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Disprassia. Non si può ridurre l’intervento riabilitativo alla sola logopedia

di Claudio Ambrosini

03 MAR - Gentile direttore,
intervengo a proposito del vostro articolo del 1° marzo titolato ‘Difficoltà verbale e motoria: ne sono affetti 6 bambini su 10. Gli esperti: “Logopedia aiuta a ritrovare autonomia”’ notando informazioni fuorvianti in merito al disturbo citato e all’iniziativa dei colleghi logopedisti.
 
Sono Claudio Ambrosini, la mia professione è Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva (TNPEE), nome lungo e complesso, ma così è, professione che svolgo da circa 40 anni, che si rivolge all’infanzia con diverse tipologie di disturbi tra cui le Disprassie e i Disturbi della Coordinazione Motoria.
 
Tali disturbi, che non sono affatto nuovi, la terapia psicomotoria se ne occupa da decenni essendo la disciplina specifica per essi (la Disprassia come disturbo psicomotorio è descritta da J. de Ajuriaguerra come ‘disturbo della realizzazione motoria’ negli anni successivi alla seconda guerra mondiale) e l’aprassia è definita nel 1900 da Liepmann, sono ormai sulla scena in modo massiccio un po’ come accade per i Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA). Leggo che la disprassia provocherebbe “…un ritardo nell'acquisizione delle tappe di sviluppo motorio o del linguaggio.”
 
Tale affermazione è grave poiché non corrisponde al vero: lo sviluppo motorio, meglio neuro-motorio inteso come acquisizione di tappe evolutive della postura, del cammino, della corsa, ecc. procede su binari diversi da quelli dell’organizzazione delle sequenze ordinate di atti per raggiungere un obiettivo, questa è la disprassia, la quale non provoca ritardo del linguaggio. Diverso è affermare che bambini con problemi di linguaggio possano essere anche disprassici.
 
Abbiamo quindi bambini che non hanno alcun ritardo dello sviluppo motorio, ma possono essere disprassici, così come bambini abili nelle prassie, ma con disturbi che si riferiscono alle coordinazioni motorie (ad esempio i bambini definiti goffi, impacciati) ed infine bambini goffi e disprassici che non hanno sviluppato alcun disturbo o ritardo del linguaggio. Infine abbiamo bambini che hanno un disturbo della motricità, una disfunzione minore del movimento, ma nessun problema di apprendimento scolastico.
 
Così come non è possibile stabilire relazioni così nette tra disprassia e gioco: è ovvio che un bambino disprassico si troverà in difficoltà in certi giochi costruttivi (e sottolineo certi, non in tutti, il lego potrebbe essere assolutamente funzionale al bambino disprassico), ma potrebbe essere bravo nello sviluppo dei giochi di finzioni (la realtà di certi bambini disprassici è proprio questa) o in altri giochi, i ‘giochi di società’ che coinvolgono le abilità cognitive che in tali bambini non sono compromesse.
 
Non è possibile, quindi, trattare un argomento così complesso in discussione a livello internazionale, dove si dibatte proprio il rapporto tra Disturbo della Coordinazione Motoria e Disprassia, in modo così superficiale (ricordo inoltre che la Disprassia non è ancora descritta come categoria autonoma nel DSMV (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) a testimonianza di una riflessione ancora in corso; se ne parla come disturbo associato nei Disturbi del Movimento). Non esiste la disprassia, bensì le disprassie come è dichiarato nell’articolo, ma proprio per le differenze che esistono e che possono coinvolgere in modo diverso tutto il corpo, o settori diversi del corpo, non si può ridurre l’intervento riabilitativo alla sola logopedia e stipulare un rapporto di fissità tra disprassia e disturbo del linguaggio. Le colleghe logopediste lavorano, ovviamente, con bambini con problemi di linguaggio e tra loro vi sono anche bambini disprassici che sicuramente traggono vantaggi da un intervento che, date le competenze che possiede, è capace di legare quelle componenti del linguaggio che direttamente possono essere interconnesse con gli atti della disprassia. Non vale però per tutti i bambini e poiché nell’articolo la presidente della FLI fa confluire nelle disprassie problemi assolutamente diversi tra loro dovrebbe anche diversificare le ipotesi sui migliori sistemi di aiuto. Non intendo entrare, però, in questa polemica che sarà materia, mi auguro, di un confronto tra le associazioni nazionali di categoria.
 
Mi preme invece evidenziare un ulteriore aspetto poco chiaro: il riferimento ai ‘neuroni motori’ che non si comprende bene cosa siano. Forse ci si voleva riferire ai ‘neuroni canonici’ dell’area F5 che hanno una precisa funzione nel processo di trasformazione dell’informazione visiva relativa all’oggetto in atto funzionale ed efficace alla sua presa, ma ancora una volta sfugge l’eventuale rapporto con la disprassia. Ho timore che in questo vasto quadro della disprassia si siano inseriti elementi diversi partendo da osservazioni che racchiudendo sintomi molteplici sotto una stessa etichetta non provochino altro che grande confusione. Per aiutare realmente i bambini con difficoltà nell’ambito del movimento si debbono possedere competenze e conoscenze teoriche, metodologiche e tecniche che sappiano discriminare e separare piuttosto che includere, in quanto lo sviluppo psicomotorio del bambino è un divenire dei suoi atti che in modo diversificato interrogano costantemente l’ambiente per avere le informazioni necessarie alla conoscenza.
 
L’osservazione di tali atti, per essere compresi nel loro percorso evolutivo e nel loro eventuale disturbo, necessita quindi di un raffinato sistema e modello motorio di riferimento.
 
 
Claudio Ambrosini
 
TNPEE (Centro RTP – Milano)
Docente a contratto nel Corso di Laurea in Terapia della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva (Università degli Studi di Milano)

03 marzo 2016
© Riproduzione riservata

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