Gentile direttore,
Le dichiarazioni del presidente Anelli sulla presunta disponibilità oraria dei Medici di famiglia a lavorare nelle Case di comunità stanno creando un certo disorientamento .
Sappiamo dai giornali che entro giugno è prevista l’apertura di circa 1400 Case di Comunità sparse per l’Italia con i finanziamenti del PNRR , ma che al di là dei muri rimangono ancora molte incertezze sui servizi che potranno offrire , principalmente per effetto della carenza di personale medico.
Scrive il Sole 24 ore che delle attuali 413 Case di Comunità attualmente attive in ben 120 non vi è la presenza neanche di un medico. Eppure nell’idea del legislatore queste strutture dovrebbero essere aperte almeno 12 ore al giorno , sette giorni su sette e qui il cittadino dovrebbe trovarci una risposta pronta a i suoi bisogni di salute evitando di intasare i Pronto soccorso. Ma come può avverarsi questo senza medici?
Il ministro della salute Schillaci punta a farci lavorare i medici di famiglia più giovani da assumere come dipendenti e ci sarebbe in questo momento in fase di studio una riforma che ha come obiettivo l’assunzione come dipendenti dei giovani medici mentre verrebbe lasciato agli attuali convenzionati la possibilità di scegliere fra le due opzioni e ieri ( Qs 12 gennaio ) il ministro ha dichiarato che sta “lavorando per assicurare una adeguata presenza dei medici di famiglia nelle case di comunità in modo che gli assistiti possano sempre trovarne uno, almeno nelle ore diurne, sette giorni su sette”
E’ probabile che lo spettro della dipendenza abbia spinto il Presidente Anelli ad intervenire affermando che già con la convenzione attuale i circa 40.000 medici di famiglia attualmente operanti sono in grado di fornire “venti milioni di ore all’anno – circa 9-10 la settimana” alle Case di comunità( ieri corrette “a fino a 6 per chi ha 1500 pazienti”): “Ogni medico di medicina generale deve mettere a disposizione della Asl 38 ore settimanali, tra attività oraria e attività a ciclo di scelta, con progressiva riduzione dell’attività oraria rispetto all’aumento degli assistiti, sino al massimale di 1500 pazienti”( Qs 10 gennaio)
Le parole del dott.Anelli fanno pensare che attualmente i medici di famiglia non stiano realmente lavorando un tempo adeguato e che manchino almeno 6- 10 ore settimanali al compimento delle 38 ore stabilite dalla nuova convenzione. Ma è davvero così?
Mancano sempre più mmg e per far fronte a questa carenza molti di noi hanno aumentato il massimale fino a 1800-2000 assistiti , il carico burocratico sta esaurendo le nostre ormai esigue risorse e nessuna riforma sembra in atto per alleggerirlo ( esempio togliere i piani terapeutici, permettere l’auto certificazione di malattia per i primi giorni), non troviamo sostituti per godere di qualche giorno di ferie anzi spesso andiamo al lavoro ammalati , eppure si pensa che siamo in grado di avere 10 ore settimanali da fare in un’altra struttura senza peraltro che ci sia un progetto , un’idea per dare senso a questo ulteriore lavoro. Il dott . Anelli che di professione fa il mmg sa benissimo che non lavoriamo 15 ore la settimana come qualcuno va dicendo e se anche le ore di apertura al pubblico fossero effettivamente 15 ( cosa assai improbabile) rimarrebbero comunque da conteggiare tutte le ore che dedichiamo alle pratiche burocratiche, a rispondere alle richieste telefoniche e via mail dei pazienti ,alle visite domiciliari urgenti e/o programmate e adesso anche alla telemedicina( che si vuole sempre più implementare). Dove lo possiamo trovare un tempo ulteriore da dedicare alle Case di Comunità?
L’impressione è che il tentativo di Anelli sia solo quello di bloccare un eventuale passaggio alla dipendenza mettendo sul piatto la possibilità di attingere ad un numero elevato di ore che i mmg dovrebbero fornire alle case di comunità.
Non sono una fautrice della dipendenza e a mio avviso le case della comunità potrebbero funzionare anche con un rapporto professionale diverso , ma di fondo sembra che interessi poco dare un senso alle Case di Comunità , costruire un progetto che possa cambiare in maniera innovativa la medicina territoriale . Come è pensabile che un nuovo modo di operare possa basarsi su una presenza oraria saltuaria di medici provenienti da realtà diverse ? Le case di comunità devono essere abitate per lo più da professionisti che stabilmente vi lavorano per la maggior parte del loro tempo , che collaborano tra loro, si parlano, costruiscono progetti di salute ,fanno medicina di iniziativa, interloquiscono con il sociale.
In giro per l’Italia ci sono già esempi di Medicine di gruppo integrate efficienti che lavorano in equipe con mmg, personale infermieristico e di segreteria e che spostate in toto nelle Case di comunità finirebbero per riempirle fornendo un servizio adeguato e qualificato. Perché non lavorare perché queste forme vengano implementate e finiscano per lavorare nelle nuove Case della Comunità ? Non si tratta di sguarnire il territorio perché i medici potrebbero mantenere qualche ora ,alcune volte la settimana, in periferia garantendo al cittadino una presenza certa e con più servizi nella sede centrale. Il medico singolo è orami una figura che difficilmente potrà continuare a esistere senza un aiuto fornito da una segretaria e da personale infermieristico e non si può certo caricarlo di ulteriori ore di lavoro.
Si tratta semplicemente di una inversione di prospettiva: la Casa di Comunità diventa la sede principale di servizio dove si lavora insieme ad altre figure professionali e con una strumentazione adeguata per far fronte alle prime richieste di intervento e se necessario ( per via delle distanze) si mantengono alcune ore di attività negli ambulatori di periferia.
Il contrario e cioè che ogni medico vada a fare qualche ora in Casa di Comunità mi sembra davvero condannare il progetto al fallimento.
Ornella Mancin