Le grandi conquiste passano attraverso le donne
di Nadia Negri
05 MAR -
Caro Direttore,
è proprio vero che quando credi di avere partorito una buona idea, qualcuno prima di te l’ha già pensata e se pur divulgata è caduta, non è stata considerata e tanto meno applicata. E' la sensazione che ho provato leggendo le idee sulla nuova sanità dell’articolo: questa la sanità che noi giovani vogliamo. Arguta, ad esempio, l’osservazione dei giovani che ritengono la persona anziana, fragile, la quale debba rimanere tra le mura domestiche per essere curato, evitando l’impatto nella struttura pubblica oltretutto molto più dispendiosa. A questo proposito rammento una scambio d’idee a livello epistolare, che ebbi disquisendo con un assiduo opinionista del quale io apprezzo moltissimo gli interventi, rilasciati anche su
Quotidiano Sanità.
Ripropongo il testo delle mie considerazioni, relative al commento divulgato sul blog del professor
I. Cavicchi, dell’argomento sopra citato:
“Buon giorno professore, non posso fare a meno di commentare le Sue,come sempre argute, osservazioni. Nella fattispecie quelle relative all’umanizzazione che si instaurerebbe potendo rimanere nella propria realtà quotidiana quando si è ammalati, specie per i sempre più numerosi anziani e vecchi che la nostra civiltà sfornerà in futuro. Purtroppo, al di la delle giustissime responsabilità da Lei elencate, in campo politico e di conseguenza aziendale, c’è una vera e propria cultura, stile di vita, che non prevede più tra le mura domestiche la malattia e relativo malato. La figura femminile, nell’ambito del focolare domestico, è drasticamente cambiata. Ancora oggi è la donna che determina se i suoceri o i genitori chiuderanno gli occhi nel loro letto, spesso indipendentemente dalla struttura che può mettere o meno a loro disposizione sinergie tecniche per poter affrontare questo stadio della vita, che sfocia inevitabilmente nella morte. Naturalmente non butto alle ortiche le giuste conquiste femminili, ma sono fermamente convinta che la donna dovrebbe riappropriarsi del suo importante primario ruolo, anche perché spesso si scoprono sempre più frustrate, divorziate, depresse, alcolizzate, terribilmente sole in cerca di una vera identità.
A Bologna c’è un detto che recita così: cla fa o cla csfà na cà le la dona (che fa o che disfa una casa è la donna), attribuendone il grande dono d’essere una creatura con intrinseche capacità fisiche ed intellettuali elevate. Forse coloro ai quali lei si rivolge per un cambiamento, a livello assistenziale , sono disposti a valutarne i vantaggi ed a convenirne modificando la rotta, aiutando sempre più con mezzi e risorse adeguate la famiglia coinvolta, ma questo risulterà fattibile solo se la “casa” alla quale Lei si riferisce è evoluta e consapevole che quello che gli si prospetta è un immenso valore umano che fa crescere e maturare se stessi e i figli. Che ne dice di un Suo intervento sul Blog rivolto alle donne che potrebbero determinare la differenza, la storia ci insegna che le grandi conquiste, passate ai posteri con la firma maschile, erano affrancate da una preponderante presenza diretta od indiretta di anonime femmine; spesso consolidate tra la routine delle mura domestiche.
Nadia Negri
05 marzo 2013
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