Oncologie a rischio default. Aiom: “Drg coprono appena la metà dei costi”
Oggi l’80% delle oncologie mediche italiane ha i conti in rosso e i Drg coprono appena il 50% delle spese. L’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom): “Creare una rete di strutture e professionalità per curare meglio e spendere meno”.
07 NOV - Allarme per le oncologie mediche italiane. L’80% ha i conti in rosso e i Drg, unità di misura che calcola l’entità dei rimborsi per le cure erogate, coprono appena il 50% delle spese, che continuano a crescere perché i malati non solo aumentano, ma vivono anche più a lungo, mentre le terapie diventano più impegnative. E non mancano gli sprechi, con prestazioni talvolta inappropriate, esami ripetuti e spesso poco utili. A questo si aggiunge la migrazione sanitaria, con pazienti che si spostano fra regioni o fra ospedali che distano pochi chilometri. E così, le buone notizie sulle odierne possibilità di contrastare i tumori rischiano di venire vanificate da un sistema che non regge i costi e che appare ancora disorganizzato.
A lanciare l’allarme è l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), cin occasione del congresso nazionale che si chiude oggi a Bologna. “Ogni volta che una persona si trasferisce da un centro all’altro la presa in carico viene riattivata dall’inizio, dalla lettura dei vetrini in giù – ha affermato Carmelo Iacono, presidente dell’Associazione -. Questo comporta un allungamento dei tempi e la crescita della spesa, problema che gli oncologi vivono in modo sempre più pressante”. Per far fronte a questa situazione, secondo Marco Venturini, presidente entrante Aiom, “i piccoli ospedali vanno messi in rete con quelli più attrezzati in modo che vi sia una circolazione delle esperienze. All’interno del singolo centro, va attivato un continuo dialogo fra oncologo, patologo, radioterapista e tutte le altre figure coinvolte per una presa in carico complessiva del malato. A livello regionale, vanno creati percorsi di confronto fra strutture. L’obiettivo è valorizzare le eccellenze che oggi esistono, ma sono sparse a macchia di leopardo, per farle lavorare in maniera integrata. Renderle ‘diffuse’, innalzando la competenza media degli operatori e l’appropriatezza degli interventi”.
E poi, ribadisco gli esperti, occorre puntare sulla prevenzione. I malati oggi sono 2 milioni e 250 mila (circa il 4% della popolazione). Nel 2010 i nuovi pazienti italiani sono stati circa 255 mila, con i tumori a polmone, seno, colon retto e prostata che restano i 4 “big killer”. Ma solo cambiando il proprio stile di vita potrebbe, secondo l’Aiom, ridurre fino al 40% i casi. Per questo, secondo gli esperi, realizzare percorsi diagnostico assistenziali uniformi è determinante sia per garantire pari opportunità ai malati che per utilizzare al meglio le risorse. “Un sistema di rete – ha osservato il coordinatore degli assessori della Sanità della Conferenza Stato-Regioni, Luca Coletto, intervenendo al congresso Aiom - offre la possibilità di integrare tutte le professionalità, gli strumenti e le competenze coinvolti nella gestione del problema oncologico, di condurre il paziente attraverso le diverse fasi di malattia senza soluzione di continuità, e soprattutto di assicurare un’omogeneità territoriale delle cure e la diffusione capillare di elevati standard di qualità. La ricaduta in termini di efficacia ed efficienza è immediata”.
“Il malato deve restare fermo al centro ed è il sistema a ruotare intorno a lui, in cerchi concentrici”, ha affermato Francesco De Lorenzo, presidente della Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo), intervenendo anche lui all’evento Aiom. E ha spiegato: “Un primo ‘girone’ è quello del dipartimento, in cui tutti gli specialisti devono interagire in maniera integrata: oncologo, patologo, radioterapista, ecc. insieme, per un approccio multidisciplinare. Il secondo livello è quello regionale, con un costante dialogo fra strutture sui percorsi diagnostico-terapeutici da adottare e una presa in carico globale, che deve contare su un livello base e su poli di alta specializzazione per la gestione dei casi più complessi. Tutto questo però si può realizzare solo se si applicheranno con immediatezza il piano oncologico nazionale ed il piano della riabilitazione, non più rinviabili”.
Come dovrebbe funzionare, nel concreto, una rete ottimale? “Ogni ospedale deve essere in grado di garantire uno standard assistenziale adeguato per la gestione del 90% dei casi, cioè di assicurare l’ordinarietà – ha affermato Iacono -. Solo quel 10% che presenta una particolare complessità va rimandato all’ospedale di riferimento regionale per la patologia (tumore della mammella, dello stomaco, ecc.): così non si ‘ingolfa’ il sistema e si offrono cure ottimali. Bisogna ripensare e rendere operative le Reti oncologiche regionali, formalmente istituite che esistono però solo sulla carta, tranne rare eccezioni”.
Ma quando si parla di costi, occorre ricordare anche l’allarme sulle scorte e l’accesso ai medicinali oncologici. Secondo Venturini “per il momento in Italia non esistano carenze di approvvigionamento ma sono certo che in futuro il problema si porrà. Per questo è opportuno cominciare a immaginare in che modo muoversi. La difficoltà è infatti ineludibile, sia per le molecole di vecchia generazione che per le nuove biologiche. Sono ‘sotto accusa’ perché più facilmente monitorabili ma rappresentano solo un quarto delle spese in oncologia – continua -. Abbiamo dimostrato che è possibile dimezzare i costi per le terapie nell’ultimo mese di vita, passando dal 30% al 15%”.
Su questo tema si è parlato anche nell’ambito della sessione speciale organizzata al Congresso in collaborazione con la Società Europea di Oncologia (Esmo), la Favo e la Fondazione Aiom e dedicata proprio all’“Appropriatezza prescrittiva tra Europa e Italia”. Nel corso della quale Elisabetta Iannelli, segretario della Favo, ha anche ricordato che “tutti i farmaci antitumorali autorizzati dall’Aifa devono essere immediatamente disponibili nel territorio nazionale. L’accordo siglato dalla Conferenza Stato-Regioni il 18 novembre 2010 – ha spiegato - ha reso più semplici e immediate le procedure di introduzione per quelli che possiedono il requisito dell’innovatività terapeutica (non è infatti più necessario il preliminare inserimento dei prodotti nei Piani Terapeutici Regionali, che determinava evidenti disparità territoriali). Ma, per superare, le difformità regionali, è necessario fare un ulteriore passo in avanti”. E su questo la Favo ha condotto una dura battaglia che ha portato all’impegno espresso dalla Conferenza Stato-Regioni a rendere immediatamente disponibili agli assistiti, anche senza il formale inserimento dei prodotti nei Prontuari terapeutici regionali, i farmaci che possiedono il requisito della innovatività terapeutica, importante o potenziale, immediatamente dopo la relativa determinazione dell’Aifa. Un principio che però, secondo Iannelli, “va interpretato estendendone la validità a tutti i farmaci antitumorali giudicati ‘indispensabili’ dai medici che li prescrivono”.
07 novembre 2011
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