Gentile Direttore,
la lettura degli interventi di Ivan Cavicchi suscitano in me sempre una profonda ammirazione. Si tratta di una capacità di scrittura e, quando interviene direttamente in presenza, di eloquio, con notevole intelligenza nel suggerire al lettore, o all’ascoltatore, facili e comprensibili connessioni e suggestioni. Inoltre non si può certo non concordare con alcune osservazioni ed elementi critici che il Cavicchi evidenzia.
Il suo recente intervento (Quotidiano sanità, 23 gennaio 2023) sulla “gran marchetta” attuata dall’allora ministro Bindi in riferimento alla sanità integrativa merita certamente un’analisi testuale, da cui molto si può apprendere.
In questo “J'accuse” l’autore ricorda non tanto Émile Zola, che si rivolgeva a suo rischio (difatti fu condannato a un anno di carcere) ai potenti in carica (si trattava di una lettera aperta al Presidente della Repubblica francese sul caso Dreyfus, con esplicite accuse a larga parte dello Stato maggiore dell’Esercito), ma piuttosto alle requisitorie di Andrej Januar'evič Vyšinskij (ovviamente, solo in termini di argomentazioni suggestive, perché si passa dalla tragedia alla farsa), che si rivolgeva in termini accusatori agli ex compagni ormai privati di cariche pubbliche o di partito.
Le marchette attuate negli anni novanta vengono evidenziate e illustrate con dovizia da Cavicchi.
Il termine “marchette” ha suscitato in me un sentimento di nostalgia; il ricordo di quando, studenti, si dichiarava – non sempre, ma talora a ragione – che il cattedratico di turno non aveva, ad esempio, allungato i termini della sessione di esame o non si era presentato a tenere la prevista lezione pomeridiana, perché impegnato “a fare marchette”.
Si intendeva, con tale terminologia spregiativa, che il professore era a svolgere una attività inappropriata e talora illegittima e non effettuava il proprio dovere di docente. Pertanto occupavamo l’aula o l’istituto chiedendo che i cattedratici svolgessero la propria attività a tempo pieno, con un maggiore impegno nella didattica e alcuni studenti associavano a queste richieste anche quella del 30 come voto unico per tutti i partecipanti agli esami!
Il tradimento che sta uccidendo la sanità pubblica (è il termine utilizzato nell’articolo di Cavicchi) si è sostanziato nella seconda metà degli anni novanta perché ai governanti in tale stagione politica (indovinate chi era Ministro della Sanità e Presidente del Consiglio!) stavano a cuore Misericordie e Unipol.
L’ascoltatore o il lettore non sfuggirà (e neanche io in un primo momento!) alla suggestione di questa indicazione. Le Misericordie hanno una localizzazione prevalente e con questa sineddoche si individua pertanto la parte con il tutto: la Regione Toscana (nonché la ministra toscana); io ho inevitabilmente avvertito, sentito, forse per effetto sinestetico, un qualche odore di incenso.
Ma in realtà si doveva eventualmente riferirsi al volontariato nel suo complesso (in tale specifica funzione assai poco volontario…) che è rappresentato da molteplici entità: Croce verde, Fratellanza militare, Pubbliche assistenze ecc. Sarebbe stato più specifico, più corretto o per dirla tutta più onesto, ma certo meno efficace nell’indirizzare su una Regione e su una specifica persona le responsabilità. Quindi chapeau all’autore!
Cavicchi ci fa intravedere un filo rosso che connette, tramite la via bolognese e il passo della Futa, la Toscana con l’Emilia, sede della Unipol, altra entità che stava a cuore, afferma, ai governanti dell’epoca (qui si allude, mi sembra, anche a D’Alema, che era subentrato a Prodi quale presidente del Consiglio).
Cosa poi c’entri l’Unipol con la sanità non è documentato e a me non chiaro.
Certo, detiene il 23% del mercato assicurativo del settore, ma a tale risultato il gruppo Unipol è pervenuto con le acquisizioni fatte nel 2018! Qui ci si riferisce a venti anni prima, senza portare alcuna informazione in merito all’interesse, in tale stagione, dell’Unipol alla sanità. Ma, se non erro, tale gruppo assicurativo era impegnato in tutt’altri rami, in primo luogo quello auto (acquisisce la Fondiaria SAI nel 2014) dopo aver tentato di attuare acquisizioni bancarie.
Il lettore non è certo tenuto ad avere presenti questi elementi e non ricorderà forse la frase del Segretario dei DS, Fassino, intercettata – abusivamente – al telefono con l’Amministratore delegato dell’Unipol: “Abbiamo una banca”. Siamo nel 2005!
Si attribuisce quindi ai governanti dell’epoca una capacità di preveggenza e anticipazione delle politiche di acquisizione dell’Unipol nel successivo secolo (nonché nuovo millennio)?
In realtà si gioca sulla smemoratezza dei lettori!
Il Centro Sinistra, afferma Cavicchi, negli anni novanta (Ministro della sanità Rosy Bindi) ha svenduto la 833 per fare un favore agli “amici degli amici”.
Viene qui utilizzata una terminologia raffinata, con una scelta delle parole oculata nei confronti della ex Presidente della Commissione Nazionale Antimafia. Trattasi infatti della terminologia che si rintraccia «nel linguaggio mafioso ed estensivamente politico; qualcuno che è diventato influente con l’aiuto di un’organizzazione o di un partito e al quale ci si può rivolgere per chiedere favori» (Dizionario: Il Nuovo De Mauro)
Non mi inoltro, effettuando una analisi testuale e anche per nessuna professionalità in ambito giuridico, in una disanima di tutti i passaggi normativi che hanno caratterizzata quegli anni, a cui capaci studiosi (Francesco Taroni, Maria Chiara Giorgi) hanno dedicato i loro contributi.
Se dovessi invece fare una valutazione delle riflessioni politiche contenute in questo articolo, non saprei cosa dire perché la ricostruzione che viene offerta di questa fase (gli anni novanta e, in particolare, il secondo quinquennio) della storia sanitaria del nostro Paese e del suo Servizio sanitario nazionale è misera se non reticente.
Non vi è alcun esame della corrente di pensiero, sotto l’influsso del neoliberismo, e dei corposi interessi che hanno teso a smontare pezzo per pezzo il SSN.
Di tali interessi se ne era fatto già interprete, agli inizi degli anni novanta, il Ministro della Sanità De Lorenzo che durante il Governo Amato aveva messo a punto il d.lgs/992. Il testo recepiva alcuni aspetti, a mio parere quelli meno condivisibili, del Manifesto Bianco del 1985 e della “Lettera aperta alle istituzioni e alle forze politiche e sociali italiane” sottoscritta da sette noti clinici milanesi nel 1992.
Una volta insediato il Governo Prodi una proposta articolata e autorevole di smantellamento del Servizio sanitario nazionale fu messa a punto e presentata, nel 1997, da parte della Confindustria.
Si titolava Proposte per una nuova sanità (24 luglio 1997).
Il direttore generale, Innocenzo Cipolletta, la illustrava sul Sole 24 Ore del 23 agosto 1997 con un titolo esemplificativo “L’intervento pubblico va limitato a chi ha bisogno. Agli altri va data libertà di scelta – L’assistenza per tutti è contro l’equità”.
Si intendeva, con chiarezza, mettere termine, dopo un ventennio, all’esistenza di un sistema sanitario universalistico.
Bisogna dare atto alla Confindustria di avere avanzato in modo esplicito la propria proposta, specie ora che assistiamo invece a una privatizzazione strisciante.
L’altro aspetto invidiabile è rappresentato dalla compattezza delle diverse “filiere” associative confindustriali, a differenza di quanto accade talora in ambito sindacale dove i distinguo sono frequenti anche all’interno dello stesso sindacato; ad esempio la Fiom rispetto alla CGIL confederale ecc..
Perfino il settore più prossimo e coinvolto nel Servizio sanitario, la Farmindustria, non ha dato alcun segno di dissenso al seppellimento del SSN, anche se guidata dal Direttore generale: all’epoca Ivan Cavicchi.
Il Governo non diede ascolto a tale proposta e per esaminare quanto attuato con un minimo di onestà intellettuale, è necessario leggere che cosa prevedeva in materia di “assistenza sanitaria integrativa” la riforma Amato, il primo correttivo Ciampi e la totale riscrittura in materia del 229, riforma Bindi, quali ad esempio, l’articolo 9, c4:
“…L'ambito di applicazione dei fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale è rappresentato da:
Se la riforma “Bindi” ricevette critiche, queste furono certo di segno opposto a quelle che vengono qui palesate: un servizio sanitario piramidale (S. Cassese, Franco Angeli, 1999) che riservava allo Stato (magari!) un eccessivo potere regolamentare (F. Reviglio, Il Mulino, 1999).
Come dicevo un confronto politico con l’articolo in questione su questi percorsi non è possibile perché non sono presi in esame ed errori propri, o altrui (amici degli amici?), sono nascosti sotto il tappeto; è assente ogni riferimento alla lunga deriva Lombarda; nei vari scritti di Cavicchi non appare il nome Formigoni che pure qualche ruolo l’ha avuto nell’aggressione al SSN; non è rintracciabile qualche considerazione, una qualche disanima del necessario riallineamento della formazione specialistica universitaria al fabbisogno del SSN o una revisione critica di alcune delle posizioni dei sindacati medici (ad esempio della FIMMG) ecc.
In sostanza, suggerisce l’articolo, non vi è necessità di rifinanziare il SSN e la sua non autosufficienza è una bufala; non vi è un indebolimento del sistema pubblico tale da favorire il privato. Basta abolire le agevolazioni fiscali per l’assistenza sanitaria integrativa e per quella sostitutiva (proposta su cui peraltro concordo).
Ma un sistema di welfare, di cui la sanità è una parte, ha bisogno di ben altro: una riqualificazione economica e anche culturale del lavoro, in particolare quello dipendente nel settore sanitario (gli infermieri!) sociale e scolastico; un adeguato finanziamenti dei Comuni ripristinando l’IMU su abitazioni di lusso (come durante il governo Prodi); una tassa di successione analoga a quella degli altri paesi europei; equità fiscale fra le diverse categorie, mentre la tassazione per il lavoro autonomo – partite Iva - è al 15% fino a 85.000€ ecc.
Di ciò e con ciò ci si confronta se si parla di politica!
Mentre qui tutto si riduce a un presunto peccato/reato che risalirebbe a 24 anni fa e che non decade neanche per scadenza dei termini o è già passato in giudicato.
Ergastolo ostativo?
Marco Geddes da Filicaia