Mentre in Italia si continua a parlare dell’opportunità più o meno giusta di riformare l’ingresso alla Facoltà di Medicina e a discutere della carenza di medici, dall’ANVUR arriva il Rapporto sulla formazione dell’area medica nel quale sono proposti dati, analisi, riflessioni, approfondimenti sulla intera filiera formativa medica (dai corsi di laurea alle scuole di specializzazione), sulle modalità di accesso e sull’attrattività di atenei e percorsi di studio anche in relazione ai fabbisogni.
Una sorta di “Mappa”, con l’obiettivo, spiega Antonio Felice Uricchio, presidente dell’ANVUR, di “fornire una rappresentazione completa e supportata da dati oggettivi sull’evoluzione della formazione medica in Italia negli ultimi 10 anni in relazione ad alcuni indicatori di ambito sanitario e dei modelli di accesso ai corsi di Medicina e Chirurgia, con una visione di ampio respiro, proiettata in un contesto europeo. Diritto alla salute e diritto allo studio costituiscono valori costituzionali che hanno orientato l’agenzia nella redazione e nella cura dello studio. Particolare attenzione è stata riservata anche al decremento demografico, a quello dell’innalzamento dell’età media e alle inevitabili ricadute. Si stima, infatti, che nel 2050 la popolazione residente in Italia si ridurrà a circa 54,4 milioni di abitanti (nel 2021 la popolazione è di circa 59 milioni), di cui 7,7 milioni con almeno 80 anni di età (nel 2021 sono 4,5 milioni), con inevitabili ricadute sulla sanità e sui modelli che le università saranno chiamate a progettare per formare i medici del futuro”.
Il primo aspetto da evidenziare è che l’accesso ai corsi di Medicina è regolato in tutti i principali Paesi europei (Regno Unito, Francia, Germania e Spagna) con un numero programmato di posti e i criteri per la selezione all’ingresso sono articolati e prevedono sia prove nazionali che valutazioni attitudinali e della carriera pregressa degli studenti. La differenza sostanziale con l’Italia è che non esiste una graduatoria nazionale ma ogni ateneo formula una propria graduatoria in cui valorizza anche i risultati che i candidati hanno ottenuto in test a livello nazionale. Altro aspetto riguarda il numero programmato per l’accesso a Medicina che in Spagna e Germania è definito a livello nazionale, mentre in Francia e Regno Unito è stabilito a livello di ateneo.
Il Rapporto evidenzia anche come in Italia la capacità formativa sia aumentata molto nel corso degli ultimi dieci anni e i corsi di Medicina sono aumentati da 55 (a.a. 2011/12) a 89 (a.a. 2023/24) così come gli studenti iscritti che sono passati da circa 66 mila a 99 mila. Una crescita che è stata trainata anche dall’attivazione di molti corsi di Medicina e Chirurgia in lingua inglese che nell’a.a. 2023/24 sono in tutto 22 e a cui sono iscritti circa 9 mila studenti.
“L’aumento dell’offerta formativa di corsi in Medicina – sottolinea il Presidente Uricchio – ha consentito anche l’aumento dei posti programmati per le immatricolazioni che sono passati da poco più di 9,7 mila posti nell’a.a. 2017/18 al numero complessivo di circa 19,5 mila posti nell’a.a. 2023/24. Il nostro rapporto si ferma all’a.a. 23/24 ma il Ministero ha già previsto che nell’a.a. 2024/25 i posti siano quasi 21 mila”
Logica conseguenza dell’aumento degli iscritti è il graduale incremento dei laureati che si è registrato negli ultimi anni: circa 10 mila laureati all’anno, di cui quasi 9 su 10, provenienti da università statali, con una lenta ma costante crescita fra coloro che hanno frequentato corsi erogati in lingua inglese, che hanno rappresentato lo 4,6% del totale dei laureati nell’a.a. 2021/22.
Attesi circa 15 mila laureati entro l’a.a. 2027/28. “Si tratta del bacino di riferimento dei futuri medici che però richiede un’attenta programmazione da parte dei Ministeri competenti tenendo conto, tra l’altro, del rilevante numero di medici formatisi in Italia che ogni anno emigrano all’estero: circa 1.000 all’anno. Un investimento e una spesa per la formazione in Italia che poi va a tutto vantaggio di altri Paesi dove i medici trovano opportunità e condizioni di lavoro sempre più attrattive. Importante inoltre evidenziare che il numero di laureati in Medicina ogni 100 mila abitanti (18,2 in Italia) è comunque superiore a quella di Spagna, Francia, Regno Unito e Germania, mentre inferiore è quello degli altri professionisti impiegati nella sanità”, spiega Uricchio.
In merito alle immatricolazioni, il Rapporto evidenzia come il numero di immatricolati nell’ateneo di prima scelta è sceso dal 74,5% dell’a.a. 2013/14 al 62,8% nell’a.a. 2022/23. Questo anche perché, a fronte dell’aumento delle sedi, gli atenei più richiesti restano sempre gli stessi. L’Agenzia definisce inoltre “critico” il dato dei tempi di scorrimento della graduatoria nazionale e quindi di immatricolazione: circa il 10% dei vincitori inizia l’anno accademico ritardato a dicembre o addirittura nell’anno solare successivo.
Per quanto riguarda gli studenti che hanno partecipato al test ma che non risultano immatricolati a Medicina e Chirurgia in un ateneo statale, questi scelgono in maggioranza corsi dell’ambito medico (28,3%), biologico (27,7%) o farmaceutico (16,7%).
Emerge, dunque, che il 52% degli immatricolati dopo le ultime edizioni della prova nazionale negli atenei statali erano già in possesso di una pregressa carriera da studente universitario, dove il 2% risultava già iscritto a Medicina e Chirurgia (in sede diversa da quella in cui desiderava iscriversi), il 9% a un altro corso medico sanitario e il 39% a corsi di altri ambiti disciplinari. Inoltre il 4% degli immatricolati era anche in possesso di una laurea.
Per quanto riguarda le Scuole di specializzazione in area sanitaria, sono 51 quelle attive in Italia che hanno portato all’attivazione di circa 1.400 corsi nelle sedi universitarie. Significativo l’aumento dei posti messi a concorso finanziati dallo Stato, dalle Regioni o da enti pubblici/privati, passato da circa 6,7 mila dell’anno 2017 a 15,7 mila nell’anno 2023, eppure il numero di iscritti al primo anno si sono fermati a 10,2 mila dell’anno 2023. In questi numeri c’è la riduzione dei posti coperti che è passata dall’89,2% del 2017 al 64,7% del 2023. Dati che, secondo l’ANVUR, “probabilmente richiedono di ragionare sul modello di programmazione degli accessi, soprattutto per alcune discipline che più di altre stanno risentendo di una crisi di candidati”.
“Negli ultimi tre anni accademici – evidenzia il prof.
Menico Rizzi (professore dell’Università del Piemonte Orientale e già consigliere dell’ANVUR, referente per il settore della Sanità) - le uniche scuole di prima preferenza in cui la numerosità dei candidati è superiore ai posti sono nell’ordine: Dermatologia, Chirurgia plastica, Oftalmologia, Malattie dell’apparato cardiovascolare, Endocrinologia, Malattie dell’apparato digerente, Neurologia, Pediatria, Medicina dello sport e Medicina legale”.
Da ANVUR, infine, un’analisi delle aree che necessitano di particolare intervento. Da una parte la necessità di dare maggiore coerenza e organicità tra nozioni teoriche e competenze pratiche da acquisire durante la laurea; dall’altra quella di prevedere un orientamento formativo a partire dagli ultimi anni della scuola secondaria. Per ANVUR sarà poi
necessario affrontare aspetti come l’introduzione di un sistema di valutazione in itinere delle conoscenze e competenze acquisite dagli studenti, quale strumento di monitoraggio, ma anche la definizione di un orientamento in itinere e di attività elettive di tirocinio funzionali alla scelta della scuola di specializzazione. Non ultimo l’integrazione tra discipline di base, discipline cliniche, conoscenze trasversali e interdisciplinari e competenze innovative in campo tecnologico applicate alla medicina.
E per le Scuole di specializzazione di area sanitaria, si suggerisce di introdurre una soglia minima di punteggio per l’ammissione; la promozione di procedure di accreditamento (iniziale e periodico), tenendo conto anche di standard internazionali per assicurare la qualità delle scuole e le opportunità di professionalizzazione dei medici in formazione; misure che favoriscano l’attrattività delle scuole che ancora non utilizzano appieno il potenziale formativo.