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Gpa, ecco le “leve” giuridiche per contrastare l’artificiosità della presa di posizione del ministro Rocella

di Fabio Cembrani

11 NOV -

Gentile Direttore,
quando realizzata per un secondo fine e per mascherare la verità, la pretestuosità è davvero una pessima qualità dell’umano. Quando poi chi è pretestuoso ricopre un ruolo pubblico, non importa di quale ordine e grado esso sia, ciò che viene minacciato è la tenuta del vivere comunitario e la stessa democrazia la quale, come ha scritto Norberto Bobbio, è, in buona sostanza, il solo metodo che garantisce il poter prendere decisioni collettive.

La pretestuosità è così oggi il peggior nemico della democrazia essendo diventata una buona ragione per rinnovare lo scontro politico ed il “o con me o contro di me”; contro i Giudici del Tribunale di Roma e di Bologna, contro la Magistratura che sarebbe sempre più politicizzata a sinistra, contro la Corte di giustizia europea, contro i precedenti Governi e, ora, anche contro i medici i quali, per ciò che ha pubblicamente detto Eugenia Maria Roccella nel suo ruolo di Ministro della Famiglia, della Natalità e delle Pari Opportunità, sarebbero tenuti a denunciare all’Autorità giudiziaria chi si reca all’estero per la pratica della maternità surrogata (gestazione per altri o GPA); pratica da sempre vietata in Italia come previsto dall’art. 12 della legge n. 40 del 2004 e che è stata da poco inserita nel perimetro dei reati universali affiancandosi così ai ben più orribili crimini previsti dal diritto internazionale (crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio, tortura e schiavitù).

A questa scomposta, irragionevole e riprovevole presa di posizione della Roccella ha subito replicato Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici (FNOMCeo), sottolineando che il medico, essendo tenuto al dovere di curare, è esentato dall’obbligo della denuncia anche perché, se ciò facesse, violerebbe il dovere non solo giuridico ma anche deontologico di rispettare il segreto professionale.

Due posizioni contrapposte ed agli antipodi, entrambe forzate e forse anche pretestuose, soprattutto non coerenti con il dettato normativo, che hanno creato imbarazzo e confusione. Lo dico con amarezza prendendo le distanze da entrambe. Perché se è vero che ciò che ha pubblicamente affermato Eugenia Maria Roccella è una colpevole e strumentale meschinità anche la replica di Filippo Anelli non è immune da censure per tutta una serie di ragioni sulle quali molti di noi si sono impegnati nel dibattito pubblico chiedendo ripetutamente di rinnovare la deontologia professionale.

La prima obiezione è che non è vero che il medico è esentato dal dovere di collaborare con l’Autorità giudiziaria come prevede l’art. 365 del codice penale (‘Omissione di referto’): chi, nell’esercizio di una professione sanitaria presta la sua assistenza o opera in una situazione che può configurare l’ipotesi di un delitto per il quale si deve procedere d’ufficio, è, infatti, tenuto a segnalare il fatto all’Autorità giudiziaria nel rispetto di una tempistica prestabilita (entro 48 ore o se vi è pericolo di ritardo immediatamente). Né il medico può appellarsi, in queste non rare circostanze, al rispetto del segreto professionale proprie perché vi è una giusta causa del segreto stessa la cui natura è di carattere imperativo.

Dunque, se il medico presta la sua attività o la sua opera in una situazione che può configurare l’ipotesi di un delitto procedibile d’ufficio (indipendentemente, dunque. dalla querela di parte) esiste l’obbligo di segnalazione all’Autorità giudiziaria, obbligo che se, ove non rispettato, è punito dalla legge penale con una sanzione di natura amministrativa (multa fino a 516 Euro); con una sola eccezione perché questa doverosità viene meno nel caso in cui la segnalazione fatta dal medico possa esporre la persona assistita a procedimento penale. L’esimente ha, naturalmente, carattere speciale ed è questa esimente che consente al medico di sottrarsi all’obbligo a nulla rilevando il pericolo di rivelare il segreto professionale (art. 622 c.p.) o, più appropriatamente, quello d’ufficio (art. 326 c.p.).

Questo sarebbe stato opportuno ribattere alle affermazioni del Ministro ammonendola dell’ingiusta mistificazione sostenuta sull’assunto strumentale che il medico pubblico, avendo la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, sarebbe tenuto a rispettare non già l’art. 365 c.p. ma gli artt. 361 (‘Omessa denuncia di reato da parte di pubblico ufficiale’) e 362 c.p. (‘Omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio’). Insinuando un dubbio, purtroppo lasciato irrisolto dal Codice di deontologia medica, se prevalga la qualifica giuridica del medico o la nostra mission professionale: questione ancora dibattuta anche se la lettura costituzionalmente orientata della legge penale avvalora sicuramente questa seconda interpretazione, cioè che sia prevalente una natura dell’attività visto che la stessa penale identifica il destinatario in un chiunque abbia notizia nell’esercizio di una professione sanitaria nel caso in cui abbia prestato “la propria assistenza o opera”.

Questo era ciò che si doveva opporre ad un dictat pretestuoso ed ideologicamente motivato ricordando al Ministro quanto già accaduto in un non lontanissimo passato quando ai medici era stato chiesto di segnalare all’Autorità giudiziaria gli immigrati clandestini i quali, per non cadere in questa trappola, hanno ripetutamente rinunciato alle cure rendendosi responsabili della diffusione all’interno delle loro comunità di importanti malattie trasmissibili.

Ed a nulla vale il richiamo al parere espresso nel lontano 2011 dal Comitato nazionale per la bioetica cui si appellata Assuntina Morresi (il Foglio, 6 novembre 2024). L’oggetto di quel parere, come ha giustamente osservato Maurizio Mori su Quotidiano Sanità, era il contrasto al traffico illecito degli organi umani che non ha nulla a che vedere con la gravidanza per altri (GPA).

Non mi addentro nelle tante questioni di natura etica che lascio ad altri e non mi chiedo se la GPA sia o non sia una pratica “che comporta l’esercizio di una funzione fisiologica a favore di terzi o di altri” (M. Mori) anche perché il vero problema che rientra dal portone principale è quello della libertà riproduttiva e dei suoi eventuali limiti.

Il mio commento vuole solo esplorare la questione sul versante giuridico con il solo obiettivo di segnalare l’artificiosità della presa di posizione del Ministro della Famiglia, della Natalità e delle Pari Opportunità e di integrare, come deve essere fatto, la presa di posizione della FNOMCeo con l’invito a rinnovare l’art. 10 del nostro Codice deontologico riempendo la vaghezza di alcuni suoi contenuti.

Fabio Cembrani,

Medico legale, professore a contratto Università di Verona



11 novembre 2024
© Riproduzione riservata

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