Gentile Direttore,
sembra che dopo il recente report Agenas e le dichiarazioni del Ministro Schillaci, tutti vogliano interessarsi al tema “liste d’attesa”, come se il problema non sussistesse già da tempo o come se non ci siano anche altre maggiori (come anche minori) questioni, pure ad esso correlate di più storica od urgente trattazione; qui forse l’imbarazzo maggiore starebbe nella scelta.
L’aspetto che a me sembra emergere con maggior significatività è quello che il Ministro e la dott.sa Boccaforno hanno unitamente sottolineato: «Se non si hanno dati precisi non si può curare la malattia»: anche se nell’ambito di un progetto pilota, non fornire i dati a chi ha il dovere o anche a chi liberamente abbia voglia di studiarli, per interpretare le situazioni che quei numeri sottendano – un po’ come riescono a fare gli astronomi ed i cosmologi, che con i semplici dati numerici forniti dai moderni telescopi stanno ridisegnando l’intero universo ed il suo funzionamento – in special modo se si parli di organizzazioni pubbliche o di pubblico interesse, propone di fatto il peggiore atteggiamento civico possibile e forse in Italia non ci accorgiamo che quell’atteggiamento è lo stesso che si addita alle peggiori organizzazioni fuorilegge: la “legge del silenzio”. Non far sapere cosa si fa è uguale a nascondere cosa si fa: significa che c’è qualcosa in quello che si fa che non va o che si intende non far andare le cose come dovrebbero, quindi nessuno deve sapere ... tranne coloro che tale atteggiamento colpisca, ove l’unica differenza con le organizzazioni fuorilegge è che queste possono danneggiare i singoli o gruppi di singoli, mentre le istituzioni possono danneggiare la collettività o gruppi di essa.
Ciò vale sempre: che si tratti degli esperimenti a Wuhan, della affluenza alle elezioni degli Ordini o per qualsivoglia altro aspetto che possa colpire non dei singoli ma la collettività o parti di essa, quindi anche per le liste d’attesa. Il criterio della trasparenza è sempre ineludibile. Quindi se volevamo proprio una prima risposta è proprio quella dei numeri… mancanti, che sottendono una inaccettabile assenza di rispetto civico.
Per quanto alle personalissime ricette che alcuni si affannino a proporre per risolvere diversamente o palliativamente la questione, anche queste rivelano conduzioni già note e spesso anche queste definibili, per più aspetti, come carenti.
Abbiamo già visto più occasioni in cui i non medici, per un motivo o per l’altro reclamino maggior autonomia professionale ed una “dipendenza” meno stretta dai medici, come se si trattasse di una colonia ribelle che reclama l’indipendenza da un dominio che si ritiene straniero ed ingiusto, ed abbiamo visto sempre le stesse risposte dei medici, che più o meno educatamente, tramite i loro Ordini e Sindacati hanno commentato tale voglia di autonomia ed indipendenza come un male aggiuntivo … e magari minacciano scioperi che spesso assicurano l’ottenimento di ogni loro richiesta anche prima dell’inizio dell’agitazione stessa … e così la dominanza medica alla fine è l’unica a portare sempre qualcosa a casa, spesso senza risolvere i problemi degli altri.
Il solito teatrino, insomma … tutti a tirar l’acqua al proprio mulino alla prima occasione … questa è la volta delle liste d’attesa.
«Non causa pro causa» … solevano dire i latini, ed è quanto vorrei indirizzare a coloro che agitano lo stendardo della autonomia professionale a soluzione di una serie di problemi il cui ultimo sarebbero le liste d’attesa.
Sarà certamente vero «che nelle prime visite capita che a fronte di una richiesta di prestazione specialistica, il cittadino si ritrovi un infermiere a occuparsi di lui», che «il problema delle liste d’attesa sia correlato anche all’inappropriatezza delle procedure diagnostiche» … mentre ciò che non mi sembra sia mai stato vero, è che «i Tecnici europei hanno anche la competenza di refertare» o che «il TSRM sia l’unica figura professionale autorizzata ad eseguire esami come le ecografie».
Tuttavia, sia a chi dice il vero, sia a chi si avventuri in iperboli forse un po’ troppo fantasiose, andrebbe fatto notare che, come forse troppo spesso accada, prima di guardare altrove ed altrimenti per risolvere quelle che i critici guardano come malpancismi o frustrazioni, ma che in realtà sono diritti che discendono dalla normale e semplice complessiva evoluzione (anche giuridica) delle professioni, che in ambito sanitario andrebbe denominata quale “governo professionale”, bisognerebbe considerare se per caso, parafrasando Seneca …
«Nessuno è infelice se non per colpa sua» …
Gli infelici, oltre i cittadini per le liste d’attesa, con le loro colpe di designare politici forse inadeguati, sarebbero anzitutto i Tecnici radiologi, che non hanno saputo affrontare a suo tempo (né tantomeno lo sanno fare oggi) la questione della legge sulla radioprotezione … quindi sono i primi a stare indietro.
A seguirli ci sono gli infermieri, che ormai hanno fondato una propria dominanza …
Un buon esempio potrebbe venire dai fisioterapisti … Le colpe sarebbero – per tutti questi professionisti – non aver mai saputo affrontare unitamente ed unitariamente il complesso tema della autonomia professionale dei non medici, per renderli professionisti “peer to peer” con le “altre” professioni mediche. Le liste d’attesa c’entrano, sì … ma solo in parte.
Calogero Spada