultato è che con la legge di stabilità alla sanità del Veneto, con i bilanci in attivo, si vogliono tagliare altri 240 milioni di euro. Non subiremo questa ingiustizia, costi quel che costi. Prima di toccare un solo centesimo dedicato alla salute dei Veneti si faccia in modo che un pasto in ospedale costi 6/8 euro come da noi e non 60 come in altre parti d’Italia, che una siringa non costi altrove quattro volte di più che da noi, che non si continuino a tenere aperti ospedali con 20 posti letto e 120 dipendenti, che non si faccia pagare anche al Veneto lo sconcio di 22 mila forestali in Sicilia quando da noi ne bastano qualche centinaio per lavorare sul 70% delle Dolomiti che stanno sul territorio veneto. Poi ne riparliamo.
Sempre a proposito della Stabilità il Veneto ha presentato ricorso alla Consulta, chiedendo che, per ripartire i tagli, venga applicato il criterio dei costi standard anziché quello del Pil regionale. Siete fiduciosi? Come vi muoverete se il ricorso dovesse essere bocciato?
Siamo fiduciosi perché riteniamo che la nostra posizione abbia solide basi giuridiche e costituzionali. Dico solo che nuovi tagli orizzontali alla sanità finirebbero con il costringere chi ha già razionalizzato come il Veneto a non erogare più, almeno in parte, i Livelli Essenziali di Assistenza, che sono invece un diritto costituzionale di tutti i cittadini italiani. Cosa faremo se dovesse andare male non lo dico, sarebbe come svelare i piani di battaglia al nemico.
Nel complesso ritiene che il riparto delle risorse in sanità non sia efficace e che danneggi le Regioni virtuose? Il Rapporto Crea dello scorso ottobre mostra che i maggiori valori di spesa in sanità si registrano di gran lunga al Nord. Come giudica questo dato?
Il punto non è quanto si spende, ma come lo si spende e se quanto viene speso si traduce davvero in servizi ai malati.
L’applicazione del Patto per la Salute sta procedendo nella giusta direzione o sta marciando troppo a rilento? Quali le note positive e negative?
Il Patto per la Salute è morto perché, proprio con la legge di stabilità, sono stati disattesi solenni impegni che il Governo aveva preso con le Regioni. Va ricontrattato partendo da zero, ma quando un interlocutore si mostra così poco affidabile non hai tanta voglia di riprovare ad aver a che fare con lui.
Come giudica il pacchetto liberalizzazioni nella parte che riguarda le farmacie?
Con i farmaci bisogna andarci piano, così come con la cosiddetta automedicazione che sta andando tanto di moda. Finchè parliamo di una pastiglia per il mal di testa è un conto, ma le medicine possono anche far male e vanno prescritte, gestite ed erogate da chi ha la necessaria preparazione.
Gennaro Barbieri
03 aprile 2015
© Riproduzione riservata
Altri articoli in QS Veneto