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Osteopata, una professione con ancora troppe ombre

di Romualdo Carini e Gianni Melotti 

12 SET - Gentile Direttore,
sull’osteopatia, diventata professione sanitaria dal 2018, bypassando il parere tecnico- scientifico di una apposita Commissione in seno al Consiglio Superiore di Sanità, si è già scritto molto. Non stupiscono anche i tempi biblici con i quali si sono dovuti attendere i Decreti sul Profilo Professionale e sull’istituzione del relativo Corso di Laurea.

Sul Profilo si sono dovute evitare “sovrapposizioni e parcellizzazioni” di Professioni Sanitarie già esistenti, mettendo fortunatamente questa professione nell’area della prevenzione, per il trattamento di non meglio specificate “disfunzioni somatiche” non riconducibili a patologie con, incredibilmente, tanto di diagnosi medica.

Oltre a ciò, anche sugli Ordinamenti Didattici del CdL le difficoltà non saranno mancate.

Prendendo visione dei Programmi del Corso di Laurea in Osteopatia dell'Università di Verona, si ha l’impressione che tendano a sconfinare dal loro Profilo (DPR 131/2021), andando oltre l'ambito muscolo-scheletrico in cui sono stati confinati. Nei tirocini, poi, si parla di “manipolazione”, mentre il profilo parla di “palpazione”. Fanno riferimenti a trattamenti su patologie respiratorie, alla Sclerosi multipla, a patologie reumatologiche, arrivando ad una “diagnosi funzionale”, con lettura e interpretazione di test diagnostici, ma il Profilo si limita ai “test osteopatici”.

Leggendo il modulo sulla Reumatologia, si scopre che l’hanno copiato da Fisioterapia. Hanno anche lasciato la parola Fisioterapia.

Resta ancora da sciogliere il nodo del riconoscimento dei titoli pregressi, auspicando che, ogni decisione sul pregresso, non vada doverosamente oltre il 2018 data la legge n.3.

Se il ragionamento è tutto sommato semplice per la valutazione, da parte dei singoli Atenei, che hanno deciso di attivare questo CdL, di Lauree estere, il ragionamento si complica per la maggioranza degli attuali Osteopati, perché il vero problema non sarà quello di valutare i “titoli” posseduti, bensì la Scuola che li ha rilasciati. Non essendo infatti tali Scuole Enti Pubblici, cioè riconosciuti dallo Stato, bensì privati, occorrerà una seria classificazione delle Scuole in oggetto.

Secondo infatti una corretta interpretazione dei commi 1 e 2 dell'art.4 della legge n. 42 del 1999, l’equipollenza può operare in via automatica solo se il relativo diploma sia stato conseguito all’esito di un corso già regolamentato a livello nazionale e cioè solo in presenza di moduli formativi la cui uniformità ed equivalenza fosse già stata riconosciuta nel regime pregresso.

Ma, se le cose stanno così, ha senso parlare di una equipollenza per tutti questi titoli o della tutela di quelli post 2018 come si sente spesso dire?

Romualdo Carini e Giani Melotti
Fisioterapisti

12 settembre 2024
© Riproduzione riservata

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