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Il protocollo di Forlì e i pro-vita nei consultori  

di Corrado Melega

08 NOV - Gentile Direttore,
l’emendamento all’articolo 44 del PNRR in tema di “riorganizzazione dei servizi consultoriali”, recentemente approvato dal Parlamento apre di fatto la porta dei consultori pubblici alle associazioni pro-vita, che potranno incontrare le donne che hanno chiesto un’interruzione di gravidanza, con l’evidente fine di dissuaderle dalla loro decisione.

Ci hanno già provato in molte regioni, e non è una novità neanche per l’Emilia-Romagna. Infatti, nel 2007 fu attivato nei comuni del forlivese il cosiddetto “Protocollo di Forlì” che prevedeva il coinvolgimento di soggetti sociali, sanitari e del privato sociale, con l’obiettivo di sostenere ed affiancare le donne ed eventualmente le coppie che avevano deciso per l’interruzione di gravidanza, senza delegarlo alla AUSL. In realtà, si trattava di un tentativo che, forzando il dettato della legge 194 e facendo leva sulla stigmatizzazione e la colpevolizzazione, metteva in campo strumenti di persuasione morale e/o economica per convincere le donne a rinunciare.

Avevamo iniziato da poco ad utilizzare la procedura farmacologica di induzione dell’aborto, importando dall’estero il mifepristone, la cui commercializzazione non era ancora autorizzata in Italia, e le associazioni “pro vita” protestavano, sostenendo che l’introduzione di tale metodica, “banalizzando” l’aborto avrebbe certamente determinato un aumento delle interruzioni di gravidanza.

Sulla falsariga di quella “sperimentazione”, il protocollo venne proposto anche in un comune della cintura bolognese, Zola Predosa, dove però l’iter per l’approvazione del progetto fu fermato immediatamente dalla protesta delle associazioni femminili, prime fra tutte l’Unione Donne Italiane (UDI) e dai partiti della sinistra. Ci fu un’assemblea con comizio in piazza che mise fine ad ogni polemica. In seguito, anche il “Protocollo di Forlì” fu abbandonato.

Oggi, il presidente dei Comitati pro-vita di Forlì afferma che l’emendamento all’articolo 44 del PNRR non è altro che l’applicazione degli articoli 2 e 5 della legge 194, e che per questo motivo sarebbe giusto riprendere il protocollo di Forlì.

Non è proprio così: l’emendamento approvato introduce una distorsione della legge 194, interpretandola in senso restrittivo: l’articolo 2 della legge 194, infatti, afferma che “i consultori, sulla base di appositi regolamenti o convenzioni, possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita“. L’emendamento in questione, invece, dice tutt’altro: “Le regioni organizzano i servizi consultoriali (....) e possono avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del Terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”.

La differenza è evidente: nella legge 194, infatti, il soggetto che può avvalersi della collaborazione di associazioni di volontariato al fine di sostenere le maternità difficili è il consultorio, e la valutazione e la scelta di eventuali collaborazioni spetta alle figure professionali, formate e qualificate, che lavorano nel consultorio. Nell’emendamento del governo, invece, il soggetto che decide tale coinvolgimento è la Regione. Pertanto, ciò che viene fatto in consultorio sulla base di una valutazione specifica, caso per caso, con l’emendamento in questione verrà imposto dall’alto, sulla base di criteri generali, ovviamente di natura politica e ideologica, a prescindere dalla specificità dei singoli casi. Si snaturano in tal modo i compiti del consultorio, umiliando e svilendo le competenze della equipe consultoriale.

Alla luce di tale interpretazione distorta della legge 194, il presidente dei Centri pro-vita del forlivese cita anche l’articolo 5, che tratta del colloquio finalizzato a “esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto“. La citazione probabilmente cela l’intenzione di far entrare tali associazioni “pro-vita” nei consultori, affidando loro almeno una parte del colloquio.

Il Presidente dei Centri pro-vita auspica un ritorno al “protocollo di Forlì”, dimenticando che, a causa delle proteste che allora sollevò il Protocollo, l’Assessore alla sanità Giovanni Bissoni scrisse una lettera ai Direttori generali delle Aziende regionali, che riportava tutti alla corretta lettura del dettato della legge, ribadendo che l’intervento delle associazioni di volontariato, per le finalità previste dalla legge, avrebbe dovuto svolgersi solo su richiesta degli operatori del consultorio, previo consenso della donna.

La lettera fu poi inserita in una più articolata delibera di Giunta, la n.1690 del 2008 (Linee di indirizzo per la tutela sociale della maternità e dell’interruzione volontaria di gravidanza nell’ambito dei piani di zona per la salute ed il benessere sociale).

Riporto di seguito la disposizione finale della delibera del 2008, che fa chiarezza anche riguardo alle dichiarazioni della candidata alla presidenza regionale, sostenuta dalla destra, la quale afferma che la regione stessa permetterebbe l’entrata delle associazioni nei consultori:
“ ….. Resta comunque inteso che l'équipe territoriale integrata (consultori-servizio sociale) mantiene la responsabilità del programma di intervento ed è titolare esclusiva delle informazioni e della documentazione clinica, sociale ed assistenziale, nell’ambito delle rispettive competenze e nel rispetto della riservatezza”.

Quella delibera è ancora in vigore, così come sono ancora in vigore la legge 405 sui consultori, e la legge 194; queste leggi sono conquiste delle donne e della società civile. Probabilmente hanno bisogno di essere cambiate, ma certo non nel senso che vagheggiano i Pro-vita. Se una modifica è auspicabile, infatti, non può che andare verso il superamento delle criticità emerse negli anni, al fine di affermare sempre più il diritto delle donne alla salute e alla libera scelta.

Corrado Melega
Ginecologo, Bologna

08 novembre 2024
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