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Due anni di Covid

di Dario Laquintana

13 SET - Gentile Direttore,
un recente articolo (1) pubblicato su BMC Medical Research Methodology ha dato una forma e descritto, con la forza dei numeri, quello che tutti sentivamo, sapevamo, ma di cui non avevamo una chiara dimensione. I risultati preliminari di uno studio, condotto su 550 dipendenti di diversi profili di un ospedale universitario milanese, hanno descritto gli effetti sulla salute mentale dei professionisti a seguito dell’emergenza covid.
 
Il 10 per cento del totale hanno dichiarato di assumere e aver assunto ansiolitici, antidepressivi, sedativi e sonniferi e hanno spiegato di aver iniziato a farlo dopo marzo del 2020 per combattere gli effetti dello stress. Tutti noi ricordiamo la paura nell’affrontare per primi nel mondo occidentale una malattia che nessuno conosceva, contro la quale non c’era (e non c’è ancora) una terapia e senza, almeno nella fase iniziale, mezzi di protezione.
 
La paura principale era di portare il virus a casa. Il 70% circa ha dovuto cambiare le proprie abitudini. Ma non è bastato. Del campione analizzato preliminarmente dallo studio 60 operatori si sono ammalati di Covid, 90 sono stati in quarantena, 75 hanno avuto un familiare contagiato, 18 un familiare ricoverato e 10 un membro della propria famiglia deceduto.
 
La paura del contagio ha colpito anche chi ci stava intorno, familiari, parenti, conoscenti, vicini.
Il 20% del campione si è sentito discriminato, i figli non hanno più potuto giocare con altri bambini, molti non hanno più visto parenti o amici. Avevamo il bonus baby sitter ma era difficile trovare una baby sitter (o un idraulico…) che venisse a casa da noi.
Il tutto in una condizione in cui i turni straordinari erano la normalità, i riposi una chimera, le ferie un sogno impossibile.
Mentre tutti si consumavano nello smart working noi ci scioglievamo nelle tute e dietro le visiere.
 
Qual è l’esito sulla salute mentale? Il 12% presentavano alla valutazione psicologica sintomi di depressione, il 7% di dissociazione. Il disagio psicologico è più diffuso tra donne, infermieri, lavoratori giovani o maggiormente e più a lungo impegnati nei reparti Covid.
Infine 68 tra medici e infermieri hanno detto di aver pensato spesso di cambiare lavoro, altri 37 (7%) hanno valutato molto seriamente questa possibilità.
Gli autori dichiarano che i lavoratori «hanno vissuto esperienze che sono paragonabili a una guerra in termini di impatto psicologico», sviluppando in alcuni casi «disordine da stress post traumatico».
 
È stato un periodo terribile, un tempo rubato che nessuno potrà mai restituirci e che non è ancora finito, perché dopo l’emergenza pandemica è iniziata la campagna vaccinale ed ora siamo impegnati nel recuperare delle prestazioni non erogate nel periodo pandemico.
Il riconoscimento sociale c’è stato ed è stato importante nella prima fase della pandemia. Ora si è trasformato in un “fastidio”, quando non in odio strisciante, con l’accusa di aver istituito una dittatura sanitaria. Siamo passati dalla candidatura (2) al Nobel per la pace al rogo dei fantocci nelle feste di paese (3).
 
Chi si aspettava un riconoscimento economico per quello che le professioni sanitarie hanno dato è rimasto deluso. Nessuno, a parte i dirigenti sanitari che sono stati beneficiari di un aumento dell’indennità di esclusività direttamente in finanziaria (non percepita solo dai dirigenti delle professioni sanitarie), ha visto stanziare somme significative nella legge di bilancio o nei fondi contrattuali.
Del resto non c’è moneta che possa pagare i due anni di vita dedicati alla lotta al Covid.
Due anni in cui abbiamo lavorato il doppio, due anni che ne valgono quattro.
Ci sarebbe un solo modo per riconoscere un equo indennizzo ai lavoratori della sanità.
 
La legge già riconosce, ai lavoratori che abbiano svolto determinate attività usuranti, la possibilità di accedere prima alla pensione e/o di incrementare il trattamento di quiescenza per compensare il maggior dispendio di energia fisica e psichica necessaria per l’effettuazione dell’attività.
Sono le stesse norme che riconoscono maggiorazioni previdenziali al personale militare o dello stato che ha svolto periodi di lavoro in sedi o condizioni disagiate o che sia stato esposto a particolari rischi.
Sono le stesse norme che riconoscono il diritto alla pensione agevolata agli ex combattenti.
 
Quella contro il Covid è stata ed è una guerra (per la legge siamo ancora in stato di emergenza) e noi ne siamo i primi combattenti.
È giusto riconoscere a chi ha combattuto e combatte ancora, per tutto il periodo di emergenza il doppio del periodo figurativo e contributivo ai fini pensionistici.
E’ giusto consentire, a chi lo chiede, di accedere alla pensione anticipata per un periodo pari al tempo in cui è durata l’emergenza.
 
È l’unico modo per ridarci, un giorno, il tempo che ci è stato rubato.
Ne abbiamo diritto.
 
Dario Laquintana
Dirigente Professioni Sanitarie
 

Note:
1 - Fattori, A., Cantù, F., Comotti, A. et al. Hospital workers mental health during the COVID-19 pandemic: methods of data collection and characteristics of study sample in a university hospital in Milan (Italy). BMC Med Res Methodol 21, 163 (2021). https://doi.org/10.1186/s12874-021-01355-1
2 - http://www.quotidianosanita.it/cronache/articolo.php?articolo_id=93637
3 - http://www.quotidianosanita.it/toscana/articolo.php?articolo_id=98049

 

13 settembre 2021
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