Gentile Direttore,
dopo lunghe discussioni sui tempi dell’attuazione del PNRR, con il rinvio di 30 giorni della rendicontazione di marzo per incassare la relativa tranche, si è arrivati alla decisione di chiedere una pausa fino ad agosto per rimodulare il piano, rinunciando ad alcuni interventi per concentrare gli sforzi sugli obiettivi alla portata. I problemi nell’utilizzo dei fondi comunitari non sono una novità e sono stati paradossalmente aggravati dall’imponente entità delle risorse stanziate. La missione 6C1 sconta per ora ritardi per quanto riguarda l’assistenza domiciliare, la telemedicina e le Centrali Operative Territoriali, come ha certificato la Corte dei conti.
Gli economisti milanesi Boeri e Perotti hanno osservato che “si è voluto portare a casa più soldi possibili per porsi il problema di come spenderli” mentre sarebbe stato più conveniente l’operazione inversa, ovvero definire “le nostre esigenze e le nostre priorità, le nostre capacità di realizzare e decidere di conseguenza quanto prendere a prestito”. Per usare la nota metafora è stato posto il carro davanti ai buoi e dopo averlo stipato al massimo se è realizzato che forse i bovini non sono in grado di trasportare tutto quel peso alla meta e quindi non resta che ridurre il carico.
Così una buona riforma è stata applicata con grande ritardo per mancanza di un cronoprogramma di implementazione a tappe, come quello dettato dalla UE per l’erogazione dei fondi del PNRR. Peraltro anche l’altra forma organizzativa della Balduzzi, le Unità Complesse delle Cure Primarie, è stata recepita solo formalmente senza un adeguato progetto e piano finanziario. Come si potrebbe presentare oggi l’assistenza primaria se a suo tempo un ACN avesse subito attivato le aggregazioni previste e se contestualmente le regioni avessero attuato un programma decennale di ristrutturazione della rete sociosanitaria a tipo Hub&Spoke?
È il percorso che dovrebbe seguire il PNRR entro il 2026, concretizzando l’incompiuta legge Balduzzi; tuttavia la distanza tra "mega" CdC e studi dei MMG difficilmente verrà colmato dalla Missione 6C1, a differenza delle AFT e soprattutto delle UCCP, naturali candidate al ruolo di presidi Spoke rispetto agli Hub da 45mila abitanti, a garanzia di capillarità e prossimità nelle aree disagiate della collina e della montagna..
Dopo l’insediamento del Governo Meloni il viceministro Gemmato ha ripetutamente messo in discussione queste scelte ma a distanza di 6 mesi non si intravvedono correzioni a quella che appare la principale criticità della Missione 6. Aggravata dal fatto che dopo quel fatidico 24 febbraio è cambiata l’economia, la geopolitica, l’orizzonte strategico, con una diffusa carenza di operatori sanitari sul territorio che mette a rischio la piena funzionalità degli Hub.
Ancora recentemente l’onorevole Gemmato ha dichiarato in proposito: “una critica è la parametrazione: una ogni 45mila, non è sanità territoriale”. Per rimediare servirebbe una revisione delle priorità del PNRR, ad esempio stornando sulle CdC i 2 miliardi dirottati verso l'assistenza domiciliare, con 2 obiettivi: trovare una collocazzione per gli operatori sanitari nelle UCCP/Spoke e coprire l’aumento dei costi, a fronte della stabilità di quelli per l’assistenza domiciliare, peraltro oggi a rischio.
Nella rimodulazione del PNRR esistono i margini per una manovra simile? Temo di no: purtroppo ci stiamo avviando verso l'ennesima occasione mancata.
Dott. Giuseppe Belleri
Ex MMG - Brescia