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Servizi per le dipendenze. Zanon (psicologo): “Aggressioni quasi quotidiane, serve cultura della sicurezza tra il personale”

Per Zanon, dirigente psicologo in un Ser.D del Veneto, la soluzione ai comportamenti aggressivi “non vanno cercati in un maggior rigore verso i pazienti con disturbi mentali, ma in una più diffusa cultura della sicurezza fra il personale sanitario, che deve considerare la violenza come un rischio nella quotidianità lavorativa alla stregua di un incendio e, in quanto tale, va gestirla con idonee misure e senza adottare posizioni moralistiche”.

di Endrius Salvalaggio 
15 MAG - “In contesto sanitario non esiste il rischio zero per la violenza. Il rischio di violenza è una realtà implicita al sistema, di cui prendere atto per adottare misure di prevenzione degli eventi e di sicurezza nel caso in cui avvengano”. È questa la posizione di Federico Zanon, dirigente psicologo in un Ser.D. veneto, che interviene in particolare sul suo ambito professionale, dove gli eventi di violenza sono “quasi all’ordine del giorno”. Per questo, per chi ci lavora con un rischio così alto, diventa indispensabile costituire adeguate pratiche professionali e misure organizzative, che garantiscano sicurezza al personale sanitario ma anche agli utenti.

La sicurezza dei lavoratori e dell’utenza sanitaria, per Zanon, dovrebbe quindi porsi come un tema strutturale di prevenzione organizzativa. Il dolore e le manifestazioni dopo fatti molto gravi - come nell’ultimo caso dell’omicidio di Pisa, per il quale è stato arrestato un paziente con chiare evidenze di psicopatologia grave che aveva già messo in atto comportamenti etero aggressivi - non devono far dimenticare che la violenza è uno dei rischi connaturati ai contesti sanitari, da trattare in modo sistematico ogni giorno.

“Nei SerD gli atti di violenza verbale o fisicamente agita sono frequenti - spiega Zanon - dove lavoro ad esempio abbiamo in carico circa 600 pazienti e alcune decine di questi manifestano con costanza comportamenti aggressivi, anche per proprie caratteristiche. Gli episodi di aggressività fisica sono a cadenza settimanale, ma in genere non raggiungono gli operatori e si disperdono sull’ambiente, sulle porte, sulle suppellettili, grazie ad un sistema organizzativo che riduce i danni in caso di aggressione. Ci sono poi gli episodi verbali, praticamente quotidiani. Abbiamo procedure di sicurezza che ci aiutano a prevenire gli eventi e a gestirli in sicurezza quando si manifestano. Ma sarebbe un errore pensare alla violenza come a qualcosa che riguarda singoli pazienti violenti. La violenza è un rischio come può essere quello di incendio, o di folgorazione, e come tale va gestito con idonee misure e senza adottare posizioni moralistiche”.

“L’aggressività è un comportamento connaturato alla natura umana – prosegue Zanon - ed è presente in misura rilevante in alcuni disturbi mentali. Il contesto sanitario è di per sé particolarmente esposto a condotte di violenza perché sono presenti tipici fattori scatenanti quali il dolore psichico e fisico, la paura, la preoccupazione, la frustrazione, l’affollamento, l’asimmetria di poteri, il tempo di attesa. Questi fattori di contesto fanno in modo che non esista mai il rischio zero. La violenza in questi contesti va gestita con precauzioni generali, attraverso l'organizzazione degli spazi, il controllo dei tempi di attesa e dei comportamenti delle persone, l’atteggiamento degli operatori orientato alla sicurezza”.

Per lo psicologo un altro elemento importante che dovrebbe appartenere ad ogni sanitario è di essere sempre consapevoli che nessuna situazione e nessun paziente o familiare sono a rischio zero. Chiunque in determinate situazioni può agire con violenza, non solo i pazienti con problemi psichiatrici. Le soluzioni non vanno quindi cercate in un maggior rigore verso i pazienti con disturbi mentali, ma in una diffusa cultura della sicurezza fra il personale sanitario, che deve considerare la violenza come uno degli elementi di rischio da considerare nella quotidianità lavorativa. Accanto all’esperienza maturata sul campo, che è comunque notevole nel nostro sistema sanitario e spesso è un fattore protettivo, occorre anche adottare pratiche esplicite, sistematiche, fondate sulla letteratura scientifica, perché non sempre la sola esperienza sul campo degli operatori è sufficiente. Inoltre i fattori emotivi in questo caso possono avere un ruolo di aumento del rischio, ed è quindi necessario un approccio sistematico per diffondere prassi ordinate per la sicurezza.

Endrius Salvalaggio

15 maggio 2023
© Riproduzione riservata

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