Gentile direttore,
secondo i dati di Istituto Superiore di Sanità, IBDO Foundation, ISTAT, in Italia le persone sovrappeso sono più di 25 milioni delle quali almeno 6 milioni francamente obese: tutte insieme rappresentano quasi la metà dell’intera popolazione e certificano una vera e propria epidemia che, anche secondo l'OMS, è tra le principali cause di morte e disabilità.
Ovviamente si sprecano le proposte ed iniziative per combattere questa situazione e fioccano consigli su quello che sarebbe necessario fare per ridurne le conseguenze, forse dimenticando che si tratta di un problema non nuovo, se è vero che già nel Medioevo la Scuola Medica Salernitana raccomandava “animo lieto, tranquillità e dieta moderata” per garantire un accettabile stato di salute alla popolazione dell’epoca. Va comunque sottolineato che il termine “dieta moderata” non significa pesante restrizione calorica che invece, come dimostrato qualche secolo dopo dal Minnesota Study (Keys, 1950), può determinare gravi conseguenze sulla salute fisica e mentale dei soggetti che riducono eccessivamente la loro alimentazione. Come sempre e a dispetto di proclami su diete miracolose, regimi alimentari innovativi, farmaci di ultima generazione, la regola di salute è ancora quella contemplata da Aristotele: “la virtù sta nel mezzo”, applicabile senza dubbio alcuno anche alla attuale alimentazione umana.
C’è poi chi attribuisce la colpa dell’obesità addirittura alla genetica. Vale la pena a questo punto sottolineare che la responsabilità del sovrappeso e della obesità è quasi sempre individuale (con eccezioni assai rare e quasi tutte identificabili clinicamente – la citata sindrome di Prader-Willi ha una frequenza di circa 1/15.000 e la sua clinica non si limita certo all’obesità) e che attribuirne la colpa alla “genetica” è una scorciatoia che non porta da nessuna parte. Ne sono un esempio gli abitanti dell’isola Polinesiana di Samoa, oggi tra le popolazioni maggiormente segnate dall’obesità a livello mondiale e che invece sino a qualche decennio fa mostravano ai visitatori della loro magnifica terra un aspetto atletico e un fisico invidiabile. Il motivo di questo rapido cambiamento nel loro aspetto è dovuto all’introduzione di cibi “occidentali” ad elevato contenuto calorico in una popolazione geneticamente predisposta all’obesità (ma stranamente non al diabete). Una situazione che dimostra sì l’importanza della predisposizione genetica, ma soprattutto quella legata alla tipologia ed alla quantità degli alimenti: anche se sei predisposto "geneticamente" diventi obeso solo se esageri con il mangiare.
A questo punto le soluzioni non sono molte: o rinunciare a quelli che vengono definiti i piaceri della tavola, ma che in realtà sono i piaceri di un’alimentazione che troppo spesso utilizza alimenti inutilmente calorici e giustamente definiti “spazzatura”, oppure vivere con soddisfazione (e qualche modesto senso di colpa) questo periodo di abbondanza alimentare e tentare di ridurne le conseguenze con l’impiego di farmaci. Quest’ultima scelta ricorda un po' la logica dell’antica Roma dove, racconta Seneca, nei fastosi banchetti ci si abbuffava e poi si vomitava per poter continuare a mangiare. Una soluzione considerata oggi un po' rozza e riprovevole, sostituita dal consiglio di ridurre non già le abbuffate di junk food bensì di mitigarne le conseguenze mediante l’utilizzo di farmaci moderni ed efficaci.
Si tratta in realtà di prodotti che nascono per il trattamento dei pazienti diabetici e tuttavia, vista la loro capacità di ridurre sensibilmente il peso corporeo, se ne suggerisce un uso disinvolto per mitigare gli effetti dell’assunzione esagerata di cibo. Il che potrebbe anche andare bene se non mettesse in crisi la disponibilità del farmaco per i pazienti diabetici e se magari ne fossero conosciuti e studiati gli effetti a lungo termine. A questo proposito viene segnalato che l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) sta esaminando alcune segnalazioni relative al fatto che alcuni di questi farmaci contenenti semaglutide e liraglutide possano determinare un rischio aumentato di cancro alla tiroide ed anche provocare l’insorgenza di pensieri suicidi (QS 11 luglio 2023).
Nessuna certezza, al momento, tuttavia non pare corretto, sia dal punto di vista medico che dal punto di vista etico, consigliarne l’impiego, come ha fatto recentemente una nota biologa esperta di covid dalle pagine di un quotidiano. Un suggerimento non solamente in assoluto disaccordo con le recenti raccomandazioni AIFA (https://www.aifa.gov.it/-/nota-informativa-importante-su-ozempic%C2%AE-semaglutide-) ma anche in grado di mettere in difficoltà quello che medici, Autorità Sanitarie e molti individui stanno cercando di fare per contrastare l’epidemia di obesità e sovrappeso.
Pietro Cavalli