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Ricordo di Eva Buiatti, a dieci anni dalla sua morte

di Fabrizio Bianchi e Roberto Romizi

10 LUG - Gentile Direttore,
è stato per noi un grande privilegio aver collaborato con Eva, che abbiamo conosciuto alla fine anni ’70 e che ha ispirato gran parte dei concetti che vi esporremo. Pensiamo che questo sia il modo migliore per ricordarla: tornare su concetti e ragionamenti che sono oggi come allora di un’attualità sbalorditiva e incoraggiante.
 
Francesco Cipriani, in un’intervista, diceva che “Eva si è occupata degli indicatori epidemiologi che definiscono lo stato di salute della popolazione... Si è occupata di sviluppare i metodi e gli strumenti per capire quali sono gli interventi efficaci per migliorare la salute della popolazione. Ha introdotto l'approccio dell'evidence based prevention, che aiuta anche i politici a scegliere, secondo principi razionali di efficacia e di efficienza rapportata alle risorse”.
 
Non identificheremmo però la Sanità Pubblica solo con le attività delle ASL, dei Dipartimenti di Prevenzione, delle Agenzie Regionali di Sanità e dell’Istituto Superiore di Sanità.  Importanti risultati nella prevenzione primaria (e non solo) sono stati, infatti, ottenuti grazie all'interazione con organismi governativi non sanitari e con organismi non governativi purché abbiano per obiettivo la salute globale e non le finalità di lucro.
Gli esempi sul ruolo di questi soggetti diffusi sono moltissimi, a cominciare dalla lotta all'asbesto.
Il caso storico dell’amianto è paradigmatico, costituisce un esempio negativo, da cui occorre imparare: nel 1898 fu prodotta la prima documentazione sugli effetti negativi dell’amianto (ispettore medico di una fabbrica in Gran Bretagna). Sono passati 100 anni prima che l’Inghilterra mettesse al bando l’amianto.
 
Ci dice Benedetto Terracini nel 1999: “E’ bene prendere coscienza che nonostante le stime - ormai prodotte con discreta precisione da anni - della misura della catastrofe da amianto, la sola disponibilità dei dati epidemiologici non sarebbe stata sufficiente per arrivare al bando. Ciò che questa esperienza ha dimostrato è la capacità delle ONG di coinvolgere l’opinione pubblica. Non è emersa invece una grande abilità da parte degli operatori di condividere i loro dati con l’autorità politica e l’opinione pubblica”.
 
E ancora Fabrizio Bianchi ed Emiliano Fittipaldi in una pubblicazione ribadiscono: “In assenza di assunzioni forti e rigorose di pianificazione dell’indagine è difficile che l’epidemiologia possa produrre conoscenze per la Sanità Pubblica” e ancora “Non esiste uno studio interruttore in grado di fornire un sì o un no conclusivo ma si configura piuttosto come un processo continuo… avendo a che fare con relazioni complesse quali sono quelle, multi causali tra fattori ambientali ed effetti sulla salute”.
 
Emerge la consapevolezza intelligente di chi sa di non sapere.
Anche questa onestà intellettuale caratterizzava Eva.
Proprio a partire dalla consapevolezza dei limiti, dell’importanza dell’incertezza, della partecipazione e delle enormi potenzialità di nuovi metodi e approcci ci viene da pensare che forse l’epoca attuale dell’epidemiologia si stia per chiudere e che stia emergendo l’esigenza di una nuova epidemiologia.
 
Tornando al concetto di Sanità Pubblica, che abbiamo condiviso con Eva, in una visione integrata di soggetti diversi e attivi per la difesa e la promozione della salute, richiamiamo le iniziative portate avanti come Città Sane, come i Piani Integrati di Salute, e le attività di ISDE Italia, che hanno condiviso le parole-chiave di integrazione, ambiente e salute, prevenzione primaria, promozione della salute.
La Sanità Pubblica ottiene importanti risultati quando lavora in modo integrato.
 
Eva ha avuto un ruolo centrale nel promuovere e sostenere percorsi che, nati dapprima fuori dalle istituzioni, poi sono stati riconosciuti essenziali per il progresso della sanità pubblica-ambiente e della ricerca.

Eva è stata capace di far colloquiare queste diverse realtà avendo la convinzione e la tenacia di accompagnarle insieme.
Un esempio di alto livello è stato appunto quello della Scuola Internazionale Ambiente Salute e Sviluppo Sostenibile.

Eva aveva ben presente il concetto e la strategia di "Salute in tutte le politiche", cioè l'importanza di tenere in considerazione l'impatto che ogni nostra azione può avere sulla salute, dalla pianificazione di grandi opere, ai piani regolatori delle città, alle scelte in materia di energia e alle produzioni agricole. 

La Sanità Pubblica deve tener conto dei diversi determinanti di salute e in particolare della priorità dei fattori ambientali, senza però dimenticare l'emergenza sociale.
I determinanti di salute dipendono solo per il 10% dai servizi sanitari, mentre per il 90% dipendono dai fattori genetici, comportamentali, socio economici e ambientali.

Ma quanto incide l’impatto dell’ambiente sulla salute? L’OMS stima che un quarto delle malattie e delle morti possa essere attribuito ai fattori ambientali modificabili.
L’ambiente è quindi centrale nelle strategie di promozione della salute.

I nuovi scenari globali determinano l’emergenza ambientale, l’emergenza socio-culturale e l’emergenza economico-finanziaria, che sono inscindibili.
In un rapporto sulla salute globale, l’OMS valuta criticamente le scelte organizzative, finanziarie e assistenziali dei Paesi ricchi e poveri di tutto il mondo. Il documento riporta una serie di carenze e lacune che hanno determinato una situazione di profondo squilibrio per ciò che riguarda lo stato di salute di numerose popolazioni, nei Paesi e tra i Paesi.

A tutti noi è però evidente l’emergenza sociale con un aumento della povertà anche alle nostre latitudini.
L’emergenza ambientale è determinata dalle conseguenze dovute ai cambiamenti climatici, dalla perdita della biodiversità e dall’aumento di sostanze chimiche pericolose e dal correlato inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo.
 
La Sanità Pubblica sempre più dovrà tenere conto dei nuovi fattori di rischio, della transizione epidemiologica nella quale le malattie cronico-degenerative diventano sempre più prevalenti.

Così l'organizzazione sanitaria, oltre alle dichiarazioni di principio, dovrà cercare di non essere più ospedale-centrica, ma dovrà individuare nella Medicina Generale un punto di riferimento centrale per la gestione della cronicità nel territorio.

Impatto della Sanità Pubblica sulle scelte politiche ma anche impatto delle scelte politiche sulla Sanità Pubblica.
 
E qui si potrebbe dire qualcosa sull'attuale momento di criticità in coerenza con il ruolo politico e l’impegno civile di Eva.
 
A) La prima linea di difesa contro le patologie cronico-degenerative, e segnatamente oncologiche, è o dovrebbe essere la prevenzione primaria: la riduzione, cioè, dell’esposizione collettiva ai sempre più ubiquitari cancerogeni ambientali.
La prevenzione primaria si è spesso incagliata su un percorso pieno di ostacoli.
A differenza di quanto è accaduto per l’identificazione degli agenti causali delle malattie contagiose, salutata sempre con entusiasmo, l’identificazione di un composto chimico o di un agente fisico come cancerogeno ha spesso dovuto farsi strada fra scetticismi o aperte ostilità sollevate soprattutto da chi sentiva profitti e interessi finanziari minacciati da una tale identificazione.

B) Il principio di precauzione è costantemente disatteso.
Il principio di precauzione è un approccio alla gestione dei rischi che si esercita in una situazione d'incertezza scientifica, che reclama un'esigenza d'intervento di fronte ad un rischio potenzialmente grave, senza attendere i risultati della ricerca scientifica.
Anche la Valutazione di Impatto sulla Salute, cioè la valutazione degli effetti di una particolare azione sulla salute di una popolazione specifica, non è ancora normata, anzi si va sempre più verso una deregolamentazione.
 
C) Altra fondamentale criticità è quella di porre al centro delle politiche di sanità Pubblica i fattori di rischio individuali in alternativa a quelli collettivi. Poiché, infatti, un vero intervento di prevenzione primaria, basato sulla riduzione/eliminazione dei fattori di rischio ambientali, risulta difficile e complesso si preferisce rivolgersi a favore di scelte relativamente più semplici, meno impegnative, indolori, come le campagne educative. L’ideologia sanitaria attuale è sempre più condizionata dagli interessi economici e da una prassi medica sempre più commerciale e ipertecnologica ed è sempre più incentrata su diagnosi, terapia e prevenzione secondaria e sempre meno interessata agli aspetti partecipativi della tutela della salute e agli aspetti di prevenzione primaria. L’unica prevenzione primaria che viene tuttora indicata come valida è quella che concerne le scelte individuali, per esempio l’alimentazione e l’esercizio fisico.
Tutte importanti ma ai cittadini si attribuisce la responsabilità della propria salute, attenuando quella politico-istituzionale che mostra le carenze in materia di prevenzione primaria.

D) Infine la Sanità è vista solo come principale voce di spesa nei bilanci e non come ambito strategico per lo sviluppo del territorio.
E’ necessario contrastare questa cultura economicistica.
E’ necessario contrastare la logica della privatizzazione che rischia di portare all’affermazione della cultura del libero mercato e a garantire solo un nucleo ridotto di servizi gratuiti non garantendo più l’intero percorso di diagnosi e cura e tanto meno la ricerca e la prevenzione primaria.


La Sanità dovrà comunque, per continuare ad esistere, ridurre gli sprechi.

Le statistiche dimostrano che dove c’è un SSN pubblico, la salute è maggiore.

La solidarietà non può, però, comprendere tutto: il necessario e il superfluo.

Si tratta di avere un sistema che individui quali sono le prestazioni efficaci e appropriate e le priorità che indirizzino le allocazioni delle risorse.
Al di fuori di questi criteri, l’uso eccessivo delle prestazioni non solo fa spendere, ma spesso non serve, e talvolta può essere dannoso per la salute stessa del cittadino.

La moderna medicina spreca immense risorse per esami inutili e terapie inappropriate: questa è la ragione vera per la quale la sanità costa sempre di più e diventa insostenibile e non etica.

E’ questo il consumismo sanitario che può essere definito come l’uso di prestazioni sanitarie anche quando non c’è n’è bisogno e che va a impattare le categorie più fragili economicamente, ma anche culturalmente.
Cause del consumismo sanitario sono i bisogni indotti dal mercato, la disinformazione e la spinta liberista.
 
Tutto questo e molto altro sono stati per Eva fonte d’impegno quotidiano sempre affrontato con grande lungimiranza e apertura, da medico, ricercatrice e donna eticamente e politicamente impegnata e scientificamente rigorosa.
 
Fabrizio Bianchi
Epidemiologo, Dirigente di Ricerca dell’Istituto Fisiologia Clinica del CNR di Pisa
 
Roberto Romizi
Medico, Presidente di ISDE Italia 

10 luglio 2019
© Riproduzione riservata

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