In sanità la maggioranza è donna ma a comandare sono gli uomini
di Ornella Mancin
27 NOV -
Gentile direttore,
la triste vicenda di Giulia Cecchettin ha sconvolto l’Italia intera portando ancora una volta alla ribalta il tema della violenza sulla donna, su cui si dibatte da anni senza tuttavia risultati rilevanti sul piano culturale ed educativo.
I femminicidi sono eventi di una violenza inaudita, che ci portano spesso a sentirci estranei al problema perché noi viviamo in contesti in cui è inconcepibile quello che accade a queste donne. Questa volta però, più che in altre occasioni, abbiamo capito che nessuno si può dire al sicuro perché Giulia e Filippo erano ragazzi come tanti, con vite normali come quelle nostre, dei nostri figli, dei nostri nipoti, dei nostri fratelli/sorelle.
Proprio per questo credo doveroso uno sforzo di riflessione maggiore che ci aiuti a capire e a prevenire , perché se le colpe sono personali la responsabilità è spesso collettiva, politica, culturale.
E’ innegabile che la violenza contro le donne sia una questione maschile, una questione che trova terreno fertile in una società patriarcale dove l’uomo detiene potere e privilegi. Finché non cambieranno le condizioni che rendono le donne subalterne agli uomini nulla potrà cambiare.
L’ambito della sanità dove ognuno di noi svolge la propria professione purtroppo non è esente da questo e spesso le donne subiscono situazioni di discriminazione che vengono accettate come normalità, senza tener conto delle tante, troppe volte in cui abbiamo sentito colleghi maschi fare apprezzamenti sessisti, raccontare storielle sconce, ridere di battute misogine, senza che nessuno lo trovasse almeno inopportuno.
Questo è espressione di un modello culturale frutto delle condizioni nelle quali viviamo e delle strutture di potere che ci condizionano.
I maschi non amano affrontare questo tema perché “il potere” è quasi sempre nelle loro mani e spesso neanche si rendono conto delle disparità che mettono in atto nei confronti delle donne e degli stereotipi che incarnano. Nel nostro ambiente è considerato normale che i “ capi” favoriscano i colleghi maschi nella carriera, che le idee delle donne finiscano a incrementare progetti dei colleghi, che le donne vengano “sacrificate” nei posti di comando a favore degli uomini.
Proprio in questi giorni ad esempio è stato rinnovato il direttivo della SIMG e ancora una volta è tutto al maschile; certo nulla di nuovo, semmai avrebbe fatto notizia la presenza di una donna magari alla Presidenza.
Il mondo della sanità è uno dei settori dove è più evidente l’asimmetria tra i generi, dove a fronte di una maggioranza di operatori sanitari donne, poche raggiungono i vertici. L’inadeguata rappresentanza raggiunge il massimo all’interno degli organi di governance della professione: ordini professionali, casse previdenziali, società scientifiche, sindacati (con qualche lodevole eccezione, lo SMI per esempio che ha una leadership al femminile).
La sanità è tenuta in piedi da una maggioranza lavorativa fatta di donne ma a comandare sono gli uomini e le poche donne che rivestono ruoli significativi sono spesso eccezioni , le altre magari bravissime vengono spesso superate da qualche collega che ha come primo merito il fatto di essere maschio e quindi per definizione più adatto a ruoli dirigenziali . Lo stereotipo di genere vuole le donne fragili, emotivamente instabili, incapaci di gestire il potere o di esercitare un ruolo politico.
Le donne oggi non sono rappresentate all’interno degli organi di governance della professione: là dove si decidono questioni importanti noi non abbiamo voce alcuna e i nostri rappresentati maschi si arrogano il diritto di darci voce, perché ritengono di poter comprendere anche il punto di vista femminile.
Le donne sono invisibili, sono negate, non esistono per l’”healt governace” e questa è la rappresentazione più evidente che siamo ancora un Paese fortemente maschilista che nell’essenza considera le donne brave, finché lavorano con impegno e dedizione, ma che diventano un fastidio se rivendicano ruoli che tradizionalmente devono restare in mano agli uomini.
Se davvero crediamo che la cultura del femminicidio si combatta a partire dalla parità di genere , abbiamo davvero molto lavoro da fare anche all’interno del mondo della sanità , per riconoscere alla donna , con le sue specificità, la stessa dignità e gli stessi diritti degli uomini. Non bastano gli slogan (“Con le donne contro ogni forma di violenza” recita quello della FNOMCEO) servono fatti concreti .
Per le donne non è più il tempo di tacere: è tempo di fare rumore , un rumore così assordante che diventi capace di rompere quel soffitto di cristallo che ci sovrasta.
Per gli uomini non è più il tempo di girarsi da un’altra parte, di credersi fuori perché come dice De Andrè "Anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti”.
Ornella Mancin
Medico di famiglia
27 novembre 2023
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