Ipasvi Pescara. Ma come mai non se ne discute?
di Piero Caramello
03 MAR -
Gentile direttore,
ho atteso invano l’aprirsi di un dibattito attorno alla forte e coraggiosa
denuncia del collega Del Poeta, il quale attraverso una lettera a lei diretta, ha descritto una situazione piuttosto allarmante, che se non fosse tragica sarebbe comica, come nelle migliori tradizioni italiane. Ammetto un certo imbarazzo nel cercare di fare da apripista su un argomento spinoso che coinvolge non il Collegio di Pescara in quanto tale ma l’Istituzione IPASVI nel suo insieme, mettendo a nudo contraddizioni che sono ormai patrimonio di tutti ma che tutti neghiamo, in sorta di tacito assenso nella convinzione “che tanto non cambierà nulla”.
In questi giorni, nel rumore di fondo delle violenze nelle strutture residenziali, che dovrebbero anche loro far drizzare le orecchie alle nostre Istituzioni senza limitarsi ad una vacua denuncia sulla confusione che i giornalisti fanno sistematicamente, salvo dimenticare di chiedersi perché questo avvenga, come peraltro ricordato dalla collega Marcella Gostinelli, è oggettiva l’assenza di confronto.
Intervenire in merito alle vicende del Collegio di Pescara all’indomani della lettera del suo Presidente Del Poeta ha un valore non nel merito delle questioni ma dell’analisi, seppur superficiale, della cosiddetta “partecipazione democratica”.
Premetto che occorrerebbe chiarire una volta per tutte il significato di “partecipazione”, della quale tutti parlano salvo poi smentirsi nei fatti. Partecipare ha una doppia valenza, sia nel significato politico che in quello comune. Politicamente e socialmente “partecipare” non significa solo “prendere parte, nel nostro caso “eleggere dei rappresentanti” ma anche “essere parte” ovvero far sì che quel mio voto porti con sé un valore. Inutile ricordare che “la partecipazione democratica” non è un modello che si è sviluppato durante il secolo breve, ma affonda le sue radici ben più in profondità nella storia, laddove si elaborò la teoria per cui la libertà e la critica allo Stato Assoluto sono diritti naturali dell’uomo. È lampante che a Pescara non si è verificato un scontro ideologico tra la concezione liberal proletaria di John Locke e la concezione liberal egualitaria di Jean Jacque Rousseau, ma la sensazione è che una forma di “assolutismo” abbia in qualche modo fatto breccia e si sia insediata, come un virus, all’interno dell’organo di rappresentanza.
Uno dei crucci di ogni Presidente all’avvicinarsi delle elezioni per il rinnovo delle cariche collegiali è la scarsa mobilitazione che gli Infermieri dimostrano nei confronti di questo evento. Non è raro leggere nei comunicati post elettorali commenti di soddisfazione per aver raggiunto percentuali di affluenza variabili tra il10/15%. Pescara, non me ne vogliano altri collegi che possono aver fatto meglio, in questo senso ha rappresentato una piccola anomalia con il 30% di partecipazione al voto. Una partecipazione considerevole che investiva il neo eletto Consiglio Direttivo di una forte responsabilità, legata anche al fatto che esso risultava composto da Consiglieri eletti in due diverse liste, al punto da verificarsi una teorica “maggioranza” ed un’altrettanta teorica “opposizione”.
Quanto avveniva elettoralmente dimostrava come la “partecipazione” era in grado di dare corpo ad un Consiglio nel quale la vivacità del dibattito per la diversa impostazione politica sarebbe dovuto diventare pungolo per un eccellente lavoro di rappresentanza delle istanze professionali provenienti dalla categoria.
Spiace constatare che Del Poeta denunci invece qualcosa di particolarmente sgradevole agli occhi di chi scrive, un messaggio di totale disprezzo non solo per la carica ricoperta ma soprattutto per il valore etico e morale che essa rappresenta perché figlia di un consenso “popolare”. Il Presidente ci mette a conoscenza che all’interno del Consiglio non si è sviluppato alcun dibattito, ma che esso è stato mortificato dall’atteggiamento non ostruzionistico ma deliberatamente paralizzante l’attività con assenze che non possono essere giustificabili.
Mi spiace leggere che la risposta alle accuse, da parte della Dr.sa Rosini, siano state vacue nell’argomentazioni e corroborate dalla “minaccia documentale” che è diventata una moda in questo Paese quando si vuole evitare il confronto: vorrei ricordare alla collega che avendo rappresentato una carica pubblica dovrebbe senza indugi dimostrare, appunto pubblicamente, quanto asserisce per sgombrare il campo dagli equivoci: in soldoni, non tocca a noi chiedere e lei che ha l’obbligo di esprimersi! Un dovere verso l’Istituzione che sostiene di aver rappresentato degnamente e verso coloro che hanno eletto lei e tutto il Consiglio Direttivo.
Colpisce, nella descrizione degli eventi, l’assenteismo della FNC nonostante i ripetuti richiami da parte di Del Poeta, stupisce ancor di più la sanzione amministrativa a lui comminata solo perché ha “osato” utilizzare i poteri di cui era investito per mettere a conoscenza dell’opinione pubblica, e ribadisco degli elettori, la situazione di stallo in cui il Collegio versava da alcuni mesi. Una solerzia che qualche sospetto lo provoca. De Gasperi sosteneva che “verità e giustizia non possono cadere in contraddizione”, quanto accaduto a Pescara dimostra come questo insegnamento ancora non ci è chiaro, o forse non è mai stato acquisito.
Curioso come da parte sua la Dirigenza Infermieristica entusiasticamente ci comunica di aver redatto un “codice deontologico”, mi chiedo quanta deontologia ci sia stata nel reiterato comportamento di chi ha scientemente deciso di impedire a quel Direttivo di funzionare. Sarebbe opportuno, prima di lanciarsi in campagne di sensibilizzazione per le “precarie” condizioni contrattuali, che la Dirigenza facesse attenzione anche agli eletti nei Consigli Provinciali IPASVI, perché li si annida la “vera” Classe Dirigente della professione essendo essa il frutto di un processo democratico.
Quanto raccontato, con le dovute differenze di impatto mediatico e politico, mi ha ricordato la vicenda Marino, sindaco di fatto dimissionato dal notaio, una delle pagine più buie della nostra storia repubblicana. Ma quanta differenza esiste davvero tra il recarsi da un notaio per “dimettere” un Sindaco e il comportamento assenteista per far commissariare un Presidente? Da un punto di vista etico, io, queste differenze non le vedo, anzi, mi viene in mente una frase di Norberto Bobbio “La partecipazione democratica dovrebbe essere efficace, diretta e libera: la partecipazione popolare nelle democrazie anche più progredite non è né efficace né diretta né libera", il caso di Pescara è tutto lì, un avvilimento della partecipazione della mia classe professionale nel suo esercizio democratico.
Cavicchi nel suo articolo, magistralmente intitolato alla
“fattoria degli animali” di Orwell, fotografa non solo il momento particolarmente delicato per la professione ma mi suggerisce che nella nostra fattoria “gli animali sono tutti uguali, ma taluni sono più uguali degli altri”.
Il nostro “antieroe” di Pescara è solo l’ultimo di una serie ormai troppo lunga del Paese, un ruolo che viene sistematicamente recitato di fronte a quella che io chiamo “arroganza del potere”, nel silenzio a volte complice. Per quanto possa apparire secondario il discorso, vorrei far notare che l’esercizio della democrazia si attua in tutte le sue forme. Atteggiamenti che impediscono il regolare svolgimento di un organo eletto non sono solo discutibili o censurabili ma sono la negazione del proprio mandato e della democrazia tutta.
Forse anche questo piccolo episodio è sintomatico di un periodo storico post-ideologico dove non esistono valori saldi che permettano il confronto, anche aspro, tra le idee? Possiamo ricondurre tutto ad un semplice discorso di trasformazione della società e dei suoi valori dominanti? Non dovremmo perché sarebbe un alibi perfetto per chi teorizza la contrazione delle libertà democratiche, laddove esse si esprimono prima con il voto e dopo con la discussione ed il confronto tra gli eletti e tra gli eletti ed i loro elettori.
Sostengo da tempo la necessità di una riforma della Professione, perché è tempo di chiudere la pagina delle autoreferenzialità ed aprire finalmente quella della evoluzione intellettuale, ma di fronte alla risposta della Ex Presidente di Pescare mi viene da pensare che per la tanto sospirata evoluzione dovremmo ancora aspettare.
Non mi dilungherò troppo sulla delusione che si prova ad essere Infermieri oggi con questa Classe Dirigente che potrei definire “imbarazzante” se questo non avesse un valore generalista e non amo generalizzare. Mentre 380mila infermieri guardano al 2016 nella speranza di vedere concretizzati pochi ma importanti accordi come il rinnovo contrattuale e lo sblocco del turnover che favorirebbe l’uscita di chi ha dato tutto e l’ingresso di chi vorrebbe dare ma non può, si assiste alla corsa alla rivendicazione per le posizioni dirigenti nelle aziende come primo obiettivo di politica professionale. Invece di lavorare ad un concetto non nuovo ma indubbiamente interessante come l’appropriatezza organizzativa dando il proprio contributo ad un evoluzione del “sistema salute” si preferisce interrogare il governo sulle vicende di Bologna (vicende nemmeno infermieristiche), mentre ci sarebbe bisogno di mettersi ad un tavolo è discutere di evoluzione partendo da concetti di “autonomia” rispetto alla specificità della Scienza Infermieristica si tende contrariamente a lavorare al comma 566 che ridurranno quegli spazi perché privi dell’intellettualità necessaria.
Ha ragione nuovamente Gostinelli: la pretesa del riconoscimento sociale è solo un’arma di distrazione di massa, usata per non discutere nel merito delle questioni professionali ma buttata nella mischia perché ci si azzanni mentre nel frattempo tutto cambia per non cambiare nulla.
Lo svilimento è così forte che continuare a credere che avremo la possibilità di cambiare le cose sta diventando un esercizio masochistico, siamo come piccioni sul davanzale in attesa delle briciole, perché in fondo “tutti gli animali sono uguali, ma taluni sono più uguali degli altri”.
Piero Caramello
Infermiere
03 marzo 2016
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