Gentile Direttore,
quando compaiono fatti a forte impatto emotivo, come la tragica vicenda di Giulia Cecchettin, è facile rivolgersi alle istanze più immediate che offre il senso comune e la psicologia popolare, anche se non sono necessariamente le soluzioni più affidabili.
Le riflessioni su quanto accaduto hanno portato infatti a due versanti popolari di interpretazione ed intervento, peraltro non facilmente integrabili.
Da una parte chi ha sottolineato come non si tratti di un caso isolato, ma solo della realizzazione drammatica ed estrema di un atteggiamento di prevaricazione maschile di cui è fortemente intrisa la nostra realtà sociale. Questo lettura porta allora a ritenere che sia da agire su questi meccanismi culturali, operando con interventi mirati ad un processo informativo/educativo, dove la scuola svolge un ruolo prioritario. L’idea è sicuramente importante, ma è necessario guardarsi dalle trappole delle facili scorciatoie basate sul senso comune, che suggerisce che qualche ora di formazione nelle scuole possa avere un qualche risultato. I meccanismi con cui le persone modificano i loro atteggiamenti sono molto più complessi e in genere lontani da quello che si potrebbe pensare come soluzione ovvia ed intuitiva.
Sorge allora l’inevitabile attribuzione di competenze ai Servizi di Salute Mentale, e la conseguente accusa di inerzia. In realtà - a mio parere - un approccio di questo tipo ha tre fragilità: la prima è che i servizi di salute mentale attualmente sono, ahimè, servizi di psichiatria e come tali si occupano di patologie psichiatriche, nel cui ambito solo alcuni comportamenti antisociali, o immorali o di “sragione” sono collocabili.
Il secondo è che le norme attuali offrono pochi strumenti per valutare ed intervenire su situazioni che non siano una conclamata manifestazione di patologia mentale, offrendo il paradosso che si invita a segnalare i problemi senza che siano dati gli strumenti per intervenire.
Ed il terzo è che, allo stato attuale delle conoscenze, non si sa molto circa una possibile reale prevenzione di aspetti patologici psichiatrici che non siano una diagnosi precoce, con tutte le difficoltà che questa comporta e con tutti i limiti, di risorse, conoscenze ed esiti, che emergono per gli interventi in questo ambito.
Credo che di fronte a queste tragedie occorra prendere atto che certe risposte immediate possono probabilmente tranquillizzarci che facciamo qualcosa, ma senza tuttavia offrire quella efficace soluzione che vorremmo.
Andrea Angelozzi
Psichiatra