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Anteprima Rapporto Oasi-Bocconi 2023. L’universalismo del Ssn è ormai selettivo. Serve definire priorità consapevoli e riorganizzare per non razionare

di Lucia Conti 

Le risorse sono sempre meno, i bisogni sempre di più. E così il 50% delle visite specialistiche ambulatoriali oggi sono pagate privatamente, così come il 33% degli accertamenti diagnostici ambulatoriali. Per il Cergas della SDA Bocconi occorre andare oltre l’illusione di un Ssn “che garantisce tutto a tutti” e capire come far fronte ai crescenti bisogni di una popolazione sempre più anziana. Tra le proposte, puntare alla presa in carico, soprattutto di cronici e fragili (che determinano la maggior quota di spesa) e accompagnare verso una calmierazione e convergenza dei consumi di prestazioni. IL
PRIMO CAPITOLO DEL RAPPORTO 

27 NOV - La scarsità di risorse per il Ssn, insufficienti soprattutto in relazione ai bisogni in crescita, mette le Regioni, ancor più dello Stato, di fronte alla difficile scelta tra il mantenimento dell’equilibrio economico e la salvaguardia dei livelli erogativi. La risposta, secondo i ricercatori del Cergas (Centro Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e sociale), della SDA Bocconi, non può in ogni caso essere quella della riduzione lineare dei servizi, che ha ormai esaurito gli spazi di efficientamento più facilmente conseguibili, ma richiede una trasformazione profonda dei modelli in una logica di maggiore governo della domanda e di reingegnerizzazione dei processi di cura. Più facile a dirsi che a farsi, ma è proprio la riflessione che il Cergas della SDA Bocconi ha deciso di affrontare nel Rapporto Oasi (Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema sanitario Italiano), edizione 2023, che sarà presentato domani a Milano.

Il quadro nazionale
La riflessione del Cergas parte da alcuni fatti incontrovertibili: lo squilibrio demografico e lo spiazzamento della spesa pensionistica a questo legato. L’Italia del 2023 registra un numero di over65, e dunque di potenziali pensionati, doppio rispetto a quello dei minori di 15 anni: 14,1 milioni contro 7,3 milioni. Il rapporto tra lavoratori e pensionati è ormai di 1,7 a 1 e il dato è in costante peggioramento a causa della decrescente natalità, della ridotta percentuale di occupati (62% della popolazione in età da lavoro), di una programmazione dell’immigrazione regolare a lungo insufficiente e dell’aumento progressivo, anche se in rallentamento, della speranza di vita media.

Questa situazione impatta sulla sanità in due diversi modi, da una parte sul ridotto numero di contribuenti e sull’alto numero di pensioni, dall’altro sulla crescita dei bisogni di salute legati a un’aspettativa di vita sempre più alta. “La crescita della popolazione anziana e i meccanismi di rivalutazione collegati all’inflazione – spiegano dunque i ricercatori del Cergas - comportano, a politiche invariate, previsioni di aumento della spesa pensionistica di 64 miliardi nel solo periodo 2022-2026: un incremento del 22% per un comparto che già oggi assorbe il 15% del PIL, oltre il doppio della sanità pubblica (6,7%)”.

Ad influire sulla situazione economica del Paese ci sono chiaramente molti altri fattori, nazionali e internazionali, ma andando dritti a cosa questo comporti in termini di finanziamento del Ssn, sappiamo che secondo le previsioni a legislazione invariata, rispetto al 2022 (ultimo esercizio consuntivato), entro il 2026 la spesa sanitaria crescerà di 8 miliardi. Si tratta di un aumento percentuale del 6% in quattro esercizi, largamente al di sotto del trend economico e inflattivo previsto, che conduce quindi a una riduzione della sua incidenza nominale e reale sul PIL: dal 6,7% al 6,1%, ben al di sotto di quanto registrato in Francia, Germania e Regno Unito, che si collocano tra il 10% e l’11% del PIL. E con tali risorse l’SSN deve prendere in carico una popolazione tra le più anziane del mondo.

Il quadro regionale
A livello regionale, poi, il Rapporto Oasi evidenzia come si sia assistito a un ulteriore fenomeno: molte regioni del Centro-Nord, con una rete più robusta di servizi e di capacity produttiva installata, tradizionalmente caratterizzate da una governance molto inclusiva rispetto agli enti locali e da una rete di erogatori prevalentemente pubblici, i cui costi sono più difficilmente contenibili attraverso tetti e budget, si sono trovate in grande tensione finanziaria. Per l’esercizio 2022, al Centro-Nord, i risultati negativi più rilevanti in valore assoluto sono da ricondurre a Emilia-Romagna e Toscana. Paradossalmente, le regioni del Mezzogiorno, asciugate da anni di piani di rientro, con una rete di servizi più deboli, appaiono per la maggior parte in buon equilibrio. “Simbolicamente e significativamente, la Regione Calabria, purtroppo caratterizzata da deboli servizi, dalla minore speranza di vita e minore speranza di vita in buona salute del Paese, presenta un avanzo di bilancio”, osservano i ricercatori, secondo i quali “riguardo alle regioni del Centro-Nord in difficoltà finanziaria, l’interpretazione probabilmente più corrispondente al vero è quella di Ssr che offrono una buona gamma di servizi, comunque insufficienti rispetto ai bisogni, ma, purtroppo, già superiori al livello che il SSN può permettersi con un livello di finanziamento tra il 6% e il 7% del Pil”.

Un sistema sanitario universalistico in realtà già selettivo, che seleziona le sue priorità implicitamente e con scarsa consapevolezza
Non ne sono convinti i ricercatori della Bocconi. “In questo scenario – osservano infatti nel Rapporto - , vengono perpetuate dichiarazioni di intenti universalistiche, con tensioni verso panieri di prestazioni coperte teoricamente sempre più generosi”, ma “le ultime evidenze disponibili segnalano che ormai il 50% delle visite specialistiche ambulatoriali sono pagate privatamente, così come il 33% degli accertamenti diagnostici ambulatoriali. Allo stesso modo, la riabilitazione domiciliare e ambulatoriale è in larga maggioranza a pagamento (seppure virtualmente coperta), come da sempre l’odontoiatria (esclusa comunque dalla copertura)”.

È evidente che, in maniera tanto chiara agli analisti quanto poco familiare per l’opinione corrente, siamo di fronte a un universalismo che in realtà è selettivo, seppure in maniera implicita. In questo quadro, non è detto che chi acceda ai servizi sia chi ha maggiore bisogno. Ciò pone la questione se definire delle priorità consapevoli, orientate a massimizzare il beneficio collettivo, percorso sicuramente difficile, o se continuare con priorizzazioni emergenti e inconsapevoli.

Insomma, quella di un universalismo delle cure che dovrebbe garantire ogni prestazione sanitaria a chiunque, gratuitamente e in qualsiasi contesto appare come un’opzione non realistica, specialmente a fronte della contrazione delle risorse, dell’aumento dei costi di produzione e dell’incremento dei bisogni.

Cosa fare, allora? Razionare o riorganizzare? Concentrarsi sul paziente occasionale oppure cronico?
A queste domande cercano di rispondere gli esperti della Bocconi, proponendo, tra le altre cose, una visione del PNRR e del DM 77 che vuole essere “più coerente al quadro epidemiologico e delle risorse del Ssn in essere”, che ha due grandi necessità, secondo i ricercatori: “Da un lato, definire priorità e perimetrare le aspettative dei pazienti, dall’altro, riallocare le risorse e i servizi a favore dei target di bisogno e dei setting ritenuti prioritari”. Il tutto senza mettere in campo cambiamenti al margine, a macchia di leopardo, che “hanno un’efficacia ridotta, anche a causa della scarsità di risorse per gli investimenti e dell’assenza di un orizzonte strategico complessivo”.

L’obiettivo, per gli esperti del Cergas Bocconi, è quindi quello “ricollocarsi decisamente verso logiche di presa in carico, da applicare soprattutto a cronici e fragili, i quali determinano una quota maggioritaria della spesa; verso logiche di calmierazione e convergenza dei consumi per paziente, di accompagnamento proattivo da parte del Ssn ai consumi appropriati e sostenibili, i quali corrisponderanno a una quota più o meno ampia di domanda”. Va superata, scrivono i ricercatori nel Rapporto Oasi, “la logica che vede il prescritto nel Ssn non correlato alla capacità produttiva disponibile; che osserva il cittadino, senza una guida, alla caccia della prestazione reperibile; che prova a inseguire le liste di attesa, quando in realtà non sappiamo quanti pazienti ricevono più prestazioni del necessario e quanti invece ne ricevono di meno. Cosa succederebbe se registrassimo, come probabile, che la maggior parte delle persone in lista d’attesa sono over-treated, mentre nessuno insegue gli under-treated?”.

Le riflessioni, dunque, dovrebbero partire da alcuni punti fermi, “dettati dall’osservazione delle criticità esistenti, ma soprattutto dalla ragionevolezza”, evidenziano i ricercatori. E dunque:
- i consumi, tra pazienti omogenei in termini di patologie e stadiazione, dovrebbero essere convergenti;
- i volumi e mix delle prestazioni prescritte dovrebbero essere coerenti con quanto effettivamente erogabile;
- le prestazioni appropriate ed effettivamente disponibili in un arco territoriale e temporale ragionevole dovrebbero essere indicate direttamente al cittadino in sede di prescrizione.

“Questi passaggi – spiega il Cergas - rappresentano una grande rivoluzione di cultura di servizio. Richiedono processi più trasversali tra i silos aziendali e logiche di presa in carico opposte a quelle prestazionali. Richiedono soprattutto un framing diverso dei problemi”, come cerca di proporre il Rapporto OASI 2023. Le liste di attesa, ad esempio, per i ricercatori, “più che essere il problema, segnalano una serie di problemi sottostanti che non possono essere genericamente inquadrati come scarsa produttività. Se le prescrizioni registrano ancora elevata e non giustificabile variabilità tra pazienti cronici omogenei e tra territori comparabili, anche perché il prescritto non tiene conto delle agende disponibili nel Ssn, è inevitabile che si formino liste d’attesa e che il 50% delle visite siano poi ottenute a pagamento. Il problema, certamente a fronte di risorse scarse, è di programmazione, di governo clinico, di operations management. Un problema di postura, che deve passare dal focus esclusivo sull’offerta al governo della domanda”.

In sintesi, “i due mantra della nuova stagione, il contenimento della spesa e il rinnovo dei setting erogativi proposto dal Pnrr, si conciliano se il secondo è occasione di riorganizzazione e ridisegno dei servizi, a fronte di risorse stabili se non in calo e di un quadro epidemiologico in trend inesorabilmente peggiorativo. Qualora, invece, il Pnrr venisse interpretato come politica di espansione e diversificazione dei servizi, a fronte di risorse finanziarie e umane stabili o in riduzione, il programma di investimento risulterebbe inconsistente e anzi dannoso per la qualità dei servizi e per la reputazione del Ssn”, concludono i ricercatori del Cergas Bocconi.

E le tanto discusse Case di Comunità che ruolo avrebbero, in questo nuovo contesto? “Attualmente – spiegano i ricercatori della Bocconi -, le CdC appaiono declinate in logica supply oriented, con spazi e tecnologie proprie e personale sanitario prevalentemente tratto per un certo quantitativo di ore settimanali da articolazioni organizzative ospedaliere o dalle cure primarie. Se la piattaforma erogativa si confermerà come la logica stabile dei nuovi setting fisici del territorio, sarà necessario responsabilizzare sulla coerenza tra le risorse proprie e quelle appartenenti ad altri, e, poi, tra il combinato disposto delle due e le prestazioni erogate. Se le Case della Comunità vorranno, invece, rappresentare un tensore orizzontale, allora l’oggetto ultimo di misurazione e responsabilizzazione dovrà evolvere verso il macro-processo della presa in carico, trasversale ai setting, fino all’introduzione di veri e propri budget di salute. Questo richiederebbe un ripensamento globale dei sistemi di controllo di gestione in una logica orientata ai processi, portando a livello di CdC metriche globali di sostenibilità, appropriatezza, efficacia e qualità complessive della presa in carico”.

Lucia Conti

27 novembre 2023
© Riproduzione riservata

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