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Io, infermiere, direttore di una Rsa in Veneto ai tempi del Coronavirus

23 febbraio 2020 una data che ha cambiato il mondo delle RSA. L’avvento del COVID ha da subito ribaltato tutte le certezze e le priorità fin ora acquisite. Le struttura si sono ritrovate a dover gestire un processo di “ospedalizzazione” intensiva in pochissimo tempo. Il personale sanitario presente ha dovuto rincorrere un modello sanitario-centrico che non gli apparteneva e nulla è stato più come prima

di Andrea Merlo
19 APR - Ho iniziato il mio lavoro 20 anni fa come infermiere in una grande struttura per anziani non auto-sufficienti della provincia di Padova.
In quegli anni le RSA erano all’inizio del loro sviluppo e le strutture, considerate per lo più come “OSPIZI”, affiancavano le allora lungodegenze ospedaliere dove, i ricoveri duravano anche mesi.
 
In poco tempo le RSA diventavano l’unico luogo per sopperire ad un’assistenza domiciliare che si stava organizzando per la gestione della cronicità a domicilio a garanzia di una continuità di cure tra l’ospedale, che iniziava a ridurre i tempi di ricovero e il domicilio dove gli anziani fragili venivano accuditi da familiari e dalle prime badanti.
 
Gli anni 2000. Negli anni 2000 sorgono le prime strutture territoriali private accreditate come l’Hospice per malati terminali, i primi ospedali di comunità, i reparti per gli ospiti in stato vegetativo e i nuclei di alta intensità assistenziale.
Insomma in quegli anni la territorialità dell’assistenza, derivante dalla chiusura di molti reparti ospedalieri di lungodegenza e la riduzione dei tempi di degenza, ha completamente stravolto il modello di assistenza nel territorio.
 
E’ in questo periodo che ho maturato la necessità professionale di iniziare a comprendere maggiormente il fenomeno che stavo vivendo, continuando con gli studi nei settori del management organizzativo e una laurea magistrale in gestione delle Aziende Pubbliche e Sanitarie che mi ha permesso in questi ultimi 5 anni di dirigere alcune RSA del territorio veneziano e padovano.
 
In quegli anni la scelta era di tenere a casa il familiare anziano con il supporto della famiglia oppure affidarsi a qualche struttura. Il fenomeno delle badanti iniziava a riempire il vuoto assistenziale perché i posti nelle RSA scarseggiavano. Ricordo lunghissime liste d’attesa e un sistema imprenditoriale che si accorgeva del potenziale economico, volto alla costruzioni di nuove residenze sempre più alberghiere che sanitarie, per garantire un offerta competitiva incentivando così la residenzialità come nuovo modello per affrontare la terza età come protagonisti di un tessuto sociale in evoluzione.
 
I modelli organizzativi delle Residenze Sanitarie Assistite si sono sviluppati su una pianificazione Regionale, ancora oggi in vigore, la legge regionale 16 agosto 2002, n.22 che prevede all’Allegato A uno standard di personale sanitario corrispondente a:
omissis… “1 coordinatore ogni 90 ospiti presenti in media nell’ anno;
1 unità di personale con funzione di assistenza socio -sanitaria ogni 2,5 ospiti presenti in media nell’ anno; 1 infermiere professionale ogni 15 ospiti presenti in media nell’ anno . Il numero di infermieri professionali richiesti dallo standard di cui sopra, potrà essere coperto, fino ad un massimo del 30%, da infermieri generici (dgr 1054 del 24 Aprile 2002) e/o da operatori con la qualifica di OSS-S. Deve essere comunque garantito il servizio infermieristico nell’arco delle 24 ore, anche mediante il ricorso alla reperibilità notturna. Per l’area sociale: 1 unità di personale con funzione di educatore-animatore ogni 60 ospiti presenti in media nell’ anno; 1 assistente sociale ogni 120 ospiti presenti in media nell’ anno; 
1 psicologo ogni 120 ospiti presenti in media nell’ anno”… omissis
 
Il personale medico, composto da Medici di Medicina Generale convenzionati con l’ULSS di riferimento, è inserito ad ore, in base al numero degli assistiti seguiti, cercando di garantire una copertura della giornate dal lunedì al venerdì sino alle ore 20:00, solo recentemente è stata inserita la copertura del medico il sabato mattina, garantendo così un servizio di continuità medica che nelle restanti face orarie viene sopperito dal servizio di guardia medica.
 
All’interno dei Centri di Servizio l’assistenza socio-sanitaria viene organizzata in base all’intensità del carico assistenziale di cui gli ospiti necessitano, garantendo alle persone non assistibili a domicilio un adeguato livello di assistenza medica, infermieristica, riabilitativa, tutelare ed alberghiera.
 
La longevità come risorsa. Il modello di approccio che, fino alla comparsa del fenomeno COVID-19 mi accompagnava, era la longevità come “risorsa”, un valore importante e solido che contraddistingue il mio operato professionale, sono convinto che se non ci limitiamo solo al concetto di “guarire”, possiamo realmente pensare ad un nuovo obiettivo quello dello “star bene”. E per garantire un “ben-essere” le buone relazioni rivestono un ruolo importante. Il benessere “emerge” dalle relazioni sociali e dalle emozioni andando ad incidere fortemente sulla qualità della vita e sullo stato psicofisico.
 
Uno degli obiettivi dei professionisti e degli operatori delle strutture residenziali è quello di stringere relazioni “circolari”. Una circolarità che permetta “insieme” di fare della sensibilità relazionale uno strumento e uno stile di assistenza e cura. Un impegno continuo volto a potenziare i livelli di autonomia, stimolando, grazie alle attività quotidiane, ambiti di riflessività che valorizzino gli importanti vissuti di ognuno.
 
Nelle RSA l’impegno è quindi volto a costruire reti di relazione, scambio e comunicazione che facilitino il contatto con il territorio e la comunità nelle sue varie forme di aggregazione.
 
Negli anni si è cercato di superare l’immagine stereotipata del “vecchio ospizio per vecchi”, dimostrando che questi luoghi di residenza sono diventati vere e propria officine attive e produttive di iniziative, intellettualità ed esperienze a disposizione di tutta la comunità. Sono stati avviati progetti di scambio intergenerazionale con le scuole dell’infanzia e le scuole primarie, progetti di terza età protagonista, con rassegne artistiche musicali che coinvolgevano tutto il tessuto territoriale, in uno scambio attivo di esperienze e vissuti dei nostri ospiti.
 
Tutto questo fino al 23 febbraio 2020 una data che ha cambiato il mondo delle RSA. L’avvento del COVID ha da subito ribaltato tutte le certezze e le priorità fin ora acquisite.
Le struttura si sono ritrovate a dover gestire un processo di “ospedalizzazione” intensiva in pochissimo tempo. Il personale sanitario presente ha dovuto rincorrere un modello sanitario-centrico che non gli apparteneva.
 
In primo luogo è venuta meno la rete comunitaria, le associazioni del territorio, i volontari e i familiari con il loro costante supporto. Le strutture Aperte 24 h su 24 si sono chiuse ermeticamente all’esterno per paura di un contagio restando isolate.
 
Il personale sanitario ha dovuto aggiornarsi in tempi brevissimi relativamente alle linee guida istruzioni operative dell’Istituto superiore della sanità, pensate inizialmente per i reparti ospedalieri, adattandole alle diverse risorse e alle competenze delle residenze sanitarie.
 
Riorganizzare una struttura residenziale dove le stanze di degenza degli ospiti sono stanze di vita della persona, sono stanze dove da mesi o da anni I nostri ospiti vivono all’interno delle stesse con altre persone, stanze che sono state personalizzate con i loro ricordi, foto e oggetti che riportano alla memoria tempi passati e che aiutano nel deterioramento cognitivo a orientarsi nello spazio/tempo.
 
Riorganizzare la struttura significa organizzare dei nuclei protetti delle aree rosse isolate, e per far questo si è dovuto dar vita a un enorme cambiamento interno. Tutti gli ospiti hanno dovuto abbandonare la propria stanza, il proprio compagno, per essere trasferiti in altri reparti, in altre stanze con altri compagni e tutto questo senza l’adeguato supporto psicologico familiare.
 
Prima del COVID-19 lo spostamento di un ospite da una stanza era oggetto di valutazione psicologica, rivalutazione dell’equipe sanitaria con l’inserimento dell’intervento nei piani d’assistenza che a loro volta, venivano condivisi con i familiari, con l’ospite stesso e con il nuovo compagno di stanza basando la scelta anche valutando gli aspetti caratteriali.
 
Tutto questo non si è più potuto fare per l’urgenza di isolare ospiti positivi ed ospiti negativi. In meno di due settimane 140 ospiti sono stati trasferiti più e più volte alla ricerca di una corretta allocazione, per far spazio alle aree di isolamento dedicate ad accogliere ospiti COVID-19 positivi.
 
Il personale sanitario, operatori sociosanitari, ausiliari delle pulizie, personale delle cucine manutentori, infermieri, educatori, logopedisti tutti si sono dovuti impegnare sin da subito a formarsi e aggiornarsi per l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale e relative tecniche di vestizione e svestizione. Il personale ausiliario, addetto alle pulizie, ha dovuto acquisire in tempi brevissimi competenze in termini di sanificazione, uso corretto dei disinfettanti degli antisettici e modalità per l’accesso alle aree rosse. Lo stesso dicasi per il personale della cucina, relativamente alla gestione della distribuzione dei pasti all’interno delle diverse aree. Si sono dovuti ripensare, piantine alla mano, tutti i percorsi interni dedicati agli ospiti e al personale per il transiti puliti e sporchi dei dipendenti e dei fornitori nelle diverse aree.
 
Il divieto di accesso ai familiari ha giustamente dato vita a nuove forme di comunicazione distanza. Si sono recuperati dei PAD e telefonini per attivarsi con le video chiamate e una calendarizzazione delle stesse, per permettere agli ospiti di mantenere un contatto con i propri cari.
 
Il problema tamponi. Altro aspetto sanitario, quello della esecuzione dei tamponi sierologici e orofaringei a tutti gli ospiti e ai dipendenti, con un elevato impatto notevole in termini di stress per il personale di non sapere e non conoscere se si era stati infetti o meno, nella gestione dei dipendenti in isolamento e nella ricerca frenetica di nuovo personale per la sostituzione delle malattie, cosa che in alcune strutture della provincia ha fatto intervenire l’esercito.
Tamponi che quotidianamente scandiscono la valutazione dello stato di salute dei nostri ospiti, con relative scelte di isolamento o di trasferimento verso le aree verdi della struttura e i relativi spostamenti, non solo di letto ma di tutto quello che appartiene all’ospite in altre stanze e con altri nuovi compagni di stanza.
 
Le residenze sanitarie per anziani non sono reparti ospedalieri e i nostri ospiti, oltre a vivere in un ambiente protetto, necessitano a volte I ricoveri ospedalieri in caso di aggravamenti clinici o in caso di controlli sanitari programmati, gli stessi, quando tornano dal periodo di ricovero, pur con tampone negativo, vengono isolati all’interno dell’area rossa continuando così una forma di ospedalizzazione anche nel proprio domicilio.
 
I momenti ricreativi, le feste di compleanno, le cene, i pranzi condivisi, gli incontri con le associazioni di volontariato, i bambini dello scambio intergenerazionale, le uscite al parco e nel territorio sono state tutte sospese.
 
Da luoghi di vita si è passati a luoghi di cura facendo gravare un ulteriore aspetto su operatori e sanitari, quello di accompagnare i nostri ospiti anche nella morte cercando di rimanere con loro, sostituendosi ai familiari che in molti casi non possono accedere alle strutture o se riescono è solo per un periodo molto limitato di tempo.
 
Ma in RSA siamo anche chiamati a garantire la spensieratezza l’allegria della vita che continua, dobbiamo tranquillizzare i nostri ospiti che sentendo i familiari solo telefonicamente, a volte si sentono abbandonati.
Dobbiamo continuare ad occuparci della demenza e dei problemi di deterioramento cognitivo, già prima era difficile mantenere un orientamento spazio-temporale e un collegamento attivo con tutto quello che li circonda, oggi lo sforzo professionale e quello di sostenere questi ospiti che si ritrovano disorientati trasferiti da una stanza all’altra da un piano all’altro. Ospiti, che se in isolamento ci vedono indossare i DPI (dispositivi di protezione individuali) e non riconoscendo i nostri volti, hanno paura e ci considerano estranei, facendo aumentare i tempi di assistenza notevolmente.
 
Abbiamo attuato i distanziamenti sociali sospendendo le attività come la ginnastica di gruppo le attività educative di lettura del giornale la tombola, i momenti di condivisione dei ricordi I laboratori educativi, tutto questo è stato ripensato perché all’interno degli stessi spazi è possibile ospitare meno ospiti distanziati tra di loro e per sentirsi a volte si deve alzare di molto il tono della voce. Sono stati istituiti i turni per gli accessi alla palestra alle sale educative alle sale da pranzo si sono ridotti i momenti di condivisione di scambio. Ogni ospite resta per la maggior parte del tempo chiuso nel proprio nucleo se nell’area verde e purtroppo nella propria stanza, con la porta chiusa, se nell’area rossa.
 
Sicuramente le residenze sanitarie cambieranno molto nel futuro, si dovrà tener conto dell’aspetto sanitario maggiormente, si dovranno rivalutare i modelli di assistenza. Per tutto questo auspico che si costituisca a livello nazionale una cabina di regia unica, dedicata alle residenza sanitaria per anziani, che possa intercettare prima, molto prima tutte le criticità e fragilità che queste residenze hanno e continueranno ad avere.

Una cabina di regia che possa valutare I modelli organizzativi, aggiornarli, essere di supporto e sostegno alle direzioni ai coordinatori e ai professionisti sanitari che molto spesso si ritrovano abbandonati, a volte non capiti da un sistema ospedaliero/territoriale che persegue altre logiche perché dotato di standard sanitari e del personale diversi.
 
Fortunatamente, grazie allo sforzo di tutti i lavoratori, professionisti sanitari e non, nella struttura che dirigo ad oggi non ci sono stati casi positivi, ne tra il personale ne tra i 150 ospiti residenti.
Una corsa contro il tempo che si poteva evitare pensando sin da subito alla popolazione più fragile anziana che non era protetta nel proprio domicilio ma che viveva e vive in luoghi aperti di condivisione e di convivenza quali sono le residenze per anziani.
 
Dr. Andrea Merlo
Direttore di Struttura R.S.A.

Vice presidente Opi di Padova


 

19 aprile 2020
© Riproduzione riservata

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