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Le nuove mission delle università, tra sfide globali, cambiamenti culturali e innovazione sociale

I temi al centro della Conferenza Internazionale dei Rettori delle Università che si sta svolgendo all’Ateneo di “Tor Vergata, organizzata in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell'Università e della Ricerca, la Conferenza dei Rettori delle Università Pontificie Romane della Santa Sede e il Vicariato di Roma.

09 NOV - Nella Siria in guerra, il 25% dei docenti universitari, negli ultimi anni, ha lasciato il Paese, per lo più in maniera definitiva, ma in settori ad alto tasso di specializzazione e di elevata utilità sociale quali medicina e ingegneria il cosiddetto brain-drain raggiunge picchi del 50%. Un danno inestimabile, una emorragia di skill e competenze che gravano sulle sorti di una società già gravemente e duramente colpita da complesse e drammatiche vicende politico-sociali.
 
È uno dei tanti esempi portati in discussione oggi alla Conferenza Internazionale dei Rettori delle Università che si sta svolgendo, in queste ore, all’Ateneo di “Tor Vergata, organizzata in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell'Università e della Ricerca, la Conferenza dei Rettori delle Università Pontificie Romane della Santa Sede e il Vicariato di Roma.
 
Oltre alla tormentata Siria, molti altri Paesi, tra cui Giordania, Gran Bretagna, Libano, Germania, Federazione Russa, Israele, Palestina: decine di Rettori lavorano fianco a fianco per definire, programmare e migliorare il ruolo giocato dal settore dell'istruzione superiore rispetto a primarie questioni globali.
 
Le Università possono dare un contributo fondamentale per realizzare un futuro più sostenibile. Numerosi studi segnalano per esempio che l’istruzione concorre in modo molto significativo alla costruzione del capitale sociale, favorendo virtù collettive invisibili, ma essenziali, come fiducia e cooperazione. Dobbiamo porci l’obiettivo di rendere massima la nostra generatività, investendo nella qualità della didattica e della ricerca scientifica, promuovendo la cultura, intensificando la mobilità internazionale, aprendoci alla società e alle Comunità, facendo Terza missione, creando innovazione sociale.
 
A tre anni dal lancio dell’Agenda ONU 2030 per il raggiungimento dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, nonostante importanti passi in avanti, c’è ancora molto da fare. Globalizzazione spesso “perversa”, espansione demografica e invecchiamento della popolazione, impatto dei cambiamenti climatici sono le principali sfide di tutti i Paesi. Ma non solo. La minaccia viene anche da fenomeni interconnessi come epidemie globali, disoccupazione allarmante, aumento delle disuguaglianze economiche e sociali, migrazioni “forzate”, assenza di crescita inclusiva.
 
Fare innovazione sociale può significare per le Università divenire reale e grande motore per le nuove trasformazioni culturali, tecnologiche, economiche e sociali che ci attendono. Tutto ciò a una condizione: che si faccia strada un nuovo modello di Accademia che consenta di coniugare ‘saper essere’ e ‘saper fare’, favorendo l’interdisciplinarietà e la transdisciplinarietà, che sappia creare partnership collaborative, che sia in grado di fare ‘contaminazione’ con l’impresa per idee e progetti responsabili, che permetta di lavorare insieme a tutti gli attori delle istituzioni, nel territorio, diffondendo una cultura ‘responsabile’ e attenta alla sostenibilità, promuovendo coesione sociale, trasmettendo valori senza tempo.
 
È tempo di accelerare e di porre in essere azioni ancora più decise per “trasformare il nostro mondo” e rimetterlo su un sentiero di crescita duratura e stabile. È tempo di un profondo cambiamento che sia capace di andare oltre l’approccio “business as usual”, che ponga al centro il progresso e il benessere umano, senza lasciare nessuno indietro.
 
E per citare Leonardo Becchetti, intervenuto nel corso dei lavori: “Il sistema economico globale è sbilanciato verso gli obiettivi del massimo profitto delle imprese e del benessere dei consumatori a danno di finalità altrettanto importanti, se non di più, come la dignità del lavoro e la tutela dell’ambiente. Questi squilibri creano il paradosso di renderci oggi “miliardari precari”, “miliardari” grazie all’accesso ad una quasi infinita ricchezza digitale senza prezzo o quasi, “precari” per via della difficoltà di costruire percorsi di lavoro stabili nel tempo”.
 
La risposta a questi squilibri è quindi “una nuova vision che riequilibri i rapporti tra queste finalità come l’economia civile. Ovvero un modello economico che punti su fiducia, qualità delle relazioni, benessere multidimensionale ed imprese responsabili in grado di creare valore sostenibile”.
 
Giuseppe Novelli
Rettore dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

09 novembre 2018
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