3 settembre -
Gentile Direttore,stiamo attraversando uno dei periodi più difficili per la nostra Sanità Pubblica, frutto di una transizione concettuale e politica, in atto da almeno una ventina di anni. I disagi e i disservizi di cui soffriamo quotidianamente, sono il risultato di questi due fraintendimenti di sistema che vengono da lontano. Il primo è da imputare alla disaffezione e miopia della politica che ha considerato la sanità pubblica solo come voce di spesa e non come risorsa per i cittadini, tradendo il senso e il contenuto di quell’articolo 32 della Costituzione che prevede un’assistenza globale e gratuita per tutti.
Già con il governo Prodi sono incominciati i tagli lineari alla Sanità, per attingere denaro per altre voci di spesa pubblica, il risultato è quell’ammanco di circa 37 miliardi di euro senza i quali la sanità pubblica deve continuare ad offrire un’assistenza intanto con una domanda sempre maggiore degli utenti-cittadini. Oggi, rispetto a venti anni fa si elargisce almeno un venti per cento di più in servizi con una spesa decurtata di 37 miliardi e con una drammatica caduta numerica del personale in servizio, sia medico che infermieristico.
Anche questa ricaduta sul personale è frutto di altrettanta miopia governativa, con il numero chiuso delle facoltà di medicina e un calcolo della necessità di professionisti fatto con tanta approssimazione da sfiorare l’incompetenza e l’analfabetismo matematico. Considerando, poi, le condizioni di servizio e i trattamenti economici di medici e infermieri nel pubblico, era ampiamente possibile immaginare la fuga dei professionisti verso realtà più remunerative, all’estero o nel privato. Ovviamente, i settori maggiormente colpiti sono quelli dove maggiori sono le difficoltà di servizio, come Pronto Soccorso e le superspecialità.
Nessuna capacità preventiva e governativa nel settore pubblico, con una serie di gravi inadempienze della politica che hanno portato ad una crisi complessa con tanti nodi da risolvere. E nessuna volontà di farlo, nonostante la grande propaganda elettorale dei partiti che mettono in agenda la sanità pubblica per poi tradirla puntualmente. Non senza una strategia maligna di fondo, però: aprire sempre maggiori spazi al privato, consegnando pezzi importanti della sanità pubblica alla libera imprenditoria, ha almeno due grossi vantaggi per i governi di turno: il primo è far pagare ai cittadini, quello che dovrebbe essere un supporto statale, il secondo di scuola malversativa, e un po’ mafiosa, è che con l’imprenditore privato è possibile fare buoni affari, con una commistione tra stato e privato, marchio della repubblica delle mazzette di triste memoria.
Oltre a quella politica, è in corso quella transizione concettuale del servizio sanitario pubblico, per la quale la salute non è più vista come bene comunitario da tutelare secondo quanto garantito dalla Costituzione, ma come una merce qualsiasi, da vendere e comprare secondo le potenzialità di un mercato della salute che privilegia sempre di più il privato. Non è un caso la proliferazione di compagnie assicurative come Unipol o Axxa che, a fronte di polizze, offrono assistenza sanitaria privata che di fatto sostituisce il servizio pubblico. Potrebbe apparire allusione maligna la mia, ma credo che a livello governativo sia più appetibile incrementare il privato che non ripristinare la funzionalità del servizio sanitario pubblico. E’ più facile e più conveniente. Ma, allo stato di fatto, questa rappresenta una truffa per il cittadino, intanto per il venir meno di quell’impegno dello Stato sottoscritto con l’articolo 32 della Costituzione: tu mi paghi le tasse e io ti offro assistenza gratuita, e poi per il fatto che il cittadino paga due volte una prestazione sanitaria: prima con le proprie tasse e poi di tasca propria quando mette mano al portafogli per pagare il privato.
Questo è intollerabile per uno stato di diritto, per il quale diritti e doveri sono sanciti dalla Legge e per questa stessa Legge il cittadino dovrebbe impugnare questa inadempienza con gli stessi mezzi della legalità giudiziaria. Si scenda in piazza, per fermare questa illegalità ormai norma e costume di una democrazia ormai solo apparente. Perché in nessuna democrazia sia consentita una sanità pubblica per i poveri e una sanità privata per i ricchi. La complessità della crisi ha tante componenti, una fondamentale riguarda l’altro blocco della sanità pubblica che è la Medicina del territorio che si trova alla base di tutto il sistema pubblico.
Il medico di base è, e deve rimanere, la prima risorsa del servizio pubblico, il primo professionista della salute da contattare per tutti i cittadini in difficoltà. Attraverso l’operato del medico di base, si concretizzano tanti altri aspetti: dall’assistenza ai cronici, alla spesa farmaceutica, ricoveri, visite specialistiche, screening, certificazioni di malattia, infortuni, vaccinazioni etc. Nonostante questo, il medico di base rimane un libero professionista convenzionato con il SSN, non dipendente pubblico come i medici ospedalieri. Un medico pagato a prestazione che con un ACN e non contratto, non ha nessuna tutela: niente ferie, malattia, carriera, formazione universitaria specialistica. Era ampiamente prevedibile che con queste premesse, nessuno voglia più fare il medico di base: un medico in cerca di un ruolo e un riconoscimento che non arrivano da più di quaranta anni e che nessun governo ha voluto riformare nel ruolo e nelle competenze. Il medico di base rimane un paria del sistema, sovraccarico di incombenze burocratiche che snaturano la sua stessa vocazione di medico.
Da due anni faccio parte di un gruppo di medici di base italiani che ha redatto un documento un Position Paper che riforma interamente il ruolo del medico di base, Gruppo Per la Dirigenza Medica che prevede il ruolo pubblico del medico di base con tutti i compiti delineati in questo documento inviato a tutti gli enti decisionali in ambito governativo. E’ uno dei punti chiave per riformare il SSN con una operatività che mette al primo posto i diritti del cittadino-paziente.
Ogni buon edificio deve partire dalle fondamenta e la base del SSN è proprio la Medicina del Territorio. Il depotenziamento, la dequalifica e la non considerazione della medicina del territorio hanno creato i presupposti per una rinuncia di tipo difensivo dei colleghi medici del territorio, come le visite su appuntamento, con la conseguente fuga dei pazienti verso i Pronto Soccorso e il venir meno dell’azione di filtro del territorio. Rimanendo in tema di sovraffollamento delle prestazioni sanitarie, c’è l’annosa questione delle liste di attesa che si cerca di tamponare con provvedimenti e decreti risibili e fatalmente inefficaci perché non si vuole intervenire su due aspetti fondamentali e strutturali: la mancanza di personale e l’ingerenza del privato con una concorrenza sleale e un po’ truffaldina.
Spieghiamoci: in ospedale oggi si fa con due medici quello che dieci anni fa si faceva con sei medici, il blocco delle assunzioni fino al 2025 rende inesorabile l’allungamento dei tempi di attesa e a nulla servono quei provvedimenti che incentivano i medici ospedalieri a lavorare anche nei festivi e nemmeno la comica decurtazione fiscale dei loro compensi, con due medici sarà comunque impossibile fare il lavoro di sei. Bisogna assumere e pagare bene: una logica troppo lontana dalle eminenze grigie dei manager delle ASL. Nel pozzo nero delle liste di attesa mettiamoci anche la libera attività di quei medici che a fine turno in ospedale, continuano a visitare nel privato, anche intramoenia, cioè libera attività nell’ospedale pubblico stesso.
Per questo quando si cerca un appuntamento per una visita ci si sente rispondere spesso: il suo appuntamento nel pubblico è tra quattro mesi, con lo stesso medico, in libera professione e a pagamento, anche domani. A chi conviene, allora, tagliare i tempi delle liste di attesa? Al cittadino, sicuramente si, forse ai medici un po’ meno. Questa commistione tra pubblico e privato, è ancora più colpevole se si pensa che gli esami di secondo livello, richiesti dal medico specialista privato, vengono prescritti dal medico di base che, semplicemente, trascrive a carico del SSN.
Abbiamo quindi un privato che incassa la parcella e gli esami da lui richiesti li paga lo Stato, con la povera e obbligata complicità del medico di base, promosso scrivano fiorentino, al servizio dei privati. E’ necessaria una netta separazione tra pubblico e privato: il cittadino che sceglie il professionista privato, oltre alla visita dovrà pagarsi tutti gli esami conseguenti. O dentro o fuori. Che non succeda mai che un paziente per essere operato in un ospedale pubblico debba prima passare dalla visita privata di un primario, realtà ormai consolidata, in troppi casi.
Per concludere la carrellata di guasti del SSN, lo facciamo con le soluzioni da mettere in atto non subito ma da ieri: portare la quota del PIL per la Sanità pubblica ad almeno il 7% come negli altri paesi europei, restituire al SSN quei 40 miliardi ipotizzati da Nino Cartabellotta, il maggior esperto in numeri della Sanita Pubblica, presidente della fondazione GIMBE, per salvare dal baratro il servizio, riaprire immediatamente le assunzioni pubbliche, rendere libero l’accesso alle facoltà di Medicina per i giovani aspiranti medici, riqualificare in questo senso le Università Italiane, riformare il ruolo del medico di base rendendolo dipendente pubblico del SSN, con contratto nazionale e prestazione oraria e non più capitaria, in base al numero di assistiti. Eliminare ogni commistione tra pubblico e privato. I medici devono scegliere da che parte stare, senza alcuna ambiguità, perché la pratica della Medicina non è mai stata, né dovrà mai esserlo, mercenaria.
Ultimo compito spetta ai cittadini: uso responsabile dei servizi pubblici, uscire dalla mentalità: tutto e gratis ma entrare nella dimensione dell’uso civile, informato e responsabile della sanità pubblica che appartiene a tutti e non a pochi privilegiati. Evitiamo richieste ridondanti, alla moda o suggeriti dal cugino o letti su internet. Quello che risparmiamo oggi evitando sprechi, ci servirà domani per curare i nostri figli. La Sanità non è una merce, è un valore per cui battersi, un diritto da chiedere a gran voce a qualsiasi governo, altrimenti non vale la pena avere un governo. Di qualsiasi colore.
Dott. Enzo BozzaMedico di base per i Comuni di Vodo e Borca di Cadore (BL)