Nel 2021 la spesa dei Comuni per i servizi sociali e socio-educativi è stata di 10,3 miliardi di euro, di cui 1,2 miliardi rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e 745 milioni dalla contribuzione a carico degli utenti. La spesa al netto delle compartecipazioni (8,4 miliardi) è aumentata del 6,7% rispetto al 2020. Lo rivela il report Istat Spesa sociale dei comuni 2021.
Maggiori gli incrementi di spesa si notano al Sud (8,1% in valuta corrente; 6,1% in termini reali), soprattutto in Calabria (27,6%), in Puglia (18,5%) e in Basilicata (17,2%). Il divario rispetto alle altre aree del Paese resta però molto ampio. Al Nord-est le risorse per il welfare territoriale (197 euro pro-capite) sono ben al di sopra della media nazionale (142 euro) e quasi tre volte superiori rispetto al Sud (72 euro). Sono stati presi in carico dagli assistenti sociali oltre 2 milioni 185mila utenti, di cui la quota più ampia (31%) è composta da bambini e nuclei familiari con minori, il 24,1% persone anziane, il 24% adulti con problemi di povertà e disagio sociale, il 13,5% persone sotto i 65 anni con disabilità, il 6,2% immigrati e l’1,2% utenti con problemi di dipendenze.
Dal punto di vista territoriale, le variazioni sono molto importanti e non sembrano corrispondere alla distribuzione dei bisogni dei residenti: i fruitori del servizio sociale professionale variano da un minimo di due su 100 abitanti al Sud a un massimo di cinque al Nord-est (quattro la media nazionale). La spesa corrispondente varia da quattro euro l’anno per abitante al Sud, a 12 euro al Nord-est (otto euro per abitante la media nazionale.
La spesa sociale dei Comuni per le famiglie con figli, al netto delle contribuzioni degli utenti e del Servizio Sanitario Nazionale, ammonta a 3,2 miliardi di euro nel 2021, con un incremento del 9,1% rispetto all’anno precedente. Il 41,3% delle spese sostenute dai Comuni in quest’area di utenza riguarda la gestione dei nidi d’infanzia, comunali o convenzionati e degli altri servizi socio-educativi per i bambini sotto i tre anni, che afferiscono ormai al comparto dell’istruzione. Un’altra quota rilevante delle spese dei Comuni per i minori e per le famiglie è assorbita dai centri di accoglienza e dalle strutture residenziali (22%), dove vengono accolti sia i minori fuori dalla famiglia, sia le donne e i genitori in difficoltà. L’offerta di strutture residenziali interessa un’ampia quota di Comuni (76,3%), soprattutto al Nord-est (92,6%) e al Nord-ovest (90,7%), meno al Centro (74,1%) e al Sud (56,5%) e soprattutto nelle Isole (41,7%).
Nel 2021 la spesa sociale dei Comuni nell’area disabili è stata di 2,2 miliardi di euro, con un incremento del 12,1% rispetto all’anno precedente e del 35% rispetto a 10 anni prima (al netto dell’inflazione l’aumento è stato del 10% e del 24,2% rispettivamente). Si tratta dell’incremento maggiore fra tutte le aree di utenza. Parallelamente, tra il 2011 e il 2021, è diminuita gradualmente la spesa per i servizi sociali destinati agli anziani, che è passata da 1,4 a 1,3 miliardi di euro (-16,5% la variazione in termini reali) e ha ridotto il suo peso sul totale delle risorse dei Comuni per i servizi socio-assistenziali (dal 19,8% al 15%). Dal 2020 al 2021 la spesa per i servizi agli anziani ha fatto registrare un lieve recupero (+1,2% in valuta corrente, -0,6% in termini reali).
Le persone che risiedono nelle strutture comunali o che ricevono integrazioni alle rette per le strutture private sono oltre 140mila, di cui circa 108mila anziani e 32mila disabili. L’assistenza domiciliare, che può rappresentare un’alternativa all’istituzionalizzazione delle persone non autosufficienti, è una voce di spesa quasi altrettanto significativa nell’ambito dell’assistenza fornita dai Comuni: il 36,1% dei servizi offerti agli anziani e il 16,5% per le persone disabili. Le persone assistite a domicilio, nelle varie forme di organizzazione del servizio, sono in numero molto maggiore rispetto agli utenti delle strutture residenziali, che hanno mediamente dei costi molto più elevati.