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Autorità femminile ed elezioni ordinistiche

di Sandra Morano

19 GEN - Gentile direttore,
un giusto disappunto si materializza tra le donne medico all’indomani della pubblicazione della lista a forte prevalenza maschile per le elezioni del Comitato Centrale della FNOMCeO. Le donne sono, e non da oggi, in maggioranza dovunque, dalle aule alle corsie degli ospedali. Dovunque, ma praticamente ignorate nel Comitato Centrale della FNOMCeO. Dove non sono stati fatti passi avanti, nella rappresentanza femminile, in termini numerici e percentuali, dalle ultime votazioni, quando fu addirittura eletta per la prima volta in assoluto una donna come Presidente.
 
Probabilmente ci si aspettava di registrare questa insolita scelta come un segno dei tempi, un adeguamento alla realtà, e che, infine, indipendentemente dai criteri di scelta, questo triennio, che pure ha segnato punti in termini di attenzione al ruolo delle donne curanti ed alla salute delle donne, potesse sancire una svolta in una organizzazione tanto antiquata da meritare finalmente una revisione legislativa. Ma c’è da chiedersi anche perché, a dispetto dei numeri, ancora molto poche siano in percentuale le donne elette a monte, alla Presidenza e più giù nei Consigli degli Ordini, in altri termini perché non siano votate, ed in particolare dalle donne.
 
È vero che le regole di ingaggio (ben conosciute da chi si candida o accetta la candidatura in una lista) in linea di principio non ammettono grandi innovazioni: come nelle elezioni politiche le liste sono di solito già concordate, e i meccanismi, complessi, prevedono la disponibilità di adeguati “pacchetti” di adesioni. Per cui diciamo che le candidature – o le cooptazioni – delle poche donne avvengono col contagocce, sia quando servono a contrastarne altre più pericolose o indesiderate, o più raramente quando sono esse stesse portatrici di consensi alla lista: nulla di veramente nuovo, si dirà.
 
“Le donne hanno perso”, titolavano le giornaliste dell’Espresso quando Hillary fu sconfitta dal Donald nazionale. Lo ricordava la filosofa Anna Rosa Buttarelli qualche settimana dopo, interrogandosi sulle sorti del femminismo non solo italiano, e sul fallimento delle candidature femminili: ”..io credo che per sostenere una donna nella sua impresa sociale, politica e elettorale, per sostenere una simile in imprese molto grandi, le donne ne vogliono vedere la radicalità, vogliono che sia visibile la radicalità di questa impresa, altrimenti scatta la svalutazione e la diffidenza…un segno di questo mancato sostegno, a mio giudizio, sta nel fatto che molte di quelle che si propongono per essere sostenute nella loro impresa, sebbene abbiano relazioni, sebbene possano vantare di essere accompagnate dalle cosiddette relazioni politiche, in realtà non presentano nelle loro pratiche, nel loro comportamento e nemmeno nel loro modo di presentarsi alle loro simili, la radicalità necessaria che convincerebbe le altre donne a sostenere qualche cosa che è sempre ed ancora imprevisto nel mondo contemporaneo: il fatto che ci siano imprese di donne che sovvertono le indicazioni e i paradigmi che stringono i tempi in una codificazione che riguarda ancora la presenza del segno patriarcale.

Questo fenomeno, la norma nelle elezioni politiche, può essere applicabile anche alle elezioni nel mondo medico?

Qui se il voto delle donne manca (forse) alle donne, anche se i medici in generale partecipano comunque poco alle elezioni, lascia qua e là delusioni sia nelle (esclusioni dalle) candidature che nella composizione del Comitato Centrale, che, pur rinnovato, non lo è stato con criteri sessuati. Non so d’altronde se il mondo professionale medico poteva far sperare in una quotazione di genere che rispecchiasse la oramai ineludibile presenza femminile. Su quali basi, con gli attuali criteri, potevamo noi donne presumerlo?
 
“Niente vi hanno promesso, niente vi hanno dato” è la frase che, nel film Suffragette, dice un poliziotto mentre accompagna in prigione dopo la rivolta conclusa nel sangue, le manifestanti, pur in precedenza accolte (ed illuse) in audizione alla camera dei Lords. Da quel tempo molto è cambiato nelle vite delle donne, grazie soprattutto alle loro lotte. Da allora ad oggi le prime ondate del femminismo ci hanno dato la maggior parte delle conquiste per cui collettivamente loro hanno lottato.
 
Se attualmente il contributo delle donne nelle istituzioni professionali mediche (ma anche in politica, nell’università, in tutti i posti apicali) non viene degnamente rappresentato è dovuto da una parte ad un sistema che ancora permette che le donne possano essere impunemente ignorate, e in parte al fatto che probabilmente questo sistema di rappresentanza non è tale da meritare un loro impegno così specifico e così assoluto.
 
In altri termini le donne hanno forse avuto cose più importanti da fare. Il che in parte è terribilmente e concretamente vero. In ogni caso nella professione medica la vera partita che le donne possono ancora giocare, e rivendicare con dignità fin da ora, sarà nella prossima discussione sulla riforma degli Ordini. Oltre gli enunciati della recente mozione, oltre l’indignazione, finalmente una occasione per fare quello che dicono, cioè dimostrare l’autorità femminile.
 
Sandra Morano
Ginecologa Università di Genova

19 gennaio 2018
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