Gentile Direttore,
ti chiedo ospitalità per parlare ancora di un tema che mi sta a cuore, il rapporto tra economia e sanità che, se non lo si affronta sulla base del confronto tra l’aumento inarrestabile dei costi per la tutela della salute e il modello economico dominante, rappresenta un ostacolo che non ci consente di “riformare” il sistema in modo che sia compatibile con i bisogni della gente, i progressi della tecnologia, l’invecchiamento della popolazione e il regime economico nel quale siamo immersi.
In un mio recente articolo su QS facevo notare la contraddizione tra l’OMS, che considera la sanità One Health come un goal immediato, e la realtà delle cose. I validissimi colleghi del Dipartimento Prevenzione dell’Assessorato alla Salute dell’Emilia come possono affrontare le conseguenze sanitarie del disastro alluvionale se non nel modo più classico, in assenza di modifiche sostanziali del modello produttivo? Altro che salute in tutte le politiche.
Ricordo le discussioni negli anni settanta con Berlinguer, Delogu, Rosaia, Brogi, Seppilli e tanti altri “padri della riforma” su questioni che sembrano di giornata e già se ne parlava allora; ebbene, sul rapporto tra salute e cura che dovrebbe imprimere una sterzata riformista al servizio sanitario, occorre un confronto molto approfondito, che coinvolga tutta la società e scuota la politica.
Constato che alla domanda “che fare” qualche risposta comincia a manifestarsi in termini non solo di convegni ma di azioni sindacali, alle quali, a mio avviso, manca solo il coinvolgimento unitario di tutte le componenti professionali del servizio sanitario.
Ma un’altra domanda mi assilla: perché nel mondo intellettuale italiano, o almeno in quel che ne resta, non si discute di questi problemi che sono generali? Come si declina il “diritto alla salute” sia dell’individuo che della collettività nel moderno sistema economico, così come questo si va adattando alla crisi del libero mercato, il quale tuttavia sembra tuttora vincente di fronte all’avanzata di tanta parte del mondo che ha idee diverse?
Sia nei cenacoli intellettuali che nelle poche riviste accettabili sia nei più triti tolk schow questi temi non appaiono neppure alla lontana. Eppure la sanità, come l’istruzione, interessa tutti, è un diritto inalienabile che deve trovare collocazione nel sistema economico globale in quanto diritto e non in quanto merce.
Ricordo un testo distopico dei lontani anni settanta di un autore svedese, Carl Henning Wijkmark, “La morte moderna” Ed. Iperborea, in cui si immagina una discussione tra esperti, tra i quali un filosofo laico, un pastore protestante, un rabbino, un prete cattolico, un medico, richiesta dal Ministro della Giustizia su come convincere gli anziani a suicidarsi perché i costi del welfare erano diventati insopportabili per le finanze dello Stato; il gruppo conclude sulla necessità di pianificare in modo razionale e democratico la morte; un’eutanasia di Stato, garbata e ragionevole, per chi non ha più un’adeguata qualità della vita.
Una discussione paradossale, è ovvio, ma assai attuale. Allora, prima che qualcosa di simile sia seriamente discusso nel G7, possibile che nessuno si chieda, tra i cosiddetti maitres à penser, primo se la tutela della salute è un diritto, secondo come è compatibile col sistema valoriale che sorregge l’economia e la società, terzo come rendere accettabili i costi della cura, quarto quanta politica ambientale è almeno minimale per garantire la salute?
Sono questioni che non possono essere abbandonati al confronto interno al sistema salute perché toccano le vette della politica intesa come tutela dei beni comuni e la salute lo è.
Antonio Panti