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Sospensione medici Bologna. Aaroi: “Attenti alle foglie di fico di chi parla in nome del principio di 'collaborazione' con gli infermieri”

di Alessandro Vergallo (Presidente Aaroi-Emac)

02 MAR - Gentile direttore,
la levata di scudi contro i provvedimenti disciplinari adottati dall’Ordine dei Medici di Bologna a causa della vexata quaestio rappresentata dai “protocolli infermieristici” in emergenza-urgenza territoriale, oggi in uso in ordine sparso nell’intero nostro Paese, merita qualche riflessione sulle loro basi, che è difficile sostenere siano meno importanti, anche se vengono artatamente camuffate dalla regia che scrive la sceneggiatura ad alcuni “paladini delle competenze”, attori ben calati nella parte di un teatrino che distorce diverse realtà oggettive.
 
Agli strali contro l’Ordine bolognese lanciati da Società Scientifiche più o meno miste medico-infermieristiche si sono prontamente aggiunti, via via, quelli di rappresentanze altrettanto miste di ruoli politici e di categoria professionale, tutti esitati in tempi record, in questa occasione come non mai, nel coinvolgimento del Ministero della Salute.
 
Il constatare una così corale sensibilità nei confronti di Colleghi colpiti dai provvedimenti ordinistici in questione, indubbiamente eclatanti, è talmente commovente da meritare qualche approfondimento più generale sul variegato sistema 118 esistente oggi in Italia, beninteso senza alcun riferimento al caso specifico di Bologna.
 
In primo luogo, la questione delle “competenze”: “Non conta chi agisce, ma se ha le competenze per agire. Gli infermieri le hanno” si legge in un intervento. “E’ compito dello Stato, in tutte le sue articolazioni, garantire a tutti gli individui l’accesso rapido alle cure, la competenza degli operatori e la validità dei metodi e strumenti di lavoro” avrebbero fatto eco al Ministero della Salute. Orbene, a tal proposito, sempre per quanto riguarda il 118, qualche tempo fa l’AAROI-EMAC aveva indirizzato allo stesso Ministero, diffondendola anche ai media, una richiesta di intervento per correggere l’anomalia costituita dall’esclusione dei Medici con specializzazione in Anestesia e Rianimazione dal sistema 118 laziale, oltre che l’assurdità nazionale delle vigenti tabelle MIUR inerenti le equipollenze dei titoli universitari medico-specialistici, per le quali tale specializzazione è l’unica estromessa dall’emergenza-urgenza. Tale invito, peraltro contrastato nell’ombra delle relazioni tra i poteri scientifici e quelli politici, riceveva per tutta risposta, in sintesi, quanto segue: “L'elencazione riportata nelle suddette tabelle è tassativa, e non è suscettibile di interpretazione estensiva. Né trova applicazione il principio di transitività”, con un desolante rinvio “eventualmente, alle valutazioni tecniche del Consiglio Superiore di Sanità”.
 
Due pesi e due misure, evidentemente. Ma non basta: nelle stanze dello stesso Ministero della Salute si continuano ad ignorare i ripetuti appelli, fatti nelle più diverse occasioni, a riportare nei limiti della dovuta correttezza l’inquadramento normativo in cantiere delle interazioni tra le professioni sanitarie, correggendo l’ormai imperante concetto enunciato da quella “multidisciplinarietà” che di fatto intende protervamente superare quello della “multiprofessionalità”, appiattendo su un unico livello le competenze “disciplinari” (leggasi specialistiche) di professionisti diversi, che in un modo o nell’altro si intende rendere uguali, e non solo nel settore dell’emergenza-urgenza.
 
In secondo luogo, vale la pena affrontare in concreto la questione dei “protocolli infermieristici” nel 118: in Lombardia, per esempio, tali protocolli hanno visto la luce nel 2009 per iniziativa della AREU (Azienda Regionale Emergenza Urgenza). All’epoca, si paventò il rischio di accollo di responsabilità “a distanza” sul medico in Centrale Operativa, rischio poi via via risoltosi senza particolari criticità, anche perché la loro edizione ne delineava sin dal principio l’ambito ai cosiddetti MSI (Mezzi di soccorso Intermedio, con a bordo l’Infermiere senza il Medico). Orbene, alcuni protocolli in uso nella Regione Emilia Romagna, per quanto è dato sapere, differiscono da quelli lombardi in modo significativo, perché sono redatti secondo una matrice di responsabilità unica per tutti i mezzi di soccorso, sia medici che infermieristici, in pratica rischiando di configurare de facto l’equivalenza di questi due distinti profili professionali. Questa equivalenza si allinea esattamente con la sopra richiamata fuorviante “multidisciplinarietà”, da anni protervamente ribadita, si badi bene, in tutti i documenti ministeriali e in tutte le rivendicazioni attinenti alla cosiddetta “implementazione delle competenze infermieristiche” di cui, da ultimo, al famigerato “Comma 566”.
 
In terzo luogo, occorre cautela, nel farsi un’opinione su come sono organizzati i 21 diversi sistemi regionali 118 (e, dove non esiste un’organizzazione regionale, i molto più numerosi sistemi provinciali o addirittura locali) dalle declamazioni di loro richiamo a “linee guida nazionali e internazionali”, che in realtà sono talvolta utilizzate ad uso e consumo locale. In Italia, oltretutto, non esiste alcuna uniformità nemmeno per quanto riguarda l’allocazione dei mezzi medicalizzati e infermierizzati sul territorio, con differenze sostanziali tra sistemi che non uniformano le prerogative mediche a quelle infermieristiche, come quello lombardo, nel quale la disposizione territoriale dei mezzi avviene secondo una logistica interdipendente, ed altri nei quali tale disposizione avviene invece attraverso una progressiva sostituzione dei mezzi medicalizzati con quelli infermierizzati.
 
Inoltre, sempre a tal proposito, non può essere sottaciuta la precisa scelta politica, particolarmente perseguita in alcune Regioni, di lasciare medici regolarmente abilitati all'attività di emergenza-urgenza territoriale in condizioni di precariato perenne, senza alcun investimento nella loro formazione, sopportandoli a malapena nella previsione della loro “scadenza”, come una merce che sarà utile soltanto finché non avranno dato i loro esiti quei progetti (finanziati spesso a livello aziendale attingendo a man bassa a fondi contrattualmente costituiti per i medici) mirati a formare infermieri per l'espletamento di “atti medici delegati” (tale è la definizione degli atti sanitari alla base dei “protocolli” in questione) e a sostituire, economicisticamente, quanti più medici con quanti meno infermieri sia possibile.
 
Ma naturalmente questa prospettiva di “vuoto a perdere” non interessa a taluni Colleghi (intendendosi per tali coloro che appartengono al profilo professionale medico, con buona pace dei non pochi che pur non essendolo, così pure amano autodefinirsi) che dell’integrazione multiprofessionale, pardon… multidisciplinare si fanno portavoce, i quali manifestano in vario modo interesse a ridimensionare, o meglio a rendere quasi “accessorio”, il ruolo del medico, e non solo nel settore dell’emergenza-urgenza, nel quale soltanto – va detto a chiare lettere – effettivamente gli interventi “salva-vita” possono giustificare metodologie organizzative e funzionali inter-professionali più elastiche; si tratta di quei Medici che propugnano il task-shifting anche nelle prestazioni sanitarie che con l’emergenza-urgenza nulla hanno a che fare, contribuendo al progetto di un task-snatching che oggi può essere conveniente abbracciare per fare carriera, oltre che per non essere accusati di interessi corporativi da chi proprio di tali interessi fa la sua bandiera.

Forse, essendo disposti anche solo a prendere in considerazione le riflessioni fin qui esposte in estrema sintesi, sarà più facile vedere sotto una luce meno artificiale le plurime dichiarazioni a senso unico dei vertici infermieristici a tutti i livelli, di talune rappresentanze sindacali di medici “tutelati” da case-madri governate da altre professioni, oltre che di alcune Società Scientifiche miste medico-infermieristiche (alcune delle quali neonate) nell’ambito dell’emergenza-urgenza, laddove tali dichiarazioni vertono sul principio della “collaborazione” dell’infermiere con il medico.
 
In realtà, esse sono foglie di fico che ne coprono altre di ben diverso tenore, nelle quali si afferma che “Oggi i Collegi e l’intera comunità professionale sono impegnati nell’assunzione di un ruolo di piena autonomia e responsabilità non più rimandabile”. Piena autonomia, questo è il reale ed innegabile obiettivo, un peana al quale, secondo la convenienza del momento, viene dato pieno volume oppure, ma solo quando conviene non fare troppo rumore, messa la sordina.
 
 
Alessandro Vergallo
Presidente Aaroi-Emac

02 marzo 2016
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