Gentile Direttore,
al nostro Servizio sanitario nazionale, grande malato, non vengono talvolta risparmiate diagnosi errate. L’ultima in ordine di tempo l’opinione del presidente della Società oftalmologica italiana.
Il presidente afferma che nel nostro servizio sanitario nazionale le prestazioni di oculistica, dalle visite agli esami diagnostici sono offerti separatamente. “In altre parole, un paziente che avrà atteso sei mesi per sottoporsi ad una visita specialistica, alla fine dovrà aspettare un tempo altrettanto lungo, se non oltre, per fare l’esame che l’oculista gli avrà prescritto per avere una diagnosi più chiara”. In realtà le regole sono diverse.
Il comma 5 dell'articolo 51, dell'Accordo collettivo nazionale 2005, inerente al rapporto di lavoro dei medici di medicina generale, riprendendo norme previgenti, stabilisce che, quando il medico specialista dopo aver effettuato la visita abbia necessità, per completare la diagnosi, di ulteriori indagini o consulenze può, anzi deve, prescriverle direttamente sul ricettario del servizio sanitario nazionale, perché – stando alla lettera della norma – nessun altro è abilitato a farlo. E ciò, per molte buone ragioni: evitare al paziente di dover fare la spola ripetutamente tra specialista e medico di famiglia; assicurare maggiore appropriatezza prescrittiva, affidando al medico di famiglia la richiesta della prima visita e non di esami di secondo livello specialistico; contenere i tempi di attesa per la diagnosi.
Risponde alla stessa logica, come prevede il piano nazionale di governo delle liste d’attesa, il dovere della struttura (e, quindi, del medico specialista) che ha preso in carico il paziente di prenotare i controlli successivi senza che il paziente sia rimandato al medico di famiglia per la prescrizione.
Se queste regole di buona prassi professionale non vengono applicate la colpa non va addossata all’istituzione Ssn, ma al management gap che continua ad affliggerlo.
Nicola Rosato,