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Ecco perché il sistema dell’emergenza-urgenza ha fuso il motore

di Roberto Pieralli

11 LUG -

Gentile Direttore,
negli ultimi 15 anni il sistema dell’emergenza urgenza - è stato un po’  “truccato” e soggetto ad operazioni di puro e superficiale “maquillage” per nasconderne non tanto gli inestetismi ma le vere e proprie “crepe” strutturali portate e concausate non solo dalla pioggia di tagli, ma anche dalle “rivoluzionarie visioni progettuali di task shifting”.

Modelli organizzativi con  qualche “trucco temporaneo” venivano attuati in modo da consentire a questo sistema in agonia  di rimanere aperto nonostante la irrimediata precarietà, divenuta nel tempo sistemica.

La situazione di carenza risulta riscontrabile e documentata in Emilia-Romagna già nelle delibere della giunta dal 2001, dove a fronte della difficoltà a reperire il personale, anche quando si sono presentate alcune possibili chances (vedi per esempio la finestra del DPCM “Lorenzin”) le amministrazioni regionali hanno scelto di non sfruttarle.

Le lamentele che come SNAMI esponevamo già dal 2010 si sono puntualmente  verificate, tutti erano posti in grado di rendersene conto e nessuno avrebbe dovuto e potuto nascondersi dietro un dito nell’impeto di tracotanza del “so tutto io”.

A fronte dei crescenti volumi di attività del sistema di emergenza dovuti al noto invecchiamento della popolazione,  le amministrazioni regionali hanno scelto da un lato la logica del j’accuse verso la medicina generale, rea di supposta inefficienza, a cui però non si poneva rimedio date le insufficienti risorse per il personale di supporto, e dall’altro si attuava una operazione di de-strutturazione organizzativa e professionale dei servizi di emergenza attraverso la  sostituzione funzionale dei medici con altri operatori - meno costosi per le tasche aziendali – tramite tentativi di “Task Shifting” :  noti i vari casi di “see and treat”  e procedure salvatutti considerate “il sol dell’avvenire” secondo certi soloni dalle facili ricette.

Dove si chiedevano più medici in PS, piu’ guardie attive nei reparti, la risposta delle aziende sanitarie era: infermieri flussisti, infermieri triagisti avanzati, infermieri bed managers, infermieri see and treat e shift di compiti “clinici” a professioni sanitarie non mediche con malcelata ottica del risparmio camuffato sotto l’egida della “valorizzazione delle professioni sanitarie”, valorizzate, ovviamente, a parole ma con paga invariata.

L’arrivo della pandemia ha lasciato il re nudo, ed il castello di carte è crollato, svelando un contesto di posti letto insufficienti e la necessità di chiudere e convertire reparti, bloccare attività ordinarie a favore del COVID con un obbligo di separazione di funzioni dei percorsi “sporchi” e “puliti”.

Nell’emergenza 118 la problematica del “doppio mandato” è stata esplosiva, chi faceva due lavori ora non poteva essere sia “sporco” sia “pulito”

Tradotto in parole povere i medici del 118 erano spesso costretti a lavorare contemporaneamente sia nel soccorso in territorio sia in pronto soccorso: in questo modo risultava che nel turno in ospedale ci fossero due medici ma in realtà uno di questi era presente ogni tanto e sempre sotto costante stress perché costretto ad abbandonare i pazienti che stava visitando per correre sulle emergenze in territorio senza nemmeno avere il tempo di passare correttamente le consegne.

Già precedentemente questi modelli avevano comportato un elevatissimo turn-over con continui licenziamenti che venivano compensati dai nuovi incarichi, spesso atipici, a medici vittime dell’imbuto formativo, neolaureati inconsapevoli del meccanismo malato che con la loro adesione alimentavano ignari di un sistema assuefatto e normalizzato allo sfruttamento con il bel sorriso in volto.

Non solo i medici 118, ma anche nell’ambito ospedaliero di PS è avvenuta la stessa cosa: in molti ospedali l’unico medico di pronto soccorso viene costretto ad essere anche il medico di guardia nei reparti in quanto evidentemente titolare del dono dell’ubiquità efficentativa

La politica gestionale delle aziende sanitarie che hanno attuato questi modelli era quindi centrata sul medico “usa e getta”, cioè quel medico che, con o senza titoli e inquadramento, arrivava nel sistema e per reggere questi carichi di lavoro per qualche mese o qualche anno e che se anche andava via dopo poco tempo lasciava indifferente il sistema che poteva ancora contare su nuova “carne da cannone” vittima dell’imbuto formativo a rimpiazzare le perdite dei medici già “macinati negli ingranaggi”.

Un sistema divenuto un “motore” che con un enorme buco nella coppa dell’olio continuamente compensata dall’immissione di quel nuovo “lubrificante umano”, inserito grazie all’imbuto formativo, oggi esaurito: ed ecco perché che quel motore ha fuso.

Oggi la Politica è davanti alla scelta di dover decidere se ristrutturare e ricostruire un sistema o se perpetrare delle scelte organizzative sbagliate ed insostenibili.

Se la scelta sarà cambiare tutto per non cambiare nulla, ovviamente, sempre piu’ medici che già lo stanno facendo, procederanno ad organizzarsi in forme private meglio note come “Cooperative” , strumento attraverso  cui “vendere” prestazioni professionali al pubblico standone però all’esterno, e “dettando” le regole ed i prezzi.

Uno scenario desolante e pericoloso.

Serve una svolta nella gestione delle risorse umane e quella svolta serve adesso, partendo dal ridefinire le piante organiche e riallocare i contratti rispetto alle proprie funzioni, abbandonando i trucchi dei due o tre lavori al prezzo di uno e iniziando a rispettare la professione medica

Dott. Roberto Pieralli

Presidente Regionale SNAMI – Emilia-Romagna



11 luglio 2022
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