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Tre settimane da raccontare agli amici tornando dall’ospedale

di Saverio Proia

Per decenni ho passato la vita come sindacalista, come dirigente di SSN/Ministero della Salute, come consulente di tante realtà professionali e istituzionali a tutela e promozione del personale sanitario e sociosanitario ma sempre aldilà delle mura ospedaliere non come un ricoverato di lungo corso. Ecco la mia esperienza.

24 NOV -

“…Tre settimane da raccontare agli amici tornando dall’ospedale…” parafrasando una vecchia ma attuale canzone di Fred Bongusto, vorrei descrivere tre settimane passate aldilà delle linee, tre settimane in pigiama quasi sempre su un letto, con la flebo sempre infilata e tutti gli strumenti che usano in ospedale di cura ma anche un po' di tortura…confinato in un reparto le cui uniche trasferte erano in radiologia o in sala operatoria. Per decenni ho passato la vita come sindacalista, come dirigente di SSN/Ministero della Salute, come consulente di tante realtà professionali e istituzionali a tutela e promozione del personale sanitario e sociosanitario ma sempre aldilà delle mura ospedaliere non come un ricoverato di lungo corso.

E’ vero che tre ricoveri li ho fatti anni fa, ma di breve durata, di cui due in PS e OBI; quindi, non riflettenti la vita ordinaria di un reparto fuori dall’emergenza e tutti ante COVID: oggi è proprio un’altra realtà e gli schemi di vita e le consuetudini di un ricovero stile pre-COVID sono completamenti cambiati, ma non sempre in meglio.

Dopo una visita il mio cardiologo diagnostica una fibrillazione atriale con dolore al petto e mi invia con una richiesta di ricovero urgente in ospedale. Quindi mi sono recato al PS dell’Ospedale G.B. Grassi di Ostia, presidio ospedaliero dell’ASL RM3 nel cui territorio vivo e di cui fui dirigente per decenni (mi sono sempre ricoverato in questo nosocomio per fiducia e esperienza positiva).

Prima differenza al PS, che pur era stato ristrutturato secondo le più moderne concezioni, appare una fila enorme dinanzi allo sportello del triage, senza alcun filtro, almeno io non l’ho notato, che distinguesse il solito codice bianco da un codice più grave di un malato/infortunato che fosse venuto con i propri mezzi e non in autombulanza o addirittura dal parente che deve lasciare indumenti al proprio congiunto ricoverato in PS.

Mentre la mia compagna, anch’essa ex dirigente di quest’ASL, si faceva avanti mostrando la mia richiesta di ricovero urgente, un oss dall’altra parte mi riconosce urlando ma è “Saverio Proia” facendoci entrare subito in sala accettazione per gli esami di rito e il primo ricovero in OBI.

L’accoglienza si rivela subito pronta, positiva e anche affettuosa in particolare dagli oss che erano rimasti sempre in contatto con me allorché in Parlamento e poi nell’attuazione contrattuale in ARAN riuscii a inserirli prima nell’area delle professioni sociosanitarie e poi nel neoistituito ruolo sociosanitario, dando loro la corretta collocazione nell’ organizzazione del lavoro in sanità…le conquiste fatte per gli infermieri e le altre professioni sanitarie ormai fanno parte della storia e solo quelli meno giovani se ne ricordavano e hanno iniziato a raccontarlo ai più giovani.

Ma in particolare il direttore della UOC di cardiologia, dove mi avevano trasferito prima in UTIC e poi nel reparto ha voluto ricordare agli infermieri e ai medici il mio ruolo nel superamento della condizione di ausiliarietà di quelle professioni e delle conquiste di riforme ordinamentali e formative…primario cardiologo, onor del vero che erano almeno quattro anni che continuava a dirmi che avrei dovuto sottopormi ad una coronografia viste le condizioni del mio cuore ma come, purtroppo capita spesso un conto è pontificare sul primato della prevenzione altro è praticarla direttamente e realmente… ah se gli avessi dato retta subito quanta qualità di vita avrei recuperato!

Nei vari tavoli che coordinavo al Ministero della Salute una dirigente della UIL lo aveva definito il “metodo Proia”, cioè, riuscire a far degenerare le cose sino a che l’ultimo stadio, quando tutto sembrava esser perduto, tirare dal cilindro la soluzione positiva e risolutiva, ma non sempre era garantita la piena riuscita…

Stavolta l’ho applicato su di me arrendendomi alle capacità professionali del primario e della sua equipe per ristabilire uno stato di salute accettabile (quel reparto di Cardiologia, anche accertato da AGENAS, costituisce un’eccellenza in tale branca).

La degenza in reparto

Il trasferimento dall’OBI a Cardiologia fu abbastanza veloce: all’inizio in UTIC e poi in reparto.

Le prime differenze che notai rispetto ai ricoveri pre covid era il fatto che l’equipe era sempre mista infermieri e uno/due oss per turno oltre gli studenti infermieri del secondo a terzo anno di corso di laurea in infermieristica in tirocinio pratico.

In particolare per quanto riguarda quelli che una volta si chiamano allievi infermieri e ora sono studenti universitari a tutti gli effetti, ho potuto verificare dal vivo la giustezza della mia affermazione : essi costituiscono per l’Azienda un valore aggiunto, infatti, i ricoverati esprimono apprezzamento per la loro gentilezza e i volti sorridenti, che per un degente di per sé hanno già una valenza terapeutica, ma anche per la professionalità, nonostante l’essere ancora in formazione, allo stesso tempo, per gli infermieri loro tutors, rappresentano la propria valorizzazione e la responsabilizzazione nel trasmettere loro saperi e tecniche delle scienze infermieristiche.

Per questo ho più volte proposto, in passato ma anche recentemente, che almeno al terzo, se non anche al secondo, anno del corso di laurea fosse loro riconosciuto uno specifico contratto di formazione lavoro, regolamentato dal CCNL di riferimento che ne apprezzasse e valorizzasse il ruolo nel processo assistenziale.

Per quanto riguarda le divise ho rilevato che non sono per professioni ma per collocazione lavorativa, blu in reparto, rosso in sala operatoria…infermieri e oss si distinguono per una targhetta bianca con la scritta infermiere o per gli oss “operatori di supporto”, denominazione quanto mai orribile… supporto a chi? Al contrario di “ausiliaria” riferito alla professione infermieristica per la cui abolizione fu necessaria l’emanazione della legge 42/99, il termine “di supporto” per l’oss non è mai citato nella normativa di riferimento.

Infatti, nell’accordo Stato Regioni del 2021 che ha definito il profilo professionale si precisa quanto segue: “...L' operatore socio sanitario svolge la sua attività in collaborazione con gli altri operatori professionali preposti all'assistenza sanitaria e a quella sociale, secondo il criterio del lavoro multiprofessionale”; la parola operatore di supporto non è mai menzionata, altrettanto l’art.5 della legge 3/18 sull’area delle professioni sociosanitarie, nell’istituire l'area delle professioni sociosanitarie, che comprende ope legis anche l’oss, precisa il quadro di riferimento che è “ rafforzare la tutela della salute, intesa come stato di benessere fisico, psichico e sociale”, obiettivo strategico non certamente di supporto.

Nelle tre settimane ho potuto notare un sano e tranquillo lavoro d’equipe infermieri/oss senza alcun rapporto conflittuale o confusione di ruoli, o almeno non è mai emerso.

Per quanto riguarda le infermiere e gli infermieri la maggioranza era costituita da giovani laureate e laureati provenienti anche da regioni del Sud, pochissimi quelli della precedente formazione regionale, tra questi una mia ex allieva della scuola per infermieri della mia ASL dove ho insegnato per anni.

Il rapporto con i ricoverati è stato sempre quanto mai umano e professionale, spesso sorridente (che di per sé è già terapeutico, mi ripeto), in particolare con quelli meno autosufficienti e anziani, sempre con un sorriso e con una battuta…nursing infermieristico allo stato puro… non mi è mai capitato di sentire critiche da parte dei ricoverati nei loro confronti, salvo quando la risposta al campanello non era immediata ma comunque c’era sempre una giustificazione oggettiva nel ritardo.

Perdendo il pelo (anche per la tricotomia) ma non il vizio, nei colloqui con gli infermieri ho provato a chiedere loro se sapevano delle novità contenute nell’ultimo rinnovo contrattuale che prevede per la prima volta dopo oltre 40 anni la carriera anche professionale degli infermieri con l’obbligo per l’azienda ad attribuire ad ogni infermiere uno specifico incarico da graduare secondo la crescita professionale…ma, a detta loro, pur riconoscendo che è una parte importante, anzi storica del contratto, almeno nella loro Azienda non risultava loro che fosse ancora applicata…certo se fossi ancora il dirigente delle relazioni sindacali di quell’Azienda, sarebbe stata la prima parte del contratto che avrei portato in attuazione per la sua discontinuità e apprezzamento delle professionalità …peccato…Nel dialogare del riconoscimento effettuato da alcuni medici, anche famosi, nel ruolo formativo svolto dagli infermieri nelle loro prime fasi di esercizio professionale, un’infermiera che era vissuta in Canadà, mi ricordava quali competenze avanzate e specialistiche sono esercitate in quello Stato ancora futuribili nel nostro SSN….nervo ancora drammaticamente scoperto in Italia, per la cui attuazione non ancora integralmente avvenuta, al Ministero avevo dedicato tanti anni e impegno aldilà di ogni ragionevole previsione.

Arriviamo alle note dolenti: il vitto identico per ricoverati e personale, certamente non brilla di gusto…così come la questione dell’accesso dei parenti e/o amici profondamente diverso dalle procedure più tolleranti della fase pre Covid: un’ora al giorno di accesso per un parente o due per mezz’ora ciascuno, anzi talvolta si voleva imporre la regola ridicola che se ricevevi una visita di 5 minuti all’inizio poi per i restanti 55 minuti nessuno poteva più visitarti… nulla a che vedere con gli orari di prima e la possibilità di assistenza anche notturna da parte di un familiare o di un badante per il ricoverato…così come al posto della possibilità di girare all’interno del nosocomio per ogni ricoverato, anche di recarsi al bar interno, quindi c’è di fatto la consegna nel reparto ove si svolge la degenza (pensate uno come me che conosceva come entrare e uscire dall’OBI o dal reparto senza farsi notare e girare per l’ospedale dentro e fuori delle mura quale senso di segregazione sentirsi ristretto nel reparto per tre settimane!).

I primi accertamenti procedono bene, compresa la cardioversione fino alla prima coronografia dalla quale risultavano le arterie pressoché otturate per cui la soluzione era un intervento operatorio al Gemelli oppure un’altra coronografia con un aiuto meccanico di sostegno al cuore e optai senza neanche pensarci un secondo per la coronografia. Però, nel frattempo, successe di tutto che rallentò la procedura per la seconda e decisiva coronografia: da due giornate di dolori con un calcolo renale (si dice che i dolori della colica renale siano peggiori di quelli del parto) che per fortuna se ne andò da solo passiamo a vari problemi urologici fino a che finalmente arriviamo alla seconda coronografia. Tanti dettagli al fine di sottolineare le difficoltà che un reparto di eccellenza come quello di cardiologia può incontrare nella presa in carico di un paziente complesso, senza poter avvalere di contestuale consulenza urologica perché non più presente in questo nosocomio.

Due ore di sala operatoria con un’equipe medica e anche infermieristica numerosa e di ottimo livello professionale svolti in anestesia locale e con due accessi nelle arterie femorali portano finalmente all’introduzione di due stent, la terza arteria risultava impraticabile e inizia così alla preparazione verso la dimissione che dopo pochi giorni si realizza…e uscimmo a rivedere le stelle.

Conoscendomi, nessuno penserà che abbia trascorso tre settimane in ozio…a parte le nottate passate a vedere un po' di serie di Netflix sull’IPad… tanto chi riusciva a dormire tra lamenti e campanelli!... di giorno mantenevo collegamenti con ordini, sindacati, parlamentari…sino a partecipare anche ad una video conferenza! Per fortuna, anzi, che sono rimasto operativo nonostante tutto perché certe volte, ed è il mio caso, il lavoro risulta terapeutico…

In conclusione, se oltre alle classifiche AGENAS ci fosse una guida Michelin dei reparti ospedalieri, nel dare cinque stelle a quello del Grassi per l’alta professionalità e umanità dei medici, degli infermieri e degli operatori, vi consiglio soprattutto di fare una coronografia se l’ottimo primario già ve l’aveva raccomandata, e fatela subito senza ritardarla come ho fatto io…per non avere poi tre settimane di degenza da raccontare.

Saverio Proia



24 novembre 2023
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